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Poste Italiane, Nico Baratta: “A Foggia solo code di persone esauste”

Baratta documenta i ritardi e i disservizi degli uffici postali del capoluogo dauno. Proseguono i problemi dei sistemi informatici. Lunghe file al caldo, in piedi e senz'alcuna assistenza

Era dai tempi della ristrutturazione dell’azienda postale che non si vedevano fiumi di persone davanti agli sportelli di Poste Italiane. Difatti, durante quei tempi era facile assistere a code lunghe, causate dall’innovazione dei sistemi informatici, dalla gestione del personale e dalle nuove metodologie di flusso agli sportelli.

Poste Italiane, un’azienda che si mostra prevalentemente con colori di un giallo splendente e che ora è diventato “ocra”.  Il giallo ocra è un colore terziario e si ottiene mescolando due colori secondari: arancione (rosso + giallo) + verde (giallo + blu). Giallo, blu e rosso sono i colori primari, dove, secondo una mia personale esternazione, l’Arancione è la temperatura che in Poste Italiane si percepisce in questi giorni, il Verde è la speranza che i servizi ritornino al più presto funzionanti senza interruzioni, il Rosso l’ira delle persone che si accodano per 5 ore senza trarne benefici.

D’accordo, ho scherzato un pò, ma credetemi perché l’esperienza vissuta in prima persona presso le varie succursali di Poste Italiane a Foggia, non è singola, bensì comune e molte volte suggellata da colpi d’ira di clienti impazienti.

Giunti oramai al sesto giorno, Poste Italiane si avvia alla lunga maratona per garantire i servizi alla clientela. Non si parla solo di bollettini del telefono o, ancor più grave perché servizi primari, quelli della luce e del gas, bensì di pensioni, vaglia postale e qualunque altro servizio che invece di incassare, devono “essere scuciti”. Il problema è noto, reso ufficiale con tutti i media, avvalorato da scusanti dovute e garanzie assicurate che non soddisfano il cliente. Un problema del sistema informatico che dà i numeri, bloccando le macchine che lo utilizzano e perciò le transizioni in atto.  In queste ore una task-force italo-americana di tecnici informatici è all’opera per cercare di risolvere il grande enigma che affligge i potenti processori dei pc del Ministero del Tesoro.

E le lunghe code di un sistema conta flussi (delle persone) dove le mettiamo? E sì, perché queste ingegnose macchinette che ci mettono in fila continuano a funzionare bene, anche se è l’uomo che le governa. Meno male, altrimenti il caos diverrebbe apocalittico. Governate dall’uomo, perciò volutamente fatte proseguire pur non fornendo il servizio, queste macchinette contribuiscono alla confusione che ogni giorno s’assiste innanzi alla varie sedi di Poste Italiane.

Non solo a Foggia, bensì in tutto il Belpaese, la fiumana di scontenti, esausti, accaldati, assetati, è la protagonista che ha sostituito il blocco informatico.  Il punto cruciale, a mio parere, ora non è più quando i pc ritorneranno a funzionare senza interruzioni oltre tempo, è la gestione delle persone che attendono il turno, seppur passato, per il loro servizio.

Girando tra le varie sedi locali di Poste Italiane, balza all’occhio la mole di gente che all’interno e l’esterno della sede attende la vocina “il computer funziona”. E il tutto fra mugugni e attacchi d’ira, improperi e mali fisici, che costringono le decine e decine di persone a snervanti attese di oltre 5 ore.

Sono le nove del mattino, con me ho la solita macchinetta fotografica pronta per immortalare attimi di vita, curiosità e problemi che regrediscono, ahimè, Foggia.  Mi reco in una succursale delle poste e trovo la gente già in fila (diciamo) in attesa del proprio turno. Avvicinandomi alla coda della fiumana in attesa, chiedo il numero: siamo oltre il 280, e sono le nove del mattino. Entro nella succursale e mettendomi in un angolo, fotografo “alla chetichella” la fiumana di persone. Per non destar sospetti, fotografo l’esterno dall’interno sfruttando le ampie vetrate del locale. Riguardo le foto e poi decido di cancellarle perché la dignità umana non merita questa pubblicità. Esco nuovamente dalla succursale e attendo, sedendomi per terra e per chi ha le possibilità fisiche di farlo, con le persone in fila chiedendo se era qualcuno di loro era già stato qui ieri.

