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Cronaca Manfredonia

Parco archeologico di Siponto, l'installazione artistica va rimossa: ecco perché

Per Teodoro De Giorgio, storico dell'arte, l'opera di Edoardo Tresoldi non sarebbe in grado di "conservare" - , per via della sua connaturale composizione a rete - il monumento sottostante

"Dove l'arte ricostruisce il tempo", questo il titolo del progetto, promosso dalla soprintendenza per i Beni archeologici della Puglia e il segretariato regionale del Mibact, che ha interessato il Parco archeologico di Siponto, a pochi chilometri da Manfredonia. Uno stanziamento di complessivi 3,5 milioni di euro provenienti dai fondi strutturali del programma operativo interregionale (Poin) "Attrattori culturali, naturali e turismo 2007-2013". Obiettivo primario della soprintendenza: garantire la conservazione dei resti dell'antica basilica paleocristiana (IV secolo d.C.) a tre navate, con abside centrale e pavimento musivo, per loro natura molto fragili e soggetti agli effetti degradanti degli agenti atmosferici. Obiettivo secondario: valorizzare l'intera area archeologica, al fine di favorire il turismo e, di conseguenza, di accrescere l'indotto economico del territorio limitrofo. Ottime intenzioni, non c'è che dire, perché la conservazione del patrimonio storico artistico, come ben sanno i professionisti del settore, deve sempre precedere la sua valorizzazione. Difatti, non può esserci valorizzazione senza conservazione.

Fatto salvo ciò, esaminiamo con attenzione, e rigore scientifico, le vicende legate al progetto sipontino. Il Poin aveva individuato in Puglia il Gargano quale area destinata all'attuazione di interventi di restauro, conservazione e valorizzazione del patrimonio storico-artistico pubblico. L'intervento, di 6.186.570,44 euro, viene prontamente indirizzato dalla soprintendenza archeologica pugliese sull'area di Santa Maria di Siponto e su quella limitrofa di San Leonardo di Siponto (Titolo progetto Poin asse I: "Manfredonia. Restauro Santa Maria di Siponto e San Leonardo"). Ed ecco prendere forma l'ambiziosa idea di commissionare a Edoardo Tresoldi, giovane e talentuoso artista-scenografo italiano, la realizzazione di una monumentale installazione, fatta di rete metallica, da ancorare al tracciato - riportato in luce dagli archeologi tra 1936 e 1953 - dell'antica basilica paleocristiana di Siponto, prospiciente alla chiesa di Santa Maria Maggiore (cattedrale fino al 1323), che mostri al visitatore l'ipotetica conformazione architettonica del monumento nella sua fase più tarda, quella altomedievale. A tal proposito, è doveroso ricordare che della basilica è nota solo la pianta perimetrale, rimasta inalterata dalla fondazione dell'edificio paleocristiano, e che si ignora totalmente il suo aspetto esterno, quindi qualsiasi conformazione conferita alla struttura metallica, quand'anche dietro suggerimento di archeologi e storici dell'arte, manterrebbe carattere rigorosamente ipotetico.

Nell'estate del 2015 la soprintendenza contatta Tresoldi, che con la rete metallica è capace di compiere meraviglie. Nelle sue mani, e in quelle del suo affiatato gruppo di amici, la rete si trasforma in sculture semitrasparenti che assumono le fattezze di corpi umani e di monumentali scheletri architettonici. Tresoldi, che già aveva realizzato analoghe installazioni in Italia e all'estero per eventi in prevalenza temporanei, come accaduto nel 2015 in occasione del festival musicale di Abbots Ripton in Inghilterra o, sempre nello stesso anno, per il Meeting del mare presso Marina di Camerota, non ci pensa due volte ad accettare la prestigiosa commissione pubblica.

Dopo mesi di duro lavoro, Tresoldi & company, affiancati da architetti, ingegneri, tecnici e operai della soprintendenza, portano a compimento l'opera. Sul tracciato dell'antica basilica paleocristiana prende vita una struttura di intricati reticolati di fili metallici, capace di incantare lo spettatore con effetti che ricordano la realtà virtuale, specialmente di sera, quando la luce artificiale crea spettacolari suggestioni visive. Effetti ampiamente documentati dalle tv e dai giornali accorsi in occasione dell'inaugurazione di venerdì 11 marzo.

