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La parità di genere nei piccoli comuni può aspettare: dal Tar Puglia lasciapassare a una Giunta tutta al maschile

Respinto il ricorso presentato dai consiglieri di opposizione di Panni, in provincia di Foggia, che reclamavano la nomina di almeno un'assessora. Prevale il principio di attribuzione fiduciaria delle cariche

Nessuna donna di fiducia del sindaco è disposta ad accettare la carica di assessore, e la Giunta di un piccolo comune dei Monti Dauni può farne a meno, in nome della governabilità. Il principio di attribuzione fiduciaria delle cariche è preminente rispetto alla parità di genere e a statuirlo sono i giudici della Sezione Prima del Tar Puglia in una sentenza destinata a fare giurisprudenza. Il paese della provincia di Foggia è Panni, comune con popolazione inferiore ai 3mila abitanti, circa 700 su carta.

L’opposizione aveva impugnato le nomine di Venturino De Cotiis, vice sindaco e assessore all’Agricoltura, e di Antonio Mario Gerardo Mauriello, assessore ai Lavori Pubblici e Urbanistica, e la relativa presa d’atto del Consiglio comunale del 21 ottobre 2021, invocando gli articoli 6 e 46 del Tuel e l’articolo 51 della Costituzione che sanciscono tutti condizioni di eguaglianza, pari opportunità tra uomo e donna e la presenza di entrambi i sessi nelle giunte.

Il ricorso era stato depositato lo scorso 7 gennaio. I consiglieri di minoranza Pasquale Ciruolo, ex sindaco, Danida Mansolillo, ex vice sindaco, e Silvia Spada, davanti all’evidenza di un esecutivo tutto al maschile, denunciavano la violazione del principio di parità di genere e reclamavano la nomina di almeno un’assessora.

Il Comune di Panni si è costituito in giudizio. L’udienza era stata fissata al 26 gennaio. Sentite le parti e visti gli atti, i magistrati della Sezione Prima – presidente Angelo Scafuri, consiglieri Vincenzo Blanda e Desirèe Zonno, relatrice nella camera di consiglio – si sono pronunciati respingendo il ricorso con una sentenza in forma semplificata, pubblicata il giorno dopo. 

Il sindaco Amedeo De Cotiis ha dimostrato, agli occhi dei giudici, l’effettiva impossibilità di assicurare la presenza dei due generi. È stato constatato come nessuna donna di sua fiducia da lui interpellata avesse reso la disponibilità ad accettare la carica. “Tanto è ammesso dagli stessi ricorrenti”, scrivono tra parentesi i magistrati, ad avvalorare la circostanza. Verificata l’indisponibilità dell’unica consigliera di maggioranza e sondata, evidentemente, la possibilità di reclutare all’esterno “soggetti femminili”, come li chiama il Tar, la Giunta monogenere è legittima.

“Il principio di parità di genere – si legge nel dispositivo - va, comunque, ritenuto recessivo rispetto a quello di attribuzione fiduciaria delle cariche di giunta che, per la loro natura politica, sono naturalmente soggette al criterio dell’assegnazione agli appartenenti allo schieramento politico di maggioranza, solo in tal modo garantendosi la corretta gestione ed amministrazione dell’Ente e la sua effettiva governabilità”.

Si può allora andare in deroga al principio della parità di genere. Né, tantomeno, anche qualora fosse disposta a ricoprire l’incarico, potrebbe entrare in Giunta una consigliera di opposizione. “L’ambizione dei ricorrenti, espressione della minoranza, di vedere nominata una consigliere di minoranza in giunta, in ossequio all’invocato principio di parità di genere (non essendo disponibile alcuna donna espressione della maggioranza) - affermano i giudici - è manifestamente infondato ed ancor prima inammissibile per difetto di interesse, non potendosi riconoscere giudizialmente l’utilità ambita”.

Il sindaco, per la cronaca, avendo affidato l’incarico ad un legale esterno, ha rinfacciato pubblicamente al gruppo di minoranza la spesa a carico del Comune di 5.389 euro per la causa, perché i consiglieri che hanno perso il ricorso non sono stati condannati al pagamento delle spese legali, che si ritengono compensate, in deroga alla regola della soccombenza, “in ragione della novità e particolarità della questione”.  

Per quanto sia, probabilmente, una magra consolazione per l’opposizione, è un particolare che riconosce come sia ancora irrisolta la questione della parità di genere nei comuni sotto i 3mila abitanti, chiaramente normata per i comuni più grandi (“nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura inferiore al 40 per cento”) e, di conseguenza, certifica la validità del ricorso.

Al di là delle beghe e della fisiologica dialettica politica, i consiglieri volevano far valere un sacrosanto principio, difeso anche dalla Costituzione, concetto addirittura rafforzato con un addendum, meno di 20 anni fa: “La Repubblica promuove con appositi provvedimenti le pari opportunità tra donne e uomini”. Da qui l’orientamento ad applicare, anche nei comuni con popolazione inferiore ai 3mila abitanti, le disposizioni finalizzate a rendere effettiva la partecipazione di entrambi i sessi alla vita istituzionale, ondivago in mancanza di una specifica previsione normativa. In questo caso, nel bilanciamento tra due principi di pari dignità, prevale il rapporto fiduciario tra sindaco e assessori, e la parità di genere può aspettare.

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