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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca

D'Alba e le Tre Fiammelle in una "zona grigia ai margini dell’illegalità": l'interdittiva antimafia è legittima

Respinto definitivamente il ricorso dell'imprenditore. I giudici certificano “l’accuratezza" della valutazione prefettizia

È stato definitivamente respinto dal Tar Puglia il ricorso presentato dalla società cooperativa di produzione e lavoro ‘Tre Fiammelle’ per l’annullamento dell’interdittiva antimafia emessa dal Prefetto di Foggia Maurizio Valiante un anno fa.

Il 30 giugno scorso era stata già respinta l’istanza cautelare. I magistrati della Seconda Sezione -  presidente facente funzioni Alfredo Giuseppe Allegretta, Donatella Testini, consigliere, e Lorenzo Ieva, primo referendario – ritengono che Michele D’Alba e la cooperativa a lui riconducibile “si siano poste in quella zona grigia ai margini dell’illegalità che le rende adiacenti alla criminalità mafiosa e quindi soggette al rischio di agevolarla in modo diretto o indiretto”.

Il Collegio ricalca la tesi del prefetto, secondo il quale “la condotta dell’imprenditore riflette una strategia di obiettivo-impresa – e gli accertamenti giudiziari lo confermano – di quelle zone grigie in cui si intersecano gli interessi mafiosi e interessi imprenditoriali, con la logica della reciprocità dei vantaggi”.

I magistrati riconoscono e certificano “l’accuratezza dell’istruttoria svolta”. Le loro 27 pagine sono altrettanto pesanti. Anche il Tar, per accertare la legittimità dell’interdittiva, spiccata in considerazione di un presunto pericolo di condizionamento della cooperativa da parte della ‘Società’, parte dal contesto ambientale di riferimento.

Si osserva come le organizzazioni criminali siano state capaci di infiltrarsi e condizionare non solo il settore economico-produttivo privato, ma anche alcune pubbliche amministrazioni. Lo scioglimento del Comune di Foggia assurge a caso emblematico.

Nella sentenza si ripercorrono le inchieste giudiziarie che hanno coinvolto l’ex sindaco Franco Landella e altri amministratori locali, come l’ex presidente del Consiglio comunale, Leonardo Iaccarino. Ma è soprattutto la ‘lista delle estorsioni’ emersa dalle operazioni ‘Decima Azione’ e ‘Decima Azione bis’, a relegare nella “zona grigia” Michele D’Alba che, come rammentano i giudici, non risulta indagato.

La cooperativa Tre Fiammelle, che opera prevalentemente nel settore dei servizi di pulizia, sanificazione, manutenzione del verde pubblico, per conto di vari enti pubblici fra cui il Comune di Foggia, oggi sottoposta a controllo giudiziario, figura nella lista delle estorsioni sequestrata durante una perquisizione domiciliare effettuata nell’ambito dell’operazione ‘Decima Azione’ a marzo del 2028, nell’abitazione di una persona legata da vincoli di parentela a esponenti di spicco della mafia foggiana.

Sul foglio, accanto al nome della cooperativa, era indicata la dicitura “4000 ogni 3 mesi”. Vengono riportate, poi, altre circostanze evidenziate dal prefetto, rispetto agli altri elementi emersi nelle operazioni relativi alla figura di Michele D’Alba, vice presidente del Consiglio di amministrazione delle Tre Fiammelle fino al 25 novembre 2022, quando ha rassegnato le dimissioni, pochi giorni dopo la comunicazione dell’avvio del procedimento di rilascio dell’informazione antimafia. 

Confluiscono, così, nella sentenza le captazioni risalenti al 2017 di due conversazioni tra Alessandro Aprile, alias ‘Schiattamurt’, considerato sodale della batteria Sinesi Francavilla, e Francesco Tizzano, considerato elemento di spicco della batteria Moretti-Pellegrino-Lanza, durante le quali quest’ultimo parla di presunti incontri con Michele D’Alba per riscuotere la sua parte di contribuito all’associazione mafiosa.

Il diretto interessato e i suoi legali hanno contestato l’interpretazione di quelle captazioni (“l’attività estorsiva è rimasta, invece, sino a prova contraria, nella fase del tentativo, come peraltro acclarato dalle sentenze penali di primo e secondo grado”).

Si menzionano anche le richieste estorsive ai danni del gruppo Telesforo-Vigilante, in cui si tirava in ballo sempre l’imprenditore, all’epoca socio di Universo Salute.

Poi si indugia sulla denuncia – secondo il prefetto, connotata da una “timidezza espositiva” - presentata il 27 ottobre dello stesso anno da Michele D’Alba alla Questura di Foggia per alcune richieste estorsive ricevute il 25 ottobre sulle utenze dei cellulari del genero, della moglie e del figlio. In quella circostanza, l’imprenditore non avrebbe dichiarato nulla in merito ai presunti contatti avuti con Tizzano e avrebbe riferito di non aver mai corrisposto somme di denaro a titolo di tangente.

Successivamente alla richiesta estorsiva ai danni al gruppo Telesforo-Vigilante, è finito sotto la lente di ingrandimento anche il comportamento tenuto dall’imprenditore a febbraio del 20218: avrebbe invitato anche il figlio e il genero a tacere sui tentativi di estorsione, nella sala d’aspetto della Questura, prima di essere ascoltati.

Il prefetto ha ritenuto rilevante anche il coinvolgimento di Michele D’Alba nel materiale investigativo alla base delle misure cautelari disposte nei confronti di Iaccarino e Capotosto. Dall’ordinanza risulta che avrebbero cercato d’indurre D’Alba a dare o promettere 20.000 euro in relazione al riconoscimento di un debito fuori bilancio nei confronti della cooperativa San Giovanni Di Dio. D’Alba, nell’occasione, “si diceva infastidito per le modalità della richiesta e riferiva che non avrebbe denunciato la vicenda aggiungendo ‘perché vi voglio bene’”.

Gli attentati al gruppo Telesforo-Vigilante, secondo il prefetto e i giudici, denotano, in buona sostanza, che si sia opposto al racket, mentre “la ‘franchigia’ rispetto alle attenzioni esplosive delle batterie non può avere altro significato che l’adesione degli imprenditori al modello estorsivo, riorganizzato dalla mafia foggiana”.

Secondo il Collegio, una serie di circostanze riportate anche nell’interdittiva sono “incontrovertibili”, a partire dal metodo della Società.

I giudici considerano “irrilevante ai fini dell’adozione dell’interdittiva”, invece, che la reticenza di Michele D’Alba “sia cagionata da contiguità soggiacente o compiacente”. E “non occorre affatto la prova del pagamento del pizzo”.

Il cosiddetto “self cleaning”, e dunque la nomina di un nuovo Cda, con la presidenza affidata ad un generale, ex comandante del Raggruppamento Autonomo del ministero della Difesa, non basta. “L’attribuzione di incarichi gestionali a soggetti di asserita affidabilità etica e professionale non esclude il pericolo che le dinamiche societarie possano essere attratte in una strategia comune a tutte le società facenti capo all’imprenditore”, rileva il Collegio.

Peraltro, la nuova vice presidente è una ex dipendente della cooperativa. Ricostruiti tutti i legami di parentela nelle altre società, i magistrati concludono che, “come correttamente evidenziato dall’Avvocatura dello Stato, da tali intrecci emerge che D’Alba è il trait d’union del gruppo imprenditoriale”.

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