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Cronaca

Gli otto incandidabili di Foggia e quei "collegamenti diretti o indiretti con la mafia"

Il Tribunale di Foggia, in composizione collegiale, riunito in camera di consiglio nelle persone dei magistrati il dott. Antonio Buccaro, in qualità di presidente, Mariangela M. Carbonelli e Luca Stanziola, giudice e giudice relatore, hanno dichiarato incandidabili l'ex sindaco di Foggia, Franco Landella, l'ex presidente del Consiglio comunale Leonardo Iaccarino e altri sei ex consiglieri comunali. Rigettata la proposta del Ministero dell'Interno per Ventura e Rignanese

La prima sezione civile del Tribunale di Foggia ha dichiarato Franco Landella, Leonardo Iaccarino, Antonio Capotosto, Consalvo Di Pasqua, Dario Iacovangelo, Liliana Iadarola, Bruno Longo ed Erminia Roberto incandidabili in vista delle prossime elezioni per la Camera dei Deputati, per il Senato della Repubblica e per il Parlamento Europeo, nonché per le elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali (in relazione ai due turni elettorali successivi al D.p.r. del 6 agosto 2021, con il quale sono stati adottati i provvedimenti di cui agli artt. 143 e 144 D.Lgs. n. 267 del 2000 con riferimento al Comune di Foggia). Sul ricorso promosso dal ministero dell'Interno il 9 settembre 2021, il pubblico ministero, con successiva nota del 30 settembre, aveva chiesto la dichiarazione di incandidabilità degli amministratori responsabili delle condotte che hanno provocato lo scioglimento del consiglio comunale del Comune di Foggia, per la quale il ministero dell’Interno e la Prefettura di Foggia si erano costituiti in giudizio con memoria del 4 dicembre.

Sussisterebbero “concreti, univoci e rilevanti elementi di collegamenti diretti ed indiretti degli amministratori con la criminalità organizzata di tipo mafioso" e/o di condizionamento degli stessi, "tali da aver, in concreto, compromesso il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione, nonché il regolare funzionamento dei servizi affidati all’amministrazione comunale”. Secondo i magistrati, nella proposta del Ministro dell’Interno e nella relazione del Prefetto di Foggia, emergerebbero "elementi concreti, univoci e rilevanti che, se esaminati nel loro complesso" confermerebbero "chiaramente la presenza all’interno dell’apparato burocratico ed amministrativo del Comune di Foggia, di persone legate da vincoli di parentela, affinità e frequentazione, con noti esponenti di spicco della criminalità mafiosa locale, nonché vincoli tali da determinare un’alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento e imparzialità dell’amministrazione comunale”.

Per la prima sezione civile del tribunale di Foggia, che si espressa per l'incandidabilità di otto su dieci ex amministratori comunali di maggioranza, “a tale conclusione devono condurre la pluralità degli appalti affidati a persone direttamente o indirettamente riconducibili a soggetti della criminalità organizzata, in alcuni casi a soggetti posti al vertice dell’organizzazione criminale; la totale assenza, nei casi evidenziati, di iniziative di vigilanza e di controllo sull’attività dei dirigenti amministrativi da parte degli odierni convenuti, i quali in ragione della loro veste di amministratori avevano l’obbligo di vigilanza e controllo; l’adozione di delibere con le quali si è consentita l’infiltrazione indiretta o la persistenza dell’infiltrazione dell’organizzazione criminale mafiosa negli appalti di opere e di servizi di competenza ed affidati alla gestione dell’ente comunale; la totale assenza di iniziative atte a segnalare anche alle autorità all’uopo preposte, situazioni di indiretta infiltrazione delle consorterie criminali, a totale vantaggio della criminalità organizzata; le parentele ed i rapporti di frequentazione (questi in particolare comprovati dai controlli di polizia) dei soggetti ai quali sono stati affidati appalti, con esponenti della criminalità organizzata; la totale assenza di iniziative per ricondurre nel binario della legalità le condotte abusive; la totale omissione o comunque, nella migliore delle ipotesi, la tardività dei controlli antimafia nei confronti di imprese poi dichiarate interdette con provvedimento del Prefetto e poi sottoposte a controllo giudiziario”.

L'hanno spuntata invece l'ex consigliere comuanle Pasquale Rignanese e l'ultimo presidente del Consiglio comunale in carica prima che Landella rassegnasse le dimissioni, Lucio Ventura. Il collegio composto dai magistrati Antonio Buccaro (presidente), Mariangela Carbonelli e Luca Stanziola, ha infatti rigettato la domanda proposta nei confronti dei due ex amministratori di maggioranza, “...mancando del tutto la prova e addirittura l’allegazione di fatti sintomatici di collegamenti - diretti o indiretti - con la criminalità organizzata di tipo mafioso, ovvero, al limite, di un loro condizionamento da parte di associazioni criminali”.

