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Lunedì, 29 Aprile 2024

La caccia al "fantasma" che ha ucciso Franca Marasco: "Visionate più di 50 ore di riprese per individuarlo"

La ricostruzione dell'attività di indagine che ha portato all'arresto del presunto autore dell'omicidio della tabaccaia in via Marchese de Rosa

Cinque giorni di lavoro serrato, per dare volto al presunto assassino di Franca Marasco. Cinque giorni per assecondare il “bisogno di trovare il colpevole” e fronteggiare “l’allarme sociale” della comunità, come ha dichiarato il Procuratore della Repubblica Ludovico Vaccaro. L’esiguità del tempo intercorso tra l’omicidio e il fermo del soggetto gravemente indiziato fotografa a dovere la straordinarietà dell’operazione - che ha ricevuto il plauso del Prefetto - attraverso la quale i Carabinieri della Compagnia di Foggia e del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale di Foggia con il supporto della Procura di Foggia, hanno fermato il presunto omicida.

Una operazione complessa sin dalle fasi iniziali: “Stavamo cercando un fantasma, non sapevamo nulla, né il sesso, né se fosse solo o come fosse vestito”, ha commentato il Comandante provinciale Miulli, che ha sottolineato a più riprese le svariate criticità che la mancanza di un vero punto di partenza ha cagionato.

Problemi che partono dalla assenza di telecamere di videosorveglianza all’interno dell’esercizio commerciale – ragion per cui quel che è successo si può ricostruire in base alla scena del crimine o alle dichiarazioni rilasciate dall’indiziato durante l’interrogatorio – e nella zona. Criticità, quest’ultima, sulla quale il Procuratore non ha lesinato critiche: “Questa è una città oggettivamente insicura e poco illuminata in determinate zone. La mancanza di illuminazione e di videocamere determina l’incremento dei reati, il criminale sa che in determinate zone è più facile commetterli. Ciò ci rende difficoltoso reprimere reati, come i furti d’auto per i quali, senza telecamere, ogni attività di indagine è preclusa”.

Difficile, pertanto, chiedere collaborazione alla cittadinanza: “Ecco perché insisto sulla necessità di un incremento delle videocamere pubbliche, installate da organi pubblici e gestite direttamente dalla polizia giudiziaria. Un sistema integrato con quelle private; a riguardo ho più volte richiamato l’attenzione anche delle organizzazioni degli esercenti sulla necessità di collaborare da questo punto di vista. Ma la sensazione è quella di chi ha vinto una partita, ma che è conscio delle debolezze della squadra, debolezze strutturali e non riguardanti gli uomini”.

Il complesso incipit ha costretto gli inquirenti a mappare un’area piuttosto vasta: nel corso dei cinque giorni di indagini sono state passate al setaccio le immagini di oltre 25 telecamere (quasi tutte private) e visionate più di 50 ore di riprese: “Molte inutili, ma che siamo stati costretti a visionare perché non potevamo sapere in quali riprese sarebbe stato inquadrato l’eventuale sospettato. Per visualizzare 50 ore occorre almeno il doppio del tempo”, ha puntualizzato Miulli. Tempo richiesto perché nessun particolare fosse trascurato, a cominciare dal “punto nero” all’altezza del viso del sospettato, che si è rivelata una mascherina chirurgica. Un’altra criticità è stata quella relativa al cambio d’abito: “A un certo punto il sospettato sembrava essere svanito. Per questo abbiamo dovuto riprendere daccapo il lavoro d’analisi, fino a quando non abbiamo trovato un soggetto con le stesse caratteristiche antropometriche, ma vestito diversamente. Non aveva il cappellino e indossava dei bermuda. Abbiamo avviato il pedinamento elettronico dal momento in cui il sospettato si è disfatto dei vestiti in via Mameli”.

Sul luogo preciso nel quale l’uomo si sarebbe cambiato, il Procuratore ha glissato. Le indagini sono ancora in corso e non si può ancora escludere che il presunto assassino abbia beneficiato della complicità di un altro soggetto.

“È stata una partita connotata da tantissime difficoltà e momenti di tensione. Ma tessera dopo tessera siamo riusciti a ricostruire il mosaico”, ha commentato il tenente colonnello Giuseppe Vecchia, in procinto di lasciare il Comando di Foggia, non prima però di assicurare alla giustizia l’autore di un crimine che ha generato grande tensione emotiva: “La vittima era una donna anziana, indifesa, morta all’interno del proprio esercizio dove svolgeva attività lecita e rispettabile. A pochi giorni dalla mia partenza sentivo il dovere morale di restituire a tutti i cittadini la certezza che lo Stato c’è e che certe cose non possono restare impunite”.

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