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Sabato, 27 Aprile 2024
Cronaca

La 'Serenità' ritrovata dopo il buio e la violenza: la 'rinascita' delle vittime negli scatti fotografici di Lucia Di Pierro

Sei donne vittime di violenza hanno ritrovato la luce grazie all'aiuto offerto dalle operatrici del Cav 'Carmela Morlino' di Foggia. Le loro storie di riscatto nel racconto fotografico di Lucia Di Pierro, con la mostra 'Serenità'

“Ho 44 anni, ma sono nata solo due anni fa”. Giorgia mette in fila poche parole, ma potentissime. Poco oltre, Agnese, mostra con disinvoltura e orgoglio una fede al dito. No, non è quella che la legava al suo ex compagno violento. E’ la fede della madre, l’ultimo ricordo che ha di lei, dopo che il marito le impedì anche di presenziare al funerale.

Sì, perché il primo atto di violenza subito dalle sei donne raccontate da Lucia Di Pierro, nella mostra fotografica ‘Serenità’, è l’isolamento forzato, l’allontanamento imposto dalla famiglia, dalle amicizie, dalla vita. L’allestimento curato dalla giovane fotografa di Troia nasce dalla collaborazione stretta con le operatrici del Consorzio Opus del Centro AntiViolenza di Foggia ‘Carmela Morlino’, che hanno racchiuso queste testimonianze in un volume “Rinascita. Storie di donne maltrattate”, che sarà presentato domani, mercoledì 8 marzo, nei locali della bottega centonove/novantasei (piazza Cavour n. 3).

L’obiettivo, tanto della mostra quando del volume, è quello di gridare al mondo la ‘rinascita’ possibile, la nuova vita dopo il buio. Insomma, portare testimonianze - crude, dirette, reali - per infondere coraggio e speranza a tutte quelle donne che sono ancora strette nella spirale della violenza. La mostra - al suo quinto allestimento e da ultimo ospitato nei locali del Dipartimento degli Studi Umanistici dell’Università di Foggia - racconta in 30 pannelli la rinascita di sei donne - la loro riconquistata ‘Serenità’, appunto - che si sono fidate e affidate alle operatrici del Cav ‘Carmela Morlino’. Cinque scatti per ciascuna storia, immagini potenti e fortemente simboliche di come ognuna di loro sia riuscita a ‘ricostruirsi’, dopo anni di violenze e soprusi subiti tra le mura domestiche.

“Se è vero che la violenza esiste ed è terreno di battaglia quotidiano delle operatrici dei Cav, è vero anche che da questo circuito si può uscire”, si legge nella presentazione della mostra. “E se non si diffonde questo messaggio si pregiudica la fiducia riposta nelle tante donne che si rivolgono al servizio per intraprendere il percorso, probabilmente, più difficile della loro vita. Questo è quanto è stato raccontato affidandolo all’occhio di una fotografa, Lucia di Pierro, che ha reso la sua macchina fotografica strumento per immortalare il riscatto, la riappropriazione di un bene dal valore inestimabile: la libertà di decidere per sé stesse”.

Per queste donne il riscatto passa per la serenità, attraverso forme e modalità per ognuna diversa. Per Beatrice è chiusa nel suo grembo, in quel pancione che stringe tra le mani in un suggestivo scatto. È il frutto di un nuovo amore, senza costrizioni e legacci. Ma la serenità è anche nell'indipendenza derivante da un foglio rosa e una patente presi a 45 anni suonati, in una passeggiata in centro, in un filo di rossetto. Può trovarsi in nuove passioni - come la pesca notturna o le passeggiate in alta quota - o semplicemente tra le quattro mura di casa, che diventano simbolo di protezione e non di prigionia.

Ogni donna ha indicato un luogo caro, simbolico, in cui farsi ritrarre. “C’è un filo rosso che lega queste sei donne”, puntualizza la fotografa che le ha seguite in questo progetto. “Nessuna di loro ha reagito alla violenza con la violenza. Dopo aver subito ogni tipo di maltrattamento, hanno affidato la loro vita alle uniche persone che avrebbero potuto fare realmente qualcosa per loro. È proprio per questo atto di coraggio che ho deciso di raccontare non quello che c’è stato prima, ma quello che è stato costruito dopo la denuncia. Si sono aggrappate alla vita con tutte le loro forze e sanno di non essere sole”. Ad illustrare il progetto fotografico a FoggiaToday è la fotografa Lucia Di Pierro, classe 1992. La sua formazione passa per la L.A.B.A.-Libera Accademia di Belle Arti - di Firenze e numerosi corsi in fotogiornalismo presso la Fondazione ‘Marangoni’, sempre a Firenze.