Diversamente, nei confronti dell’ex sindaco di Foggia - in ordine al collegamento o indiretto con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare, o comunque al pericolo, concreto ed attuale, di un loro condizionamento – i magistrati hanno tenuto conto della relazione del Prefetto di Foggia, il quale, “partendo dal dato “sociologico” del rapporto inscindibile esistente tra la corruzione dei pubblici funzionari e la permeabilità dell’attività amministrativa al condizionamento mafioso”, dava atto “del diffuso fenomeno di degenerazione e di decomposizione del munus pubblico, che si pone in contrasto con l’interesse dell’ente e con il bene comune”. Fatti allarmanti che hanno svelato "una cattiva governance che interessava il Comune di Foggia, improntata al perseguimento di interessi privati a danno del primario interesse pubblico alla legalità. Tali condotte, già di per sé gravissime, in quanto poste in essere dal primo cittadino, assumono una particolare gravità per il riflesso che possono avere nella comunità locale e nell’opinione pubblica”.

Il collegio della prima sezione civile del tribunale del capoluogo dauno, non ha mancato di sottolineare “il ruolo di assoluto rilievo assunto dal Landella nell’attività illecita oggetto di indagini da parte della competente autorità giudiziaria” e di evidenziare che “i collegamenti indiretti del sindaco con la criminalità organizzata divengono, tuttavia, tangibili laddove si passi ad esaminare le intercettazioni delle conversazioni della Iadarola con il proprio compagno e della Roberto con il pluripregiudicato Francavilla”. Ergo, “l’accordo politico intercorso tra il sindaco e soggetti pacificamente legati alla criminalità organizzata”, dimostrerebbe “la sussistenza di legami dell’ex cittadino con ambienti della criminalità organizzata locale”.

Il riferimento è alla prima conversazione dell’11 febbraio 2021 attraverso la quale Fabio Delli Carri, “intima alla compagna”, l’allora consigliera comunale Liliana Iadarola, “di ricordare al primo cittadino, in termini perentori, di adempiere agli impegni assunti nei “loro” confronti (con espressione gergale, ripetuta in tutta la conversazione, tipicamente paradigmatica della grammatica mafiosa) durante la campagna elettorale”.

Noi rimaniamo sempre con te fedeli, però, insomma, non è che lo dobbiamo prendere sempre a quel posto noi, anche perché qua, fino a prova contraria, persone che non valgono niente, che tengono due o trecento voti, che hanno sistemati i figli, lo vanno decantando”; ed ancora, “ce lo dici proprio, gli dici a noi niente? E non te lo stiamo chiedendo per non metterti in difficoltà, però (riferendosi a Landella, n.d.g.), se tu ci dici dammi un nome e poi così, poi me lo devi mettere, perché figure di m…. noi non siamo abituati a farle, capito glielo dici così (…) noi neanche te lo veniamo a chiedere il lavoro, quello e quell’altro, non ti veniamo neanche a mettere in difficoltà, però se tu ci dici una cosa e ce la dai per certa, quella cosa poi ce la devi dare”).

 

Secondo i magistrati, l’episodio darebbe contezza della “familiarità” tra il sindaco Landella e Delli Carri.

Il presunto collegamento dell’ex primo cittadino con la criminalità organizzata, verrebbe confermato anche sulla scorta dei contenuti della conversazione intercettata tra Erminia Roberto e Leonardo Francavilla avvenuta in prossimità di una commissione consiliare il 29 novembre 2019, quando "Francavilla Leonardo si rivolse, con toni confidenziali, ad Erminia Roberto e – dichiarandosi espressamente appartenente alla “malavita” – la minacciava apertamente di rivelare l’attività svolta, su impulso di quest’ultima, per procacciare voti all’attuale amministrazione, facendo riferimento alla concessione di benefici economici di competenza dell’assessorato retto dalla Roberto o alla “sistemazione” della consorte del Francavilla in un supermercato”.

Secondo i magistrati è emerso che Francavilla si sarebbe concretamente adoperato per sostenere il Landella in occasione dell’ultima campagna elettorale.

“Votiamo Landella”; “se noi siamo mafiosi, senza offesa, la mafia è politica, poi veniamo noi”

Conversazioni, entrambe, che metterebbero in luce un accordo politico in virtù del quale alcuni noti esponenti della locale criminalità organizzata avrebbero dato il loro consenso a procacciare voti all’ex sindaco in occasione dell’ultima tornata elettorale in cambio di presunti vantaggi economici.

