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Calcioscommesse, Signori racconta i suoi "10 anni terribili" prima dell'assoluzione: "Ero considerato il boss"

A Verissimo l'ex bomber di Foggia, Lazio e Bologna ha parlato della sua vicenda giudiziaria, raccontata anche nel libro 'Fuorigioco'. "È stata veramente dura. Ovvio che in queste circostanze la famiglia, mia moglie e i figli mi sono stati vicini"

Un inferno durato dieci anni, fino all'assoluzione dello scorso anno. Beppe Signori ha affidato a un libro ('Fuorigioco', che uscirà martedì prossimo, ndr) per raccontare la sua esperienza durante l'inchiesta per calcioscommesse, a partire dal 1° giugno 2011.

Ricordi che ha condiviso durante la puntata di Verissimo andata in onda ieri pomeriggio: "Sono stati dieci anni terribili, sotto ogni punto di vista. È stata veramente dura. Ovvio che in queste circostanze la famiglia, mia moglie e i figli mi sono stati vicini", ha dichiarato l'ex numero 11 del Foggia di Zemanlandia. Fatica a trattenere le lacrime nel ricordare quel che accadde il 1° giugno: "Mi trovavo a Roma dai miei figli e ricevetti una telefonata da mia moglie che mi disse che erano venuti a perquisire la casa a Bologna. Mi annunciò che avrei ricevuto una telefonata e che due agenti mi avrebbero atteso alla stazione Termini per portarmi alla questura di Bologna. Trovai due poliziotti in borghese, mi parlarono di società e pensai alle società che gestisco con mio padre. Poi mi chiamò mia sorella piangendo e mi chiese in quale carcere mi trovassi, perché tutte le tv stavano annunciando il mio arresto per calcioscommesso. Arrivato alla questura di Bologna ho preso il mio fascicolo e ho fatto i miei 12 giorni di domiciliari". 

Da lì è cominciata una battaglia durata dieci anni, durante la quale Beppe gol ha combattuto insieme all'amica e avvocata Patrizia Brandi per dimostrare la propria estraneità ai fatti: "Lei è sempre stata convinta della mia innocenza. Abbiamo intrapreso questo cammino, siamo due persone orgogliose. Ho rinunciato alla prescrizione perché poteva sembrare un'arresa. Non è mai facile rimanere nel grigiore della prescrizione. Volevo dimostrare la mia innocenza e la nostra caparbietà ci ha portati a questo grandissimo risultato. Ora posso respirare un po'". 

"Ero accusato di tutto, dall'associazione a delinquere al riciclaggio. Ero considerato il boss di un'associazione di delinquenti", ha aggiunto. "In passato facevo scommesse come quella del buondì Motta da mangiare facendo 30 passi o altre in allenamento, ma non ho mai scommesso per alterare le partite". 

Un decennio caratterizzato anche da seri problemi di salute: nel 2019 fu colpito da una embolia polmonare: "Avevo un dolore alla schiena, andai a fare una radiografia, c'era una macchia. Avevo già avuto qualche segnale, ogni tanto perdevo sangue dalla bocca, ma non gli diedi molta importanza. Poi decisi di fare una radiografia perché avevo dolore alla schiena, c'era una macchia. A quel punto il prof. Nava mi disse che si poteva trattare di  un tumore oppure un embolo mi aveva bucato un polmone. Durante l'elettrocardiogramma, il mio cuore cominciò a impazzire, stavo per avere un infarto, fortuna ero già ricoverato. Ringrazio tutti i medici, che in quel momento sono stati i miei angeli". 

Nella lunga intervista Signori ha parlato anche di fede e di una canottiera speciale, indossata tutte le partite dall'esordio a Foggia fino all'ultima gara col Bologna nel 2004: "Mia madre la fece benedire da Padre Pio. Mi ha accompagnato per tutta la carriera, adesso la custodisco gelosamente a casa. È parte di me". 

Chiusura sul futuro: "Ho preso il patentino Uefa pro, potrei allenare tutte le squadre. Ma visto che ho cinque figli, penso che i bambini mi darebbero più soddisfazione. Mi piacerebbe allenare in un settore giovanile". 

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