Come nasce la mostra ‘Serenità’?

Nasce da una richiesta del Cav ‘Carmela Morlino’ di Foggia, ovvero creare un racconto fotografico sul fenomeno della violenza di genere e sulla rinascita possibile. Non volevo limitarmi però a ritrarre lividi e lacrime. Così ho chiesto alle operatrici di farmi incontrare chi questo percorso lo aveva affrontato, per conoscerne le paure e le emozioni. A suggerirmi il nome della mostra è stata Manuela, la prima donna che ho incontrato. Lei mi disse: “Non dico di essere felice, ma finalmente sono serena”. Dopo aver ascoltato le sue parole, ‘Serenità’ mi è sembrata la strada più giusta da far percorrere alle mie fotografie.

Come ti sei approcciata alle loro storie?

Il primo incontro è avvenuto senza macchina fotografica. Non volevo alcun ‘filtro’ tra noi. Ho chiesto loro di raccontarsi a me, tra passato e presente, ovvero tra il buio della violenza e la luce della rinascita. Mi sono presentata a loro senza preconcetti: a parte i loro nomi non sapevo nulla delle loro storie. Mi sono armata di sensibilità, delicatezza e rispetto e mi sono riproposta semplicemente di ascoltarle e raccontarle attraverso lo scatto fotografico. Quello che mi hanno dato, io ho preso.

Che tipo di storie hai raccolto?

Sono tutte storie molto forti, di donne ancora giovani, che si sono fidanzate e sposate molto presto, molto spesso senza aver completato gli studi e quindi non indipendenti dal punto di vista economico. Sono storie di violenza psicologica, domestica e fisica. L’età media delle donne che ho incontrato è di 40 anni, ma alcune di loro hanno un passato di soprusi e violenze lungo anche 15 anni.

Cosa le accomuna?

La solitudine estrema in cui i propri ex compagni e mariti avevano rinchiuso queste donne. Erano totalmente isolate e impossibilitate dal chiedere aiuto.

Come è avvenuta la scelta della location fotografica?

Sono state scelte condivise, ma naturali perchè si tratta di luoghi strettamente legati alle loro storie. Ad esempio, ho accompagnato una donna a fare una passeggiata e prendere un caffè perché si tratta di piccole ‘libertà’ che prima le erano vietate. Ho ritratto una donna nel gesto, semplice, di passare un filo di rossetto sulle labbra. Un’altra ha trovato la sua valvola di sfogo nelle passeggiate ad alta quota: “Qui riesco a sentirmi bene, riesco a non pensare a quello che c’è laggiù in città. Qui posso abbracciare gli alberi”, mi ha spiegato. Un’altra ha chiesto di essere fotografata nella sua casa, acquistata con sacrificio, dopo anni in cui il marito le ripeteva che da sola non sarebbe stata in grado nemmeno di badare a sé stessa. Oggi quell’appartamento, piccolo, forse modesto, è tutto il suo regno.

Qual è la cifra stilistica che hai voluto dare all’intero allestimento?

In genere amo esprimermi attraverso il bianco e il nero, ma per questo progetto ho volutamente scelto il colore, perché volevo raccontare la rinascita e la serenità. In queste foto le donne sono tutte riprese di spalle, attraverso piccoli dettagli, gesti o luoghi simbolici, fortemente evocativi ma che non possono in nessun modo rendere loro riconoscibili.

Quale è la storia che dal punto di vista artistico ti ha maggiormente emozionato?

Ho seguito una donna durante una battuta di pesca notturna, che è diventata la sua passione in questa nuova vita. La sua era una storia molto pesante, ma quella notte si è svelata nella sua profondità. E’ stata una bella avventura.

Qual è il messaggio che vuoi portare attraverso questa mostra?

Che la rinascita è sempre possibile. L’aspetto che mi ha maggiormente colpito è che nessuna di queste donna ha mai reagito alla violenza con altra violenza: la loro azione decisiva è stata chiedere aiuto quando è scattato qualcosa dentro di loro. Quindi l’auspicio è che altre donne, che stanno vivendo nella stessa prigione, riescano a trovare presto la ‘molla’ necessaria per scattare e chiedere aiuto.

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