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Cronaca

Roberto salva dall’incandidabilità, non c’è scampo per Landella: “Immagine malata dell’amministrazione”

In appello confermata la misura interdittiva anche per Liliana Iadarola, Dario Iacovangelo, Leonardo Iaccarino, Bruno Longo e Consalvo Di Pasqua

La prima sezione civile della Corte d’Appello di Bari ha accolto il ricorso presentato da Erminia Roberto, vice sindaco del Comune di Foggia e assessore alle Politiche Sociali dal 2014 al 2019 e poi consigliera comunale, e ha dichiarato infondata, “in mancanza di elementi concreti ed univoci”, la domanda di incandidabilità nei suoi confronti. Nella camera di consiglio del 10 gennaio, in appello, i giudici hanno ribaltato la decisione dell’1 marzo 2022 del Tribunale di Foggia sul suo conto. 

Niente da fare, invece, per l’ex sindaco Franco Landella e gli ex consiglieri Liliana Iadarola, Dario Iacovangelo, Leonardo Iaccarino, Bruno Longo e Consalvo Di Pasqua, che avevano provato a smontare in secondo grado la declaratoria di incandidabilità alle elezioni Politiche, Europee, Regionali, Provinciali e Comunali nei due turni elettorali successivi al Decreto del presidente della Repubblica che ha affidato la gestione del Comune di Foggia ad una commissione straordinaria, datato 6 agosto 2021.

Non ha impugnato il pronunciamento l’ex consigliere Antonio Capotosto, anche lui dichiarato incandidabile dal Tribunale di Foggia che aveva rigettato la domanda della misura interdittiva di carattere preventivo avanzata dal ministero dell’Interno e dalla Prefettura di Foggia nei confronti dei soli Pasquale Rignanese e Lucio Ventura. Ad oggi scendono a sette gli ex amministratori che non potranno ripresentarsi alle elezioni. 

L’anonimato degli esposti salva Erminia Roberto

I magistrati – Maria Mitola, presidente, Alessandra Piliego e Oronzo Putignano – hanno accolto, questa volta, le argomentazioni difensive di Ermina Roberto perché il ragionamento del primo giudice si fondava “su elementi informativi non oggettivi né interpretabili in maniera univoca, aventi fonte, peraltro, in due esposti anonimi sulla cui credibilità non è dato sapere alcunché”. Il Tribunale aveva riportato i contenuti dei due esposti anonimi.

Nel primo, datato 29 ottobre 2019, si segnalava che l’assessorato ai Servizi Sociali aveva liquidato contributi in favore di un appartenente al clan Francavilla, ed era corredato da una foto che riprendeva l’assessore e il soggetto in questione intenti a parlare. Il secondo esposto, del 16 dicembre 2019, si sostanziava in una registrazione audio: si trattava di un’animata conversione da cui il Tribunale ricavava che l’uomo, dichiaratosi espressamente appartenente alla malavita, si fosse adoperato, su richiesta dell’assessora Roberto, per sostenere Landella in occasione dell’ultima campagna elettorale (“Votiamo Landella”; “se noi siamo mafiosi, senza offesa, la mafia è politica, poi veniamo noi”). Nella registrazione minacciava di rivelare tutto, facendo riferimento alla concessione di benefici economici di competenza dell’assessorato e alla ‘sistemazione’ della sua consorte in un supermercato.

Ma per i magistrati di secondo grado, mancano elementi oggettivi per riscontrare l’attendibilità della captazione che consentano di stabilire un collegamento con la criminalità organizzata. Ha convinto i giudici anche la relazione dell’assistente sociale, allegata dalla difesa a riscontro dell’istanza per conseguire il contribuito economico straordinario, in cui “si dà atto che il nucleo familiare del richiedente necessita di supporto economico”. Peraltro, hanno preso atto che il contributo non fosse riservato solo a lui, ma disposto in favore di ben 22 beneficiari.

La Corte d’Appello di Bari ha condannato il ministero dell’Interno e la Prefettura di Foggia al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio in favore di Erminia Roberto.

La "indebita selezione" di consiglieri non regge

Preliminarmente, i giudici si sono espressi in merito all’eccezione riproposta dai legali di alcuni ricorrenti, a cominciare da Franco Landella, sulla notifica della richiesta di incandidabilità da parte dell’Avvocatura di Stato solo a 9 dei 13 consiglieri comunali di maggioranza e opposizione menzionati nella relazione prefettizia come amministratori che “a vario titolo risultano coinvolti in attività legali”, e all’ex sindaco, considerata “una indebita selezione”. La Corte d’Appello chiarisce che l’Avvocatura di Stato “si è attenuta al dettato normativo introducendo l’azione finalizzata alla declaratoria di incandidabilità solo nei confronti degli amministratori responsabili delle condotte che hanno dato causa alo scioglimento”. Tocca invece alla giustizia amministrativa, e dunque al Tar, valutare la sussistenza degli elementi “concreti, univoci e rilevanti” su collegamenti tra singoli amministratori e la criminalità organizzata che giustificano il provvedimento di scioglimento.

