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Venerdì, 26 Aprile 2024
Cronaca

La “metastasi tumorale” della Società Foggiana che ha infettato e influenzato anche l’azione amministrativa

La fotografia emerge dalla Relazione Dia relativa al secondo semestre del 2020: "La 'metastasi tumorale' della Società Foggiana è risultata in grado di infettare, influenzandola, anche l’azione amministrativa"

Il fenomeno mafioso in Capitanata continua ad essere segnato dalla presenza delle tre distinte articolazioni quali: la società foggiana, la mafia garganica e la malavita cerignolana. Si tratta di espressioni criminali diverse tra loro che, nel tempo, hanno saputo interagire realizzando modelli strutturali omogenei per molti dei gruppi criminali che vi afferiscono.

Risultati investigativi e di analisi fanno presupporre come il quadro criminale della provincia foggiana, articolato in diverse aree (capoluogo di provincia, Gargano, alto e basso Tavoliere), converga verso un riassetto seppur precario volto a metabolizzare le attività di contrasto della magistratura e delle forze di polizia.

Le incisive risposte della Squadra Stato infatti hanno segnato profondamente la struttura criminale dei clan che, privi dei rispettivi vertici e fortemente destabilizzati sia sul piano operativo che decisionale, potrebbero tentare una silente rimodulazione attraverso nuovi modus operandi.

Elementi a sostegno di questa chiave di lettura si possono desumere dalla posizione di centralità assunta dalla società foggiana che anche nel periodo di riferimento conclamerebbe la sua progressiva espansione nei territori della provincia ma anche oltre confine verso regioni come l’Emilia Romagna, l’Abruzzo ed il Molise.

Nuove strategie di contrasto | Il processo espansionistico si sarebbe principalmente concretizzato attraverso il potenziamento del ruolo delle batterie, un vero e proprio motore operativo dell’organizzazione mafiosa che partendo da un comune epicentro fondante si sono espanse sempre più verso l’esterno.

Attraverso un controllo magmatico del territorio la mafia del capoluogo tenderebbe a superare forme di instabilità e conflittualità per protendere verso nuovi assetti organizzativi più consolidati e fondati su strategie condivise.

La strage di San Marco in Lamis (9 agosto 2017) con il quadruplice omicidio del boss Romito, del suo autista e degli agricoltori Luigi e Aurelio Luciani, vittime innocenti dell’efferata azione di sangue, costituisce un vero e proprio punto di svolta nell’approccio investigativo alla mafia foggiana.

Oltre al rinforzo delle strutture di contrasto (ne è esempio la creazione della Sezione Operativa DIA di Foggia), è stato elaborato, per dirla con le parole del Procuratore della Repubblica di Bari, Alberto Rossi, “un nuovo e più evoluto modello integrato di contrasto fondato su una stabile cooperazione tra i diversi uffici e sulla creazione di una articolata rete comune di contrasto che vede impegnati sul territorio foggiano, fianco a fianco, la DNA, la DDA di Bari e la Procura di Foggia e che può contare sul lavoro congiunto di polizia, carabinieri, guardia di Finanza e DIA e sulle sinergie con la Prefettura di Foggia: un’unica grande squadra”.

Estremamente significativi i risultati conseguiti ricordati dal Procuratore: oltre 60 operazioni antimafia di contrasto personale e patrimoniale; quasi 400 persone attinte da misura cautelare; oltre 30 milioni di euro il valore dei beni colpiti da provvedimenti ablativi; decine di tonnellate di droga e un enorme quantitativo di armi e munizioni sequestrati; decine le misure interdittive antimafia nei confronti di imprese collegate o comunque condizionate dalle organizzazioni mafiose foggiane; sciolte per mafia le amministrazioni comunali di Monte Sant’Angelo, Mattinata, Manfredonia e Cerignola, a cui si è aggiunto il recentissimo caso della città capoluogo, Foggia.

