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Domenica, 28 Aprile 2024
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Comune di Foggia condannato per condotta discriminatoria: ha negato l'assegno di maternità a una donna indiana

Il Tribunale del Lavoro ha accolto il ricorso della giovane mamma in possesso del permesso di soggiorno, ma non di lungo periodo

È stata giudicata discriminatoria la condotta del Comune di Foggia che aveva negato l’assegno di maternità a una cittadina indiana, in possesso di un permesso di soggiorno, ma non per soggiornanti di lungo periodo.

Il pronunciamento del Tribunale del Lavoro ricalca un principio già espresso in altre sentenze: la normativa interna contrasta con la direttiva comunitaria e, in quanto subordinata, deve essere disapplicata. Nell’accesso alle prestazioni sociali deve essere assicurata un’assoluta parità di trattamento tra i cittadini comunitari e non.

Del resto, a gennaio del 2022, sul requisito del permesso di lungo soggiorno per gli stranieri, anche nel caso del bonus bebè, si è chiaramente espressa anche la Corte Costituzionale: le norme che escludono dalla concessione i cittadini di paesi terzi, in possesso di un permesso di soggiorno di durata superiore ai sei mesi, ai quali è consentito lavorare, sono state dichiarate incostituzionali. La Corte aveva definito il sistema irragionevolmente più gravoso per i cittadini di paesi terzi.

Il caso risale a più di due anni fa. L’assegno di maternità viene corrisposto previa verifica degli uffici comunali del possesso dei requisiti. Poi, l’ente trasmette le pratiche all’Inps che provvede al pagamento. Il Comune si occupa, dunque, dell’istruttoria e l’Istituto della Previdenza Sociale eroga materialmente il contributo.

Il Comune di Foggia aveva rigettato la domanda per “mancanza del permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo”. Tutti gli altri requisiti, compreso quello reddituale, erano acclarati. All’epoca, la dirigente del Servizio Sociale e Prevenzione era Silvana Salvemini.

La giovane mamma di nazionalità indiana si è rivolta agli avvocati Gabriele Romagnuolo e Stefano Campese. Ad aprile del 2021 hanno presentato ricorso al Tribunale di Foggia – Sezione Lavoro e Previdenza, accolto lo scorso 26 ottobre.

Il permesso di soggiorno Ue per soggiornanti di lungo periodo, come precisa l’avvocato Stefano Campese, è diverso da quello ordinario: “Viene rilasciato in presenza di determinate condizioni come, per esempio, la permanenza sul territorio nazionale da almeno cinque anni, il superamento di un test di conoscenza di lingua italiana, il requisito reddituale, la presenza dell’idoneità alloggiativa sull’immobile, e così via”.

La richiedente, invece, era in possesso di un permesso per motivi familiari, agganciato al marito, titolare del permesso di soggiorno per motivi di lavoro. “La signora, però, lavorava – spiega il legale – Il permesso per motivi di famiglia, infatti, comunque autorizza al lavoro. Non è un permesso rilasciato in virtù del contratto, ma semplicemente perché il coniuge ha un determinato reddito tale per cui il familiare può ricongiungersi”.

Le questioni di diritto, osserva l’avvocato, erano già tutte delineate e chiare, considerata la giurisprudenza in materia. Tant’è che il giudice Mario De Simone, nel dispositivo, evidenzia come la sentenza della Corte Costituzionale “avrebbe imposto un intervento immediato degli enti coinvolti, che si sono assunti la responsabilità della permanenza di una situazione contra legem che ben avrebbe potuto giustificare una richiesta di condanna ex art. 96 cpc con conseguente danno erariale”.

Il Comune, insomma, rischiava di pagare anche il risarcimento danni.

Alla donna spettavano quasi 1.700 euro. Il giudice del lavoro ha condannato l’Inps al pagamento delle somme non corrisposte oltre agli accessori dal dovuto al saldo. Il Comune è stato condannato a pagare le spese, 1.200 euro più Iva e oneri previdenziali.  

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