La Corte d’Appello di Bari ha giudicato infondati i reclami presentati da Franco Landella, Liliana Iadarola, Dario Iacovangelo, Leonardo Iaccarino, Bruno Longo e Consalvo Di Pasqua, e ha integrato la motivazione del Tribunale di Foggia. “Le gravi vicende giudiziarie che hanno da ultimo coinvolto sindaco e consiglieri non possono essere lette in maniera estemporanea”, si legge nel decreto di 26 pagine, ma devono essere doverosamente calate nel contesto territoriale già descritto in primo grado, pervaso da organizzazioni mafiose, “consolidando, così, l’immagine di un’amministrazione pubblica gestita secondo logiche corruttive, di spartenze e di condivisione di intenti illeciti nel reiterato e più totale disprezzo della funzione istituzionale ricoperta”.

Basta che l’amministratore sia venuto meno agli obblighi agli obblighi di vigilanza, indirizzo e controllo per l’incandidabilità. Nel caso di specie, “la relazione prefettizia riporta, in primo luogo, le vicende giudiziarie che hanno attinto il sindaco e i consiglieri per gravi episodi corruttivi e mette in correlazione il nesso inscindibile esistente tra la corruzione dei pubblici amministratori e la permeabilità dell’attività amministrativa al condizionamento mafioso”. Poi si passano in rassegna le “gravi irregolarità” nelle procedure di affidamento e gestione di otto servizi pubblici essenziali, riportate nella relazione, e l’inerzia o ritardo nel richiedere la certificazione antimafia in favore di imprese legate a consorterie mafiose.

L'immagine "malata" dell'amministrazione

Servizio di gestione degli impianti semaforici, videosorveglianza, il servizio di accertamento e riscossione dei tributi, i servizi cimiteriali, la gestione dei bagni pubblici, la manutenzione del verde, il servizio di bidellaggio e la “cattiva gestione del settore degli alloggi di edilizia residenziale pubblica” tornano sotto la lente d’ingrandimento. Quanto emerge dagli atti sulla gestione di otto nevralgici servizi pubblici riflette "un’immagine malata dell’amministrazione coinvolgente, in primo luogo, il sindaco”, in quanto, secondo il Tuel, sovraintende al ‘funzionamento dei servizi e degli uffici e all’esecuzione degli atti’, ha poteri di indirizzo e controllo sull’operato dei soggetti chiamati a dare attuazione alle scelte deliberate dall’amministrazione e, più in generale, è chiamato a sovraintendere alla vigilanza su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l’ordine pubblico. Insomma, non c’è scampo per l’ex sindaco che, tramite i suoi avvocati aveva provato a dimostrare l’insussistenza di collegamenti, diretti o indiretti, con la criminalità. Si ritiene non abbia assolto agli obblighi di vigilanza connessi alla sua carica, condizione di per sé sufficiente all’applicazione della misura di incandidabilità.

“Le semplificazioni nelle verifiche antimafia e le ‘compiacenze’ in concreto adottate verso alcune imprese (vedasi il caso della gestione dei bagni pubblici) non si esauriscono in aspetti meramente discrezionali dell’iter amministrativo, ma integrano, al contrario, gravi violazioni di legge – scrivono i giudici - Si delinea lo spaccato di una politica locale ‘compiacente’ e/o comunque gravemente inerte da parte dei menzionati consiglieri ed in particolare del primo cittadino, istituzionalmente chiamato ad esercitare il potere/dovere di vigilare e sovrintendere al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti. La trasgressione ai doveri istituzionali di vigilanza, peraltro, è stata accertata con riferimento ad una casistica altamente rappresentativa, in quanto reiterata con riferimento alla gestione di 8 servizi pubblici essenziali per la vita dell’ente, coinvolgenti settori 'sensibili' e con l’impegno di ingenti importi contrattuali”.

A nulla sono valse le argomentazioni della difesa in merito ad alcune iniziative assunte dal sindaco “non appena venuto a conoscenze delle irregolarità dell’apparato amministrativo”. I legali di Landella hanno evidenziato, ad esempio, come per il servizio di gestione degli impianti semaforici il sindaco si fosse formalmente scusato con il Questore comunicando di aver “provveduto a redarguire i soggetti responsabili”, riservandosi di avviare iniziative disciplinari. Sempre a titolo esemplificativo, hanno sottolineato come l’impresa aggiudicataria della videosorveglianza non fosse destinataria di alcuna interdittiva antimafia e che, durante il suo mandato, “gli impianti di videosorveglianza pubblica erano stati addirittura incrementati raggiungendo 564 unità”.