Il Tribunale di Foggia - che si è pronunciato sul ricorso promosso dal ministero dell’Interno nei confronti di Franco Landella, Leonardo Iaccarino, Antonio Capotosto, Consalvo Di Pasqua, Dario Iacovangelo, Liliana Iadarola, Bruno Longo, Pasquale Rignanese, Erminia Roberto e Lucio Ventura - ha messo in evidenza che "la presenza delle organizzazioni mafiose grava pesantemente sulla vita sociale e politica delle comunità, con intrecci che possono limitarsi anche al semplice condizionamento laddove si registri una tolleranza o una inerzia da parte del Comune nei confronti di certe condotte o attività" e sottolineato come "tali inerzie, pur non comportando necessariamente una partecipazione attiva da parte degli amministratori o dei funzionari comunali alle attività, apparentemente lecite, delle organizzazioni mafiose, non per questo possono essere ritenute meno rilevanti, poiché su queste inerzie e tolleranze si radica, nella pubblica opinione, la percezione della impunità o peggio della inattaccabilità di tali organizzazioni criminali, proprio perché contigue con i soggetti detentori della legalità dell’azione amministrativa", scrivono. E ancora, fanno notare i magistrati, "molti degli episodi descritti nella relazione hanno avuto vasta risonanza mediatica, con conseguente sfiducia dei cittadini nella legalità, ormai violata dai loro stessi amministratori locali".

I magistrati, quindi, in base ad una valutazione complessiva, e non “atomistica” delle emergenze processuali, ha ritenuto che ricorrano tutti presupposti per dichiarare incandidabili l’ex sindaco Franco Landella, l'ex presidente del Consiglio comunale, Leonardo Iaccarino e gli ex sei consiglieri comunali di maggioranza Liliana Iadarola, Antonio Capotosto, Bruno Longo, Erminia Roberto, Dario Iacovangelo e Consalvo Di Pasqua. 

Riguardo alla posizione di Di Pasqua, “non può revocarsi in dubbio che le sue frequentazioni integrino elementi concreti di collegamenti indiretti dell’amministratore con la criminalità organizzata di tipo mafioso imperante sul territorio tale da compromettere il buon andamento dell’amministrazione comunale, non potendosi avallare la tesi della difesa secondo cui gli incontri di Di Pasqua con un soggetto pluripregiudicato, padre di un uomo legato alla batteria Moretti-Pellegrino-Lanza, sarebbero il frutto di frequentazioni sporadiche e casuali. La frequentazione tra l’amministratore ed una persona in qualche modo legata alla criminalità locale deve condurre, all’opposto, ad un giudizio di maggior gravità della condotta di Di Pasqua, che proprio in ragione della posizione di amministratore locale, era chiamato a tenere una condotta tale da non ingenerare nei cittadini anche solo il dubbio su possibili forme di condizionamento dell’amministratore da parte della criminalità organizzata di tipo mafioso attiva sul territorio, o di connubio tra l’amministrazione e i gruppi criminali imperanti nella zona”

E ancora, definisce il tribunale di Foggia, “le medesime considerazioni devono valere, a maggior ragione, per Capotosto, Iadarola e Roberto, nei cui confronti, almeno per quanto riguarda la Iadarola e Capotosto, i collegamenti con la criminalità organizzata possono addirittura ritenersi diretti, mentre per Roberto – così come, peraltro per Longo – è stato valorizzato il fortissimo legame, sia pure indiretto, con un noto esponente della mafia foggiana. Con particolar riguardo a Roberto si è posto in risalto la totale compromissione della funzione istituzionale dalla medesima ricoperta in favore di un soggetto pacificamente riconducibile ad una delle più temibili batterie mafiose che compongono la ‘Società foggiana’, beneficiario non solo di sussidi economici elargiti dal comune (ed in particolare dall’assessorato retto dalla Roberto, per il tramite della stessa, in totale spregio del principio di separazione tra organi di indirizzo politico e organi di gestione amministrativa) ma anche di favori personali (in particolare, l’assunzione della consorte presso un supermercato) promessi in cambio dell’elezione dell’ex sindaco, appartenente allo stesso schieramento politico della Roberto”,

Leonardo Iaccarino e Dario Iacovangelo "hanno fatto trasparire una pericolosa e radicata “permeabilità” a logiche corruttive inammissibili per un amministratore locale, tantomeno per il presidente del Consiglio Comunale quale era Iaccarino prima della sua destituzione. Quanto a Iacovangelo, lo stesso, anziché opporre il netto rifiuto al mercimonio della funzione pubblica praticata dallo Iaccarino, gli ha manifestato il suo, pieno ed incondizionato, appoggio, come dimostrato nel procedimento penale che lo vede coinvolto. Per entrambi è stato ritenuto, pertanto, concreto e tangibile il rischio di condizionamento da parte della malavita locale”.

Un’ultima annotazione i magistrati del tribunale di Foggia la riservano a Bruno Longo, "la cui condotta omissiva e di mera tolleranza si inserisce a pieno titolo nel solco di quella “permeabilità” dell’amministrazione rispetto agli ambienti malavitosi già evidenziata per gli altri soggetti proposti per la declaratoria di incandidabilità, in un settore peraltro particolarmente sensibile – ed assurto agli onori della cronaca locale – come quello dell’occupazione degli alloggi popolari da parte di soggetti appartenenti, direttamente o indirettamente, alla criminalità organizzata. Tanto basta, dunque, per ritenere superate le difese dei resistenti sul punto”.


 

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