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Cronaca

Il 'salto' del pm Gatti, dal lavoro in trincea contro la 'Quarta Mafia' alla Dnaa: "Il 'noi' simbolo della lotta in Capitanata"

Dalla DDA di Bari alla Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo. Il 'salto' del pm Giuseppe Gatti, titolare di numerose inchieste sulle mafie del Foggiano e profondo conoscitore del fenomeno che insanguina il territorio

Dalle fila della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, il pm Giuseppe Gatti ha avuto modo di conoscere e analizzare dinamiche, caratteristiche e mutazioni delle mafie che, dal Tavoliere al Gargano, insanguinano la Capitanata. E, soprattutto, di contribuirne al contrasto, attraverso le importanti operazioni che si sono susseguite sul territorio, continue randellate che hanno indebolito (in alcuni casi ‘decapitato’) le organizzazioni criminali, rafforzando - di contro - l’idea, nella società civile, che combattere le mafie è possibile. Anni impegnativi, che hanno reso Gatti - barese di 45 anni, in magistratura da quando ne aveva 27 - un ‘esperto’ della materia, portandolo al ‘salto’ nella Dnaa, Direzione Nazionale Antimafia e Antiterrorismo, al fianco del procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho.

Gatti, si chiude una esperienza importante nelle fila della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, a lavoro in trincea contro alcune delle organizzazioni criminali più pericolose d’Italia. Su tutte la Quarta Mafia. Che esperienza è stata?

Un’esperienza difficile e complicata ma allo stesso tempo straordinariamente coinvolgente. Si, perché, da un lato, mi sono ritrovato a dover fare sempre più i conti con un fenomeno mafioso quanto mai imponente e pervasivo; dall’altro, ho avuto sempre più modo di apprezzare l’importanza del lavoro di squadra e la grande fortuna che ho avuto nel condividere i miei anni alla DDA di Bari con persone straordinarie, sia dal punto di vista professionale che dal punto di vista umano.

Delle mafie foggiane ha avuto modo, in questi anni, di conoscerne il volto più spietato e crudele. Parliamo di criminalità pericolose e feroci, dagli assetti e interessi mutevoli e dalle dinamiche ‘liquide’ perché in continuo divenire...

Le mafie foggiane hanno una peculiarità che le rende in qualche modo “speciali”. Hanno saputo, infatti, strutturarsi e svilupparsi secondo un modello che, per anni, si è rivelato vincente, un modello che ha saputo coniugare la tradizione con la modernità, la mafia militare con la mafia degli affari. La tradizione è quella della ‘ndrangheta, il familismo mafioso della ‘ndrangheta. La tradizione è anche quella della camorra cutoliana, la ferocia spregiudicata della camorra cutoliana. La modernità è invece la capacità di interloquire con la criminalità organizzata transnazionale, di infiltrarsi efficacemente nel tessuto sociale economico e politico amministrativo, come dimostrano anche i numerosi casi di scioglimento per mafia di amministrazioni comunali del territorio dauno.

Il 9 agosto 2017 rappresenta una data spartiacque, che segna un prima e un dopo nel confronto con la criminalità organizzata. L’Italia ha scoperto la Quarta Mafia, il territorio è stato costretto a guardarsi allo specchio…

Si, il quadruplice omicidio è stato un momento tremendo, che ha segnato profondamente un territorio già da tempo martoriato da una violenza spietata e sanguinaria. Normalmente si tende a liquidare le guerre tra clan come un regolamento di conti interno ai circuiti mafiosi, come “fatti loro”, come cose che non ci possono e non ci devono riguardare. Il sangue innocente versato in quel tragico infuocato giorno di agosto ha drammaticamente chiamato in causa la comunità foggiana e l’intera nazione, facendo percepire, forse mai come prima, che le mafie foggiane sono una emergenza nazionale, una terribile piaga sociale che riguarda ciascuno di noi e che ci chiama in causa in prima persona. Insomma, penso si sia oramai capito che è venuto per tutti il tempo di schierarsi e di decidere veramente da che parte stare.

Quanto il precedente ventennio (o anche più) di 'negazionismo' ha contribuito ad incancrenire la situazione, a fortificare e radicare la mafia nel territorio?