I giudici bollano come estemporanee tutte le misure intraprese dal sindaco: “Non possono ritenersi espressione di un esercizio sistematico dei poteri di vigilanza e controllo”. Davanti alle criticità indicate nella relazione prefettizia, avrebbe dovuto attivare i poteri di autotutela “al fine di intervenire incisivamente sulle situazioni patologiche” e denunciare i singoli responsabili. Le iniziative del sindaco “risultano poste in essere ex post, a servizio pubblico affidato, ed assumono, quindi, una valenza neutra se non negativa, nel senso dell’inefficienza”. I magistrati definiscono “eclatante” il caso della gestione del servizio semaforico che “l’impresa assegnataria ha continuato a svolgere provvisoriamente nonostante il formale sollecito del prefetto, su iniziativa del questore, al rispetto del provvedimento interdittivo”. Si conclude che il “reiterato venir meno ai doveri di vigilanza e controllo da parte del sindaco e dei consiglieri (dai quali parimenti non è intervenuta mai alcuna segnalazione) ha di fatto consegnato i più importanti e delicati settori dell’amministrazione pubblica nelle mani di gruppi mafiosi”.  

Tangenti, case popolari e videosorveglianza inchiodano i consiglieri

La difesa dell’ex presidente del Consiglio comunale Leonardo Iaccarino ha ricondotto nel perimetro della mera azione goliardica, indipendente da qualsivoglia collegamento con la mafia, l’ormai famigerato episodio avvenuto nella notte di Capodanno 2021, quando era stato ripreso dal figlio mentre sparava con una pistola a salve dal balcone di casa, pronunciando in dialetto la frase “non è una barzelletta”. È accusato, in due distinti procedimenti, di reati contro la Pubblica Amministrazione. I magistrati si soffermano sull’inchiesta su presunte tangenti che il 21 maggio 2021 aveva portato all’arresto del sindaco Franco Landella, dei consiglieri comunali Antonio Capotosto e Dario Iacovangelo e dell'imprenditore edile Paolo Tonti. Erroneamente, nel dispositivo si riporta il nome di Consalvo Di Pasqua tra gli arrestati, indagato nel procedimento penale, prosciolto il 19 dicembre scorso, proprio come Lucio Ventura e Pasquale Rignanese. E così il suo caso è accomunato a quello degli altri consiglieri che si sarebbero spariti 32mila euro di bustarelle in cambio di un voto favore. Le risultanze della relazione prefettizia, secondo i giudici, sono “univocamente sintomatiche di una conduzione della macchina politico-amministrativa comunale 'compiacente' ed impostata su logiche di malcostume”, e valgono dunque per tutti i consiglieri coinvolti. Vale la pena ricordare, però, che la declaratoria di incandidabilità pronunciata dal Tribunale di Foggia per Consalvo Di Pasqua fondava sulle frequentazioni con un pluripregiudicato.

A inchiodare, invece, l’ex consigliere Bruno Longo è la residenza in una casa popolare, per quanto abiti di fatto con la famiglia altrove. L’alloggio popolare, intestato all’ex consigliere, rilevano i giudici, risulta occupato da un esponente vicino ai clan. I giudici deducono che “il mancato esercizio dei poteri di vigilanza e controllo assume, nei confronti dell’ex consigliere Longo, connotati di maggiore gravità quantomeno in ordine al servizio di gestione degli alloggi popolari”.

Capitolo a parte è dedicato all’ex consigliera Liliana Iadarola. I suoi legali hanno contestano la veridicità di quanto riportato nella relazione prefettizia rispetto ai rapporti con Fabio Delli Carri, ma secondo la Corte d’Appello, i fatti cristallizzati “non sono il frutto di valutazioni e/o apprezzamenti, bensì di deduzioni logicamente e direttamente derivanti da risultanze documentali cui il Tribunale di Foggia ha aderito ai fini della pronuncia dell’incandidabilità”. I legali hanno contestato l’errata trascrizione, da parte della polizia giudiziaria, di una delle due intercettazioni riportate, ma pur volendo prendere in considerazione l’interpretazione alternativa fornita dalla difesa, i giudici pervengono alla stessa conclusione: “Provano il condizionamento ex ante del consigliere Iadarola da parte del Delli Carri ed al contempo il controllo del predetto sulla sfera politica di competenza della compagna e ciò a prescindere da quanto dichiarato da quest’ultima in ordine all’esercizio del voto favorevole in ordine al rinforzo del sistema di videosorveglianza pubblica, nell’ambito del Consiglio comunale”.

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