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Foggia poco accessibile, lo sfogo della madre di una bambina disabile. Guerriero: "Questione culturale"

Ancora una testimonianza dell'indifferenza in città di fronte alle difficoltà di chi è in carrozzina. L'Associazione Radicale Maria Teresa di Lascia scende in campo

Possibile che a Foggia più della metà dei negozi, dei ristoranti, degli alberghi, delle chiese, delle mostre, delle spiagge continuino ad essere inaccessibili a chi è in carrozzina? Se lo chiede Pina, una mamma che ogni giorno deve fare i conti con una città che non è a misura di tutti.

L’ultimo ‘incontro’ con barriere architettoniche e indifferenza soltanto due giorni fa, durante “un sabato qualunque”, di quelli che purtroppo sembrano ormai essere diventati la normalità. Lo ha raccontato sui social.

Nel pomeriggio hanno difficoltà ad entrare in un negozio “perché davanti alla porta c'è un gradino di almeno 30cm”, la sera stesso copione ma in una pizzeria dove si imbattono in una soglia “cresciuta di almeno una ventina di centimetri”. Ma è altro che fa più male, delude e lascia tanta amarezza. Nel negozio “la commessa stupita” dice che “nessuno l’aveva mai chiesta” una rampa per poter entrare con la carrozzina. Nel locale, invece, il proprietario “rimane in silenzio” dietro alla cassa “come se il problema fosse il nostro e non il suo” scrive Pina. Alla fine ci sono voluti cinque uomini per sollevare la carrozzina e poter entrare “per la prima ed ultima volta” in quella pizzeria.

Purtroppo Pina non è la sola che a Foggia ogni giorno si scontra con una normalità che poi tale non è e che non riguarda soltanto negozi e pizzerie. Basti pensare ai marciapiedi non sempre accessibili o a quelli dove gli scivoli ci sono, ma non esattamente a norma (per esempio per quanto riguarda la pendenza o il punto di congiunzione tra strada e scivolo, troppo spesso simile ad un vero e proprio gradino). Al netto dei parcheggi selvaggi. Il tutto a danno di chi è costretto in carrozzina, ma anche delle mamme con pargoli nel passeggino al seguito.

È vero, la nostra città (ma come tantissime altre) è poco accessibile – ci dice Norberto Guerriero, coordinatore dell'associazione radicale Maria Teresa di Lascia – ma perché l'abbattimento delle barriere non viene visto come garanzia di autonomia all’interno di uno spazio. Secondo me quello che manca in questa città è proprio l'approccio culturale: non bisogna rimuovere le barriere per dare una mano, ma per garantire a tutti la possibilità di vivere pienamente la città”.

Si dovrebbe partire dal Piano abbattimento barriere architettoniche (PEBA). Secondo quanto riportato sul sito della Regione Puglia (che dal 2019 mette a disposizione un contributo per la sua redazione e dal 2021 per il suo ampliamento e aggiornamento) in Capitanata sono soltanto otto i comuni pugliesi che ad oggi hanno un PEBA e il capoluogo dauno non c’è. Nonostante già nel 2017 la stessa Associazione Maria Teresa di Lascia riuscì sollecitare la politica locale per l'adozione di una mozione di indirizzo.

Il PEBA non significa soltanto rimuovere le barriere – ci spiega Guerriero – ma elaborare un piano strategico che analizzando e mappando la città individui gli interventi da fare affinché la città diventi accessibile. Non basta, infatti, mettere ad esempio lo scivolo in una strada se poi quella immediatamente successiva ne è sprovvista o se non c'è stato un adeguamento delle soglie o delle dimensioni dell’ingresso del negozio a due passi da quello stesso scivolo. Ecco, il PEBA serve ad uscire dalla logica dell’orticello, del ‘tanto la mia struttura è accessibile che non fa avere il quadro completo della situazione, del ‘se c’è un problema do una mano’. Ci sono molte persone che non hanno voglia di ricevere una mano, ma solo vivere la propria vita autonomamente. L’inclusività non è un problema da risolvere, ma una presa di coscienza”.

E si ritorna a bomba: l’abbattimento delle barriere architettoniche è una questione culturale, un concetto che la città (forse ancor prima che la politica) deve fare proprio nelle giuste modalità.

Per noi resta l’impegno primario – conclude il coordinatore – e lo sottoporremo a chiunque si mostri sensibile al tema. Non ci interessa ‘chi’ fa, ma che la cosa si faccia. Speriamo comunque di riuscire a coinvolgere tutti e di intercettare la volontà di chi ha potere decisionale. Perché se oggi avessimo avuto un PEBA già adottato, probabilmente avremmo potuto intercettare risorse importanti per il suo adeguamento”.

Nel frattempo facciamo nostre le parole di Pina e lanciamo un appello: “almeno una piccola rampa in legno fatevela fare per chi rompe le scatole pretendendo di fare una vita ‘normale’”.

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