Dapprima mi vien rivolto uno sguardo  perplesso, poi un sorriso fra i denti e alla fine la solita risposta: «Ma dove vivi? Non sai che i computer non funzionano? Io ieri ho atteso 4 ore per riscuotere la pensione e alla fine son dovuto andar a casa senza soldi e senza aver fatto la spesa». Si avvicina un’anziana signora, notevolmente in sovrappeso, sudata e con l’affanno sonoramente accentuato. Dopo aver chiesto chi ero e perché facevo domande (gli ho detto che ero uno che doveva fare una raccomandata) mi dice che non ne può più, ha sete, è stanca e non sa dove e come ripararsi dal sole, poiché l’interno della succursale era piena e con aria irrespirabile. Si lamenta più volte e chiamando al cellulare suo figlio che non può lasciare il posto di lavoro, mi chiede se potevo andare a comprare una bottiglia d’acqua, mentre lei mi teneva il posto «Ti faccio la guardia, tanto chi mi vuole spostare da qui? Se non prendo la pensione, a casa non si mangia.».

Compro l’acqua, una pila da sei bottiglie da 2 litri con bicchieri di plastica. Ritorno e nel frattempo la gente era diminuita, non per l’avanzare della coda agli sportelli, bensì per abbandono o per qualcuno che ha pensato di cambiar succursale. Vado via anch’io, scusandomi e salutando l’anziana signora, confortandola e assicurandomi che non avesse bisogno di altro. Scappo a un’altra succursale, più in periferia, ma la storia è sempre la stessa: code, fiumi di persone esauste, incazzate (scusate la rude affermazione…), abbattute perché non potevano riscuotere la pensione. Infatti, pur sapendo del disagio, Poste Italiane, a quanto pare, non ha tenuto conto di delegare altre succursali per tal servizio. Le pensioni si riscuotono nella succursale preposta e di zona dove è domiciliato il pensionato.

In quest’altra sede di Poste Italiane, quella in periferia, incontro un amico, per fortuna della mia stessa età, perciò più resistente alle code. In mano ha il numero 28 e sono le ore 11.30: allo sportello 3 c’è il numero 12 da circa un’ora e mezza fermo a guardar non so che, ma certamente in attesa che il pc resusciti. Chiedo all’amico cosa doveva pagare: l’ICI poiché il 16 p.v. scadono i termini di pagamento. Non tutti si possono permettere una seconda casa, ma adempiere il pagamento delle tasse è un gesto che ci mette in fila tutti senza distinzioni (fra quelli che le tasse sono calcolate a monte in busta paga, e mi fermo qui). L’amico mi chiede perché ero qui a fare la raccomandata e gli svelo le mentite spoglie. Sorride, ma poi mi chiede di fare un appello: «Perché non pubblichi la richiesta di proroga dei pagamenti in scadenza? Non è colpa nostra se non paghiamo secondo le scadenze delle varie bollette, che non sono solo ICI».

Bene, l’ho fatto con l’auspicio che qualcuno accolga l’appello o se ne faccia carico qualche eletto (dal popolo?) in sede politica, giacché le loro voci sembrano essere più sonore ma sempre monofoniche. Tuttavia il problema non è solo la scadenza delle bollette che dovrebbe smuovere gli eletti, ma la condizione precaria di molte persone che sostano all’interno e l’esterno delle succursali di Poste Italiane. L’azienda del Ministero del Tesoro dovrebbe fornire servizi di assistenza, con sedie o panche che siano all’esterno della struttura, con acqua e, se veramente si vuole dar senso alla vita umana, coperture dal sole che in questi giorni martella le teste di chi fa il suo dovere innanzi alla legge.

Non si è visto nulla di tutto ciò, solo code di persone esauste, e ciò è una vergogna.

 

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