rotate-mobile
Cronaca San Marco in Lamis

Strage di San Marco in Lamis: le motivazioni della condanna all'ergastolo del basista, mancano mandanti ed esecutori

Le motivazioni della sentenza con la quale la Suprema Corte (presidente Giacomo Rocchi) ha reso definitiva la condanna all’ergastolo per il manfredoniano Giovanni Caterino, ritenuto il "basista" della strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017

Depositate le motivazioni della sentenza con la quale la Suprema Corte (presidente Giacomo Rocchi) ha reso definitiva la condanna all’ergastolo, con isolamento diurno per 18 mesi, per il manfredoniano Giovanni Caterino, ritenuto il "basista" della strage di San Marco in Lamis del 9 agosto 2017.

L’uomo, 43enne di Manfredonia, ritenuto vicino al clan dei Montanari, avrebbe guidato l’auto che fece da apripista alla vettura con a bordo il comando che uccise il boss della mafia garganica Mario Luciano Romito, il suo autista Matteo De Palma e i due incolpevoli agricoltori Luigi e Aurelio Luciani.

Nel documento depositato nel mese di dicembre, i giudici confermano integralmente le sentenze già emesse nei precedenti gradi di giudizio e motivano il rigetto del ricorso presentato dai difensori di Caterino, articolato in sette punti. Si tratta perlopiù di ‘difetti di motivazione’ sollevati rispetto all’attendibilità delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia (i pentiti Andrea Quitadamo e Danilo Pietro Della Malva) o al materiale tecnico analizzato.

“Le due sentenze, per una buona parte del materiale probatorio e per la ricostruzione della vicenda che esso ha consentito, si sovrappongono e quindi possono essere lette congiuntamente”, si legge nel documento. “Ciò vale, in particolare, per i rilievi tratti dai dati informativi di natura tecnica, che hanno condotto alla ricostruzione dei movimenti della autovettura Fiat Grande Punto nei giorni precedenti a quello di commissione del fatto criminoso - nel corso dei quali è da ritenersi che fu impegnata in attività di studio del percorso - e nel giorno in cui fu attuato il programma criminoso, e che hanno consentito di affermare che in quei giorni l'autovettura era nella disponibilità del ricorrente”.

Insomma, pur essendo intestata e appartenendo di fatto a un’altra persona, non c’è dubbio che “l'autovettura fu in quei giorni nella disponibilità dell'imputato, che questi la potette usare per le attività di preparazione dell'agguato”. La conoscenza del tragitto, studiato nelle fasi preparatorie dell’agguato, inoltre, avrebbe permesso allo stesso di allontanarsi rapidamente (punte stimate di 175 km/h) dopo il fatto, per rientrare a Manfredonia senza incappare in eventuali posti di blocco delle forze di polizia.

In sede di Appello, inoltre, il quadro probatorio si era arricchito delle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. In particolare, il mattinatese Andrea Quitadamo confermava che Caterino “aveva svolto il ruolo di pedinatore nell'organizzazione dell'agguato” aggiungendo che l'autovettura utilizzata dai killer dell'omicidio di Romito e De Palma era stata recuperata qualche giorno prima dell'agguato “da Giovanni Caterino e che questi aveva svolto il ruolo di 'bacchetta', ossia aveva pedinato le vittime”.

Ancora, Danilo  Pietro  Della  Malva, che apparteneva al clan di Marco Raduano alleato con quello di Mario  Luciano  Romito, ha riferito di aver partecipato ad un summit mafioso nel corso della quale “si rafforzò l'ipotesi che i responsabili dell'agguato mortale fossero i componenti del clan Libergolis. Poco tempo dopo fu incaricato di eseguire un  omicidio a Manfredonia, specificamente di uccidere Giovanni Caterino, dicendogli che faceva parte del clan Libergolis e che aveva preso parte all'omicidio di Romito. Siccome fu successivamente raggiunto da un'ordinanza di custodia cautelare, non prese parte alla spedizione punitiva”. Per il fatto, uno anno dopo, è stato arrestato il nipote di Rocco Moretti.

Caterino si è sempre dichiarato innocente, ma per i giudici c’è una ‘confessione stragiudiziale’, quando lo stesso, alcune settimane dopo la strage, transitando lungo la stessa strada imprecò contro la telecamera che lo riprese mentre durante la fuga: “La bastarda la vedi dove sta?", disse dialogando con il proprietario dell’auto e riferendosi alla telecamera incriminata. Per i giudici la frase è da ritenersi come “implicita ammissione: lui si trovava, era posizionato proprio lì”. Il dialogo, come già evidenziato dalla Corte di Assise di Appello, “ha una chiara e intensa valenza probatoria, nella misura in cui ha consegnato l'ammissione di Caterino di esser stato a bordo dell'autovettura Fiat Grande Punto il giorno del quadruplice omicidio”.

In merito alla responsabilità del ricorrente a titolo di concorso ordinario per  l'omicidio  dei  fratelli  Luciani, “al pari di quanto affermato dal giudice di primo grado, anche la Corte di assise di appello ha inteso dedurre il dolo di concorso dalla modalità di realizzazione del fatto. L'attentato fu eseguito in modo plateale, in un luogo aperto al transito delle persone sito nei presso di una strada provinciale di ordinario scorrimento, in pieno giorno e con l'uso di micidiali armi da fuoco, sì che è logico ritenere che, nella programmazione criminosa, i correi si rappresentarono l'eventualità della occasionale presenza di terze persone e che si determinarono, in assenza di ogni altra cautela per fronteggiare il pericolo di essere identificati, nei termini della condotta concretamente posta in essere”.

Individuato il basista, sulle cui responsabilità c'è ora il timbro della Cassazione, allo stato non è stato dato ancora un volto né un nome a mandanti ed esecutori materiali della strage.

In Evidenza

Potrebbe interessarti

Strage di San Marco in Lamis: le motivazioni della condanna all'ergastolo del basista, mancano mandanti ed esecutori

FoggiaToday è in caricamento