Fermo restando bravura e originalità dell'artista nostrano, che ai microfoni del Tg1 ha dichiarato con soddisfazione che la sua "è la più grande struttura costruita interamente in rete al mondo", non possiamo sottovalutare un fattore di capitale importanza: l'installazione non è in grado, per via della sua connaturale composizione a rete, di "conservare" (nel senso scientifico del termine) il monumento sottostante. Eppure, l'obiettivo principale era o non era la conservazione del monumento? Le parole del soprintendente Luigi La Rocca sono illuminanti: il progetto "nasce da un'esigenza di carattere conservativo, cioè la copertura delle strutture antiche, in particolare dei mosaici della basilica paleocristiana e le strutture emergenti di questa chiesa". Si capisce bene, allora, che l'obiettivo non può che essere sfumato, non solo perché la pioggia attraversa la rete metallica fluendo verso il basso, dove si trovano mosaici e persistenze archeologiche, ma soprattutto perché l'installazione è stata ancorata proprio su queste ultime, come si evince chiaramente dall'abside (danneggiandole irreparabilmente?). Ulteriore aspetto da tenere in debita considerazione è che risulta seriamente compromessa la leggibilità dell'intera area archeologica (la struttura installata non è certo invisibile o virtuale, tutt'altro) e, in particolare, dell'antica basilica di Santa Maria Maggiore. Perché è così importante ai fini scientifici la leggibilità di un monumento? Perché proprio nella "leggibilità" è racchiuso il senso del nostro patrimonio culturale, che ha bisogno di mostrarsi senza veli, senza inutili artifici e sovrastrutture, allo sguardo dello spettatore, per permettergli di cogliere quell'intreccio di storia e arte da cui discende il presente. E in questa prospettiva, la piena leggibilità è garanzia di un monumento vivo, ben conservato e autenticamente pubblico.

Per comprendere l'entità del danno cagionato all'intera area archeologica di Santa Maria di Siponto basterà un esempio: è come se le strutture mancanti del Colosseo o della basilica Emilia di Roma venissero "integrate" con sezioni in rete metallica permanenti. A chi verrebbe in mente di farlo? A nessuno, si spera. Il guaio è che l'area archeologia di Siponto non gode della fama dei soliti monumenti noti e quindi può ben essere stravolta, e resa illeggibile, nell'indifferenza collettiva e con tanto di soddisfazione da parte degli "avanguardistici" responsabili della stessa soprintendenza, che per legge sono deputati a garantire, in nome e per conto del Popolo italiano, conservazione, salvaguardia e tutela dei monumenti di proprietà pubblica di loro pertinenza.

È per tutte queste ragioni che la soprintendenza per i Beni archeologici della Puglia dovrebbe operare l'immediato smantellamento della voluminosa (14 metri di altezza) e pesante (7 tonnellate) struttura metallica, installata, per giunta con denaro pubblico (900 mila euro il solo costo per la realizzazione dell'opera), nel fragile sito archeologico di Santa Maria di Siponto. Un progetto che non sembra avere la ben che minima validità scientifica, tantomeno conservativa, e che si avvale di un'interpretazione arbitraria della parola "valorizzazione", che non consiste nell'installare un'"attrazione" (con tutto il rispetto per l'opera di Tresoldi) in prossimità di un monumento allo scopo di richiamare più visitatori, ma - come decretato dall'articolo 6 del Codice dei Beni culturali e del paesaggio - nell'attuare azioni, non pregiudizievoli per la conservazione, la tutela, l'integrità e la visibilità dei beni coinvolti e rigorosamente compatibili con il carattere storico-artistico degli stessi e col paesaggio circostante, volte a "promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso".

L'aspetto più grave di questa vicenda, però, è che tutto sia partito, paradossalmente, dagli stessi enti pubblici preposti alla tutela e alla salvaguardia del sito archeologico di Siponto. Da storico dell'arte mi chiedo, e chiedo ai responsabili della soprintendenza archeologica pugliese e al ministro dei Beni culturali Dario Franceschini, come sia possibile che un simile progetto sia stato - nell'ordine - formulato, approvato, commissionato e realizzato senza che nessuno all'interno della soprintendenza e del ministero muovesse il minimo dubbio sulla compatibilità dell'intervento con l'area archeologica interessata e sui possibili danni, materiali e immateriali, derivanti ai monumenti. Il progettista e direttore dei lavori Francesco Longobardi, in un'intervista al Tg1, ha dichiarato che si è trattato di "un progetto dove abbiamo trasferito in un sito archeologico la terza dimensione e abbiamo ridato identità a questo luogo, ricreando le suggestioni, le emozioni di chi viveva al tempo questa basilica".

Bella pretesa pensare di ridare identità a un luogo con le suggestioni e le emozioni della terza dimensione! La triste realtà è che, senza nulla togliere al fascino dell'opera di Tresoldi, nel Parco archeologico di Siponto è stato palesemente leso l'articolo 9 della Costituzione ("La Repubblica ... tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione") e si è smarrita, con la pretesa di un presunto dialogo tra antico e contemporaneo, proprio quella identità che i monumenti possedevano, e che forse potrebbero ancora riacquistare se l'installazione da "permanente" diventasse, come si auspica, "temporanea". Senza considerare il fatto che l'installazione, qualora non rimossa, rappresenterebbe un pericoloso precedente per altre strampalate profanazioni di luoghi e monumenti del nostro fragile patrimonio culturale.

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