Certamente la negazione, o comunque l’enorme sottovalutazione del fenomeno, harappresentato un fattore importante che ha consentito a queste mafie di crescere e prosperare. Non si è trattato tuttavia di una situazione che ha riguardato solo le mafie foggiane. In realtà, tutte le mafie nel loro processo di affermazione sul territorio di riferimento hanno sempre beneficiato di una fase iniziale in cui società civile ed istituzioni hanno fatto fatica a riconoscere e ad accettare di avere “a casa propria” un problema così grave. Un approccio assolutamente sbagliato, perché se hai un problema serio da superare, quel problema lo devi affrontare, ma per affrontarlo lo devi prima riconoscere. Ed è proprio questa la cosa più difficile.

'Alle mafie diciamo no-i’ è il titolo di un libro che ha scritto a quattro mani con Gianni Bianco. Ma è anche (soprattutto) un invito. Quanto, in questa fase, è importante la reazione della società civile e cosa si può fare nel concreto?

Sono sempre più convinto che la vera potenza della mafia risieda essenzialmente nel vuoto lasciato sul territorio dalla comunità e dalle istituzioni, un vuoto che genera solitudine, una solitudine che schiaccia, che opprime, che genera senso di rassegnazione e che uccide la speranza. Reagire alla mafia vuol dire proprio questo, vincere la solitudine. E questo lo possiamo fare solo insieme, facendo confluire la testimonianza personale in un grande progetto di riscatto comunitario, contrapponendo alla potenza dell’Io-mafioso la straordinaria e incontenibile forza del Noi.

In che modo capitalizzerà l’esperienza maturata nella Direzione Distrettuale Antimafia di Bari? E come, dall’avamposto nazionale, potrà continuare a seguire la realtà di Capitanata?

Questi anni alla DDA di Bari mi hanno fatto comprendere l’importanza della squadra, di come il contrasto alle mafie debba essere sviluppato e strutturato secondo lo schema della rete, con una cooperazione costante tra i diversi organismi. E’ quello che sta succedendo nel foggiano, dove la DDA di Bari e la Procura di Foggia, oramai da anni, lavorano insieme gomito a gomito, dove poliziotti, carabinieri e finanzieri operano sul territorio in perfetta sinergia, mettendo tutti reciprocamente a disposizione degli altri i propri patrimoni di conoscenza e di professionalità. E i risultati sul campo sono sotto gli occhi di tutti. La Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo è una parte fondamentale di questa squadra: se oggi la mafia foggiana è diventata una emergenza nazionale lo dobbiamo anche e soprattutto alla straordinaria attenzione della DNAA nei confronti di questo fenomeno. La recente venuta a Foggia del Procuratore nazionale Federico Cafiero De Raho, il suo invito ad una ribellione collettiva difronte all’arroganza mafiosa, la vicinanza e il sostegno manifestato nei confronti delle vittime e di quanti, a vario titolo, stanno dedicando la loro vita e le loro energie per l’affermazione della legalità, la dicono lunga su quanto la DNAA abbia a cuore questo territorio e la sua gente.

Se dovesse eleggere un simbolo della lotta alla mafia in Capitanata (un individuo, una esperienza, un particolare momento vissuto) in chi o in cosa lo identificherebbe?

La mafia continua certamente a farsi sentire in tutta la sua pericolosa carica di violenza, ma non siamo più all’anno zero. Lo Stato è sempre più presente, al contrasto giudiziario si affianca una altrettanto significativa e sinergica attività di contrasto amministrativo da parte della Prefettura di Foggia. Si lavora insieme, si fa sistema insieme. E questo sta facendo crescere la fiducia della gente, che è la cosa più importante, perché si vince quando istituzioni e società civile fanno squadra tra di loro. La manifestazione di 'Libera' del 10 gennaio è l’immagine più emblematica di quella che mi piace definire l’Antimafia del Noi: contro la mafia delle bombe, 20.000 persone scendono in piazza a Foggia, 300 associazioni si mettono insieme, ci sono anche le istituzioni, anche loro in mezzo alla gente. Sul palco, con l’instancabile don Luigi Ciotti, ci sono i familiari delle vittime delle mafie foggiane con le loro preziose testimonianze di vita, anche loro insieme. Ecco dunque il simbolo della lotta alla mafia in Capitanata: non è un singolo individuo, non è una singola esperienza, non è un singolo momento vissuto. E’ semplicemente il “Noi”.

Perché è la 'Bellezza' che salverà Foggia (e noi non dovremmo smettere mai di pretenderla)

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