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Cronaca

Quando la retorica infierisce sulle ferite della città

Il punto di vista dopo i fatti di Foggia-Catanzaro

È il 5 dicembre 2021. Al 'Ceravolo' sta iniziando Catanzaro-Foggia. Gli ultra rossoneri si apprestano a fare il loro ingresso nel settore ospiti, quando si consuma la tragedia. Un agente di polizia, durante il servizio di scorta, si accascia a terra per un malore. Tra i soccorritori anche un supporter rossonero. L'agente viene ricoverato, ma si spegnerà cinque giorni dopo.

I tifosi foggiani accedono allo stadio, ma nella curva ospite regna un silenzio quasi surreale. Nessuno striscione viene esposto, nessuna bandiera viene sventolata. Ci si limita a guardare la partita, in segno di ideale vicinanza all'agente. Poco dopo si uniranno a loro anche i tifosi di casa, una volta venuti a conoscenza dell'accaduto. Il gesto riceve il plauso del diesse del club calabrese: “Quello che hanno fatto oggi i tifosi del Foggia rimarrà nel cuore di tutti”.

Ma è un gesto che rimane relegato nei confini locali, senza riscuotere l'eco che meriterebbe. Non perché gli ultras desiderino o necessitino di avere le luci della ribalta piantate sulla fronte. Ma per quella necessità, per non dire dovere, di garantire spazi equilibrati agli episodi. Viceversa è realtà alterata.

Lunedì 11 aprile, allo 'Zaccheria' è di nuovo Foggia contro Catanzaro. Tra gli ospiti c'è Pietro Iemmello, un tempo idolo della piazza che lo aveva incoronato 'Re'. I sentimenti ora sono opposti. Le due curve non perdono occasione per farlo presente, fischi e buu di disapprovazione accompagnano ogni tocco di palla, i cori offensivi si propagano quando l'attaccante segna il gol del pareggio e quello dell'1-4. L'acme viene raggiunta a metà ripresa dopo che l'arbitro ha concesso un rigore al Catanzaro, procurato da Iemmello, intenzionato a calciare il rigore della tripletta, sotto la Nord. Quello che è accaduto subito dopo, è ormai di dominio pubblico.

Il destino ha voluto che la Foggia calcistica desse il meglio e il peggio di sé contro lo stesso avversario. Dalla profonda umanità di quella domenica di inizio dicembre, ai comportamenti belluini di un lunedì sera di inizio aprile.

Con una sostanziale differenza: la tripla invasione, la tentata aggressione, il lancio di oggetti, sono finiti su tutti i siti nazionali. Quasi un pretesto per sbattere il mostro Foggia in prima pagina. Per alcuni, anche alterando la realtà (c'è chi ha parlato di “schiaffoni”). Qualcun altro ha pensato finanche di precisare che la Procura di Foggia e Dda di Bari non stanno indagando sulle presunte infiltrazioni mafiose nella tifoseria foggiana. Hai visto mai. Perché la mafia è come un paio di jeans, va bene per tutte le stagioni. Non bastava la retorica degli stadi covi di violenti, luoghi da cui tenere lontani i bambini. Nel caso di Foggia, aggiungere anche il fattore malavita è propedeutico a saziare la fame di sensazionalismo di molti.

Un approccio concettuale profondamente sbagliato e intellettualmente disonesto. Perché a un certo punto, monta anche la stanchezza nel dover precisare che fare di tutt'erba un fascio è un sport terribilmente malsano, malgrado lo pratichino in molti. Foggia è la terra della Quarta Mafia, ma Foggia e mafia non sono sinonimi, come Cosa Nostra, 'Ndrangheta e Camorra non sono sinonimi di Sicilia, Calabria e Campania; a egual guisa i tifosi foggiani non sono tutti violenti. Non è banalità, ma una verità che in molti fanno finta di ignorare. È un refrain stucchevole più di un tormentone estivo, che già sei anni fa, dopo la finale playoff con il Pisa, toccò ascoltare e contestare.

Dopo di che, si può discutere di tutto il resto. A cominciare dal servizio di prevenzione allo stadio che evidentemente ha funzionato poco. La compagna di Iemmello, legittimamente spaventata, lo ha fatto presente, giustamente. Ma nel suo post, oltre agli inciampi grammaticali peraltro non infrequenti, si ignora che quanto accaduto a Foggia è solo uno dei tanti tristi episodi che accadono a tutte le latitudini e in tutte le categorie. Per tacere di ciò che va in scena sul campo, dalle risse tra calciatori agli arbitri selvaggiamente picchiati. La differenza sta forse nel livello di visibilità che è più comodo attribuire. E Giulia Elettra Gorietti dovrebbe saperlo, visto ciò che capitò al suo compagno nella “civile” Perugia, dopo che un suo rigore sbagliato costò la retrocessione agli umbri. A meno che le maglie di Iemmello e di alcuni suoi compagni appese a un cavalcavia, accompagnate dal messaggio “Vi vogliamo così”, non fossero da considerare una simpatica goliardata.

La nefasta serata di lunedì è lo specchio di un sistema calcio malato in tutti i livelli (e quello delle strutture è uno dei problemi più rilevanti), che guarda con onanistica deferenza agli ultramoderni e sempre ordinati stadi inglesi, mentre in Italia si perde il conto degli stadi fatiscenti, vecchi, lerci e cadenti, dove una buona percentuale di steward non sono tutori dell'ordine, ma spettatori non paganti. Ed è forse su questa e altre criticità che si sarebbe dovuta e si dovrebbe frequentemente focalizzare l'attenzione, sul perché il calcio Italiano sia fermo agli anni '90 in molti ambiti, senza propinarci per l'ennesima volta la solfa della città meridionale culla dell'incivilità. 

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