Tale azione ha anche prodotto la ricomparsa sulla scena di nuovi collaboratori di giustizia foggiani (non se ne registravano dal 2007). Trovano, inoltre, soluzione alcuni omicidi di mafia con pesanti condanne dei responsabili anche alla pena dell’ergastolo.

Nuovi assetti dei clan | A fasi di turbolenza che hanno dato il via a scontri armati tra le tre batterie hanno fatto puntualmente seguito la mirata ricerca e il contestuale recupero della coesione interna in un andamento altalenante teso alla elaborazione di più efficienti modelli organizzativi capaci di governare la complessità del processo espansionistico.

La sinergia tra i clan funzionale alla pianificazione e gestione delle attività illecite, nonché alla condivisione degli interessi economico-criminali si tradurrebbe nella riproduzione di canoni strutturali assimilabili a quelli della ‘ndrangheta con modalità di intervento particolarmente forti e insidiose al punto da realizzare ramificate commistioni con il tessuto connettivo sociale ed economico.

Gli atti di indagini del semestre, infatti, hanno evidenziato e confermato come la società foggiana sia un “soggetto camaleontico” capace di rispondere alle azioni repressive dello Stato con una diversa fisionomia che ne mimetizza i caratteri originari avvalendosi di quell’area grigia costituita da imprenditori, professionisti e appartenenti alle istituzioni compiacenti o contigui ai clan. Il contesto descritto può essere desunto anche dalle numerose interdittive emesse nel semestre dal Prefetto di Foggia che illustrano la capacità dei clan di interagire con la vita pubblica e l’imprenditoria interferendo nel mercato e condizionandone lo sviluppo.

I provvedimenti prefettizi hanno in generale colpito attività commerciali e imprenditoriali nei settori dell’itticoltura, dell’allevamento di bovini e caprini, della manutenzione e della pulizia, nonché in quelli più tradizionali del ciclo dei rifiuti soprattutto nell’area garganica e del basso Tavoliere.

In questo contesto, l’azione antimafia si è concentrata proprio sui rapporti tra imprese e amministrazioni pubbliche evidenziando tutti gli indicatori sintomatici di una permeabilità e di un condizionamento mafioso soprattutto nei confronti dei settori dell’economia particolarmente colpiti dall’attuale emergenza sanitaria.

Crocevia strategico del Narcotraffico | Quanto al mercato degli stupefacenti i numerosi arresti e sequestri di droga confermano come tutto il foggiano rappresenti un crocevia strategico nel narcotraffico grazie alle coste garganiche che ben si prestano ai traffici illeciti in particolare dall’Albania. Molteplici sarebbero comunque i canali di approvvigionamento anche extra-provinciali con particolare attenzione alla confinante provincia BAT che favoriscono una politica di mutuo soccorso volta a “tenere” le numerose piazze di spaccio più che a una gestione egemone.

In proposito, le recenti inchieste corroborano le dichiarazioni di un qualificato collaboratore di giustizia secondo cui il mercato della droga a Foggia sarebbe soggetto a regole diverse rispetto al passato in quanto le stringenti strategie di egemonia da attuare attraverso l’imposizione dei canali di approvvigionamento sono talvolta superate con il riconoscimento all’organizzazione mafiosa del “punto” ossia l’importo richiesto agli spacciatori per l’esercizio dello smercio di stupefacenti.

Nel Gargano, peraltro, le consistenti piantagioni locali testimoniano il consolidamento della produzione “in casa” agevolata dalla morfologia del territorio e dalla fitta vegetazione che viene disboscata per ricavare al suo interno appezzamenti da destinare alle coltivazioni illecite. Proprio sulla dorsale San Marco in Lamis-San Nicandro-Cagnano Varano il fenomeno delle coltivazioni di piantagioni di cannabis ha assunto un grosso rilievo tale da ipotizzare che sia esteso in chiave extraterritoriale. Anche l’attività di narcotraffico assumerebbe rilievo nell’area in quanto facilmente favorita dalla conformazione costiera e dell’entroterra impervio, nonché dalla presenza di albanesi ben inseriti nel tessuto criminale dei territori summenzionati.

