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Domenica, 28 Aprile 2024
Cronaca Vieste

Al via il processo per l'omicidio Solitro, il Comune di Vieste parte civile: "Lesa l'immagine della città"

Imputati nel procedimento sono il 38enne Giovanni Iannoli e il collaboratore di giustizia Danilo Pietro Della Malva, quest’ultimo a giudizio dinanzi al gup di Bari. Le accuse, in concorso, sono di omicidio premeditato e aggravato

Nel giorno della cattura dei latitanti Marco Raduano e Gianluigi Troiano, il Comune di Vieste si è costituito parte civile nel processo, incardinato dinanzi alla Corte d’Assise di Foggia, per l’omicidio di Marino Solitro, 50enne garganico assassinato nell'aprile del 2015, con due fucilate al petto.

Imputati nel procedimento sono il 38enne Giovanni Iannoli e il collaboratore di giustizia Danilo Pietro Della Malva (quest’ultimo a giudizio dinanzi alla gup di Bari, Anna Perrelli), con le accuse, in concorso, omicidio premeditato e aggravato. Entrambi furono arrestati dai carabinieri, nell’ottobre scorso, in esecuzione di una ordinanza di custodia cautelare richiesta della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari.

L’istanza di costituzione di parte civile è stata avanzata dall’avvocato Michele Fusillo, che rappresenta l’ente: “Il fatto di sangue ha causato grande eco e clamore mediatico”, ha argomentato in aula il legale. “Tutto ciò ha leso non solo l’immagine del Comune ma l’intera collettività. Inoltre - ha aggiunto - non è il primo processo nel quale l’ente decide di partecipare: da ormai 15 anni, sistematicamente, il Comune di Vieste si costituisce parte civile in tutti quei processi in cui è ravvisata l’aggravante mafiosa o l’associazione mafiosa”.

L’istanza, nonostante l’opposizione mossa dalla difesa - avvocato Michele Arena con la collega Ippolita Naso del Foro di Roma -, che si è richiamata alle recenti interpretazioni della Legge Cartabia, è stata accolta dalla Corte dopo una breve Camera di Consiglio.

L’apertura del dibattimento, invece, è slittata a fine marzo a causa del difetto di notifica nella comunicazione di giudizio immediato per una delle parti offese. Nel complesso, sono una trentina i testi (alcuni in comune) indicati nelle liste di pubblica accusa (pm Ettore Cardinali della Dda di Bari), difesa e parti civili. Tra questi, figurano anche sei collaboratori di giustizia della mafia garganica. All’udienza ha assistito, in collegamento dal carcere di Siracusa, il 38enne Iannoli, in attesa di giudizio davanti alla Corte d'Assise di Foggia anche per l'omicidio di Antonio Fabbiano.

LA VICENDA | L'omicidio di Marino Solitro avvenne la sera del 29 aprile di otto anni fa: l'uomo, è stato ricostruito, stava attraversando a piedi il vialetto d’accesso alla sua abitazione quando i sicari (verosimilmente due) hanno aperto il fuoco, uccidendolo. Il 50enne è stato raggiunto al torace da almeno un paio di colpi di fucile calibro 12. Per lui non c'è stato nulla da fare.

L'accusa, in concorso, è di omicidio premeditato, porto illegale di armi da fuoco e ricettazione, aggravati dal metodo e dall’agevolazione mafiosa: “Della Malva e Iannoli, dopo essersi introdotti all'interno del cortile della vittima e averne atteso il rientro nascosti, colpivano Solitro alla spalla con due colpi di fucile, e poi Iannoli, utilizzando il calcio del fucile, lo colpiva alla testa, tanto da provocagli la morte”, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare. 

Il fatto - di cui si conoscono i presunti esecutori, ma non i mandanti - è stato “commesso con metodo mafioso” puntualizza nelle carte il gip Giuseppe Battista. Le indagini, infatti, riconducono il fatto di sangue alla volontà di consolidare l’egemonia criminale del clan ‘Raduano/Perna’ nel territorio di Vieste attraverso l’eliminazione della vittima, accusata di rifornirsi di stupefacente da canali di approvvigionamento diversi da quelli imposti dalla consorteria mafiosa e di avere fatto, in passato, ricorso alle forze di polizia per denunciare i comportamenti criminosi di un affiliato.

Dopo l’omicidio di Solitro, consumato in concorso (Della Malva avrebbe fornito l’arma, Iannoli la impugnava) si registra la frattura, sia tra i due - con il primo rimasto fedele a Marco Raduano e il secondo al clan capeggiato da Girolamo Perna - che della compagine stessa. Fondamentale per la ricostruzione dei fatti è stato l’apporto dei collaboratori di giustizia Orazio Coda e Giovanni Surano, di Vieste, Andrea 'Baffino' Quitadamo e Alessandro Mastrorazio, rispettivamente di Mattinata e Foggia.

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