Alleanze con i gruppi criminali della provincia | L’analisi del fenomeno criminale mafioso dimostra come i punti di forza su cui fanno leva i clan della provincia siano l’impenetrabilità favorita dalla struttura familistica delle organizzazioni malavitose e l’efferata capacità di controllare il territorio di riferimento che genera un contesto di tendenziale omertà.

Nella città di Foggia perdurerebbe lo stallo tra le tre consorterie mafiose, Moretti-Pellegrino-Lanza, Sinesi-Francavilla e Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese che risultano da tempo contrapposte, sia pure a fasi alterne, in una sanguinosa guerra di mafia per il conseguimento della leadership interna e il controllo degli affari illeciti ma, allo stesso tempo, unite nella condivisione degli interessi economico-criminali. Dotato di una energica influenza criminale in ambito provinciale il clan Moretti-Pellegrino-Lanza è ramificato nell’Alto Tavoliere (grazie all’appoggio del clan La Piccirella– Testa), nell’area garganica (in virtù dei collegamenti con il clan ex Romito con il quale si è schierato militarmente nella faida contro i Li Bergolis) e nel basso Tavoliere (con il gruppo Gaeta di Orta Nova).

Già in guerra con il gruppo Pellegrino-Moretti-Lanza, il clan Sinesi-Francavilla è tradizionalmente collegato ai ‘Montanari’ dell’area garganica (in particolare al clan Li Bergolis) e ai Nardino di San Severo. Esso opera prevalentemente nel capoluogo di provincia ed è attivo nelle estorsioni, nei traffici di stupefacenti, usura, riciclaggio nonché nel gioco illegale. La batteria dei Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese ha infine sviluppato sinergie con elementi mafiosi della provincia in particolare con il clan Romito operante a Manfredonia e con elementi della criminalità di Orta Nova.

Il carattere federativo delle tre batterie | Ne è conferma quanto confluito nell’operazione “Decimabis” eseguita il 16 novembre 2020 dalla Polizia di Stato e dall’Arma dei Carabinieri, che ha consentito di definire gli equilibri interni delle tre batterie della società foggiana e “l’ordinario andamento dell’agire mafioso” evidenziandone la pervasiva e sistematica pressione estorsiva nei confronti di imprenditori e commercianti di Foggia gestita secondo un codice regolativo predefinito, condiviso e significativamente denominato come il “Sistema Foggia”.

Dal contesto investigativo è emerso come la protervia dei membri della società foggiana si estrinsecasse non solo nella formulazione di richieste estorsive ma anche nella imposizione dei prodotti da vendere nel capoluogo così realizzando anche una contrazione inevitabile dei redditi oltre che, in linea generale, “impedendo la crescita economica della città di Foggia”. Peraltro, l’atteggiamento reticente assunto dalle vittime dei taglieggiamenti nei confronti delle Forze di polizia è sintomatico della loro soggezione al “prestigio criminale” dell’associazione che “per la sua fama negativa e per la capacità di lanciare avvertimenti, anche simbolici ed indiretti, si è accreditata come un centro di potere malavitoso temibile ed effettivo”.

È evidente, ancora una volta, come questa situazione di diffusa sottomissione segni il passaggio da un modello tradizionale di racket a uno molto più subdolo e insidioso in cui per concretizzare l’imposizione è sufficiente la fama criminale e la forza intimidatrice promanante dal vincolo associativo (estorsione ambientale). I riscontri investigativi nel confermare la presenza di una rigida scala gerarchica hanno evidenziato come l’arroganza degli associati si manifesti “non solo all’esterno ma anche all’interno, prevedendo punizioni corporali nei confronti dei sodali non rispettosi delle regole dettate dai vertici”.

Gli aspetti emersi dai risultati giudiziari hanno consentito di accreditare parte del compendio investigativo già acclarato da altri procedimenti probatori confermando il “dna” della società foggiana nelle sue tre segmentazioni criminali dotate di margini di autonomia decisionale e operativa ma facenti capo a un nucleo direttivo costituito dalle figure di vertice delle singole batterie. L’individuazione di un asse trasversale tra le tre consorterie funzionale alla gestione dei proventi illeciti è espressione di quella modernità proiettata verso un modello affaristico in cui i rapporti di cointeressenza diventano più forti di quelli di sangue.

Tutti gli elementi confluiti nel procedimento hanno offerto significative chiavi di lettura oltre che sui rapporti fra le figure di raccordo delle diverse articolazioni anche sulle dinamiche organizzative ed operative finalizzate al controllo capillare di ogni settore economico-produttivo cittadino “dalle agenzie funebri ai gestori di slot machine, passando per gli esercizi commerciali, per finire alle corse dei cavalli”.

Ma la “metastasi tumorale” della società foggiana è risultata in grado di infettare influenzandola anche l’azione amministrativa. Ulteriore riscontro circa l’esistenza della pervasività criminale si coglie, infatti, nel riferimento alla “zona grigia” ossia all’accertata sudditanza verso gli interessi della società foggiana da parte di professionisti o dipendenti pubblici infedeli “sempre pronti ad aderire o addirittura a prevenire con estremo zelo le richieste in ordine ai bisogni o alle aspettative più svariate, anche quando non compatibili con norme di legge o doveri deontologici, per il rispetto portato verso i rappresentanti della batterie ed il desiderio di evitare qualsiasi genere di insoddisfazione dei temibili interlocutori”.

Il raggio d’azione criminale della società investiva anche altri appetibili settori come quello delle competizioni sportive ippiche che consentivano ai clan foggiani di realizzare ingenti profitti dalle scommesse o delle assegnazioni degli alloggi di edilizia popolare e delle patenti di guida. I proventi illeciti dell’attività estorsiva realizzata a tappeto nei confronti di tutti gli operatori economici operanti nel capoluogo alimentavano la “cassa comune” necessaria per il mantenimento dei sodali - anche quelli detenuti e delle rispettive famiglie - e per sostenere le spese legali sviluppando collaudati processi di gestione centralizzata nell’acquisizione e nella ripartizione delle risorse economiche.

Slegato dalle regole di solidarietà e assistenza mafiosa era invece il profitto derivante dall’attività usuraria svolta in maniera autonoma dai sodali. La pressione estorsiva esercitata dalla mafia foggiana sul tessuto socio-economico locale è emersa nell’ulteriore step dell’indagine “Decimabis” che il 26 dicembre 2020 ha portato all’arresto per estorsione consumata, tentata e aggravata dal metodo mafioso di 4 elementi della società foggiana di cui 2 appartenenti alla batteria Moretti-Pellegrino-Lanza e gli ulteriori alla batteria Trisciuoglio-Prencipe-Tolonese quest’ultimi già sottoposti a fermo di indiziato di delitto116, il 3 dicembre 2020.

È emerso, del resto, come l’attività estorsiva riguardasse anche il segmento criminale dello spaccio di stupefacenti attraverso l’imposizione del cosiddetto punto ai soggetti attivi nello smercio. Al riguardo, i riscontri investigativi e di analisi fanno presuppore che i nuovi equilibri di potere abbiano favorito le spinte scissionistiche all’interno dei Sinesi-Francavilla timorosi di risentire delle rivendicazioni del clan Moretti-Pellegrino a seguito dell’omicidio di un noto pluripregiudicato “morettiano” cassiere della federazione.

La propensione affaristica dei vertici dell’associazione si è concretizzata in una spiccata duttilità operativa su più fronti (socio-economico, finanziario e politico-amministrativo) capaci di interagire con le zone grigie, consolidando, nel contempo, il radicamento nel territorio. In tale contesto, gli ingenti profitti illeciti derivavano oltre che da una forte pressione estorsiva esercitata ai danni di aziende agricole, ditte di trasporti, onoranze funebri e società attive nei settori dell’eolico e delle energie alternative anche dalla percezione di provvidenze comunitarie mediante truffe a carattere transnazionale nel settore dell’agricoltura.

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