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Lunedì, 29 Aprile 2024

Art Labor, la comunità terapeutica che dà una seconda possibilità a chi ha sbagliato

La comunità, con uno staff di professionisti, segue l'ospite con dipendenze nel percorso di redenzione. Oggi conta una ventina di ragazzi e, in alcuni casi, in misura alternativa alla detenzione nel centro diurno

Immersa nella natura, distante dal centro abitato, la comunità terapeutica Art Labor ospita persone con dipendenze diverse: dalle classiche (droga e alcol) fino alla ludopatia. Come spiega la direttrice del centro Rita Frigerio "Le dipendenze non sono un vizio, ma una malattia, come è stato anche stabilito dal Dsm (Manuale Diagnostico Statistico dei Disturbi Mentali)".

Una vera e propria clinica che cura i disturbi da dipendenza. La comunità nasce negli anni '90, ma già da prima il centro si occupava di assistere e ospitare persone affette da tali disturbi. Lo staff medico è composto da un responsabile sanitario - il dottore psicologo Paolo D'Antuono -, le dottoresse psicologhe  Anna Marone e Valentina Cocuzzi, gli oss Donatello Summa, Pasquale Iorio, Anonio Di Mauro, Francesco Contini e Angelo De Meo più la parte amministrativa composta dal responsabile del personale Luigi Lepore, dal direttore amministrativo Paolo Pastore, dall'amministratore e vice presidente Fernando Porcelli. Una squadra che segue gli ospiti cercando di formare ognuno di loro a gestire la dipendenza e liberarsene prima di lasciare il centro per fare ritorno alla vita sociale e lavorativa.

Ma, se da un lato il loro lavoro spesso porta a successi e quindi il dipendente termina il percorso terapeutico reintegrandosi nella società, in molti casi la recidiva inficia gli sforzi fatti per curare l'ospite. Durante il percorso, i dipendenti patologici, trascorrono parte della giornata nella comunità semi diurna Art Labor svolgendo attività artistiche, ma anche semplicemente prendendosi cura dell'orto o del pollaio. Questo fa sì che il paziente possa tornare al contatto con la realtà lavorativa, aiutandolo di fatto al reintegro. 

Diverse le storie da raccontare, ognuna con un proprio percorso che ha portato a dipendere dalle sostanze tossiche quali eroina e cocaina o da alcol e gioco. Soprattutto nei primi casi, il dipendente - spiega lo psicologo Paolo D'Antuono - è portato a delinquere per procurarsi il denaro necessario ad acquistare la droga. E da lì scatta un vortice dal quale non si esce. Come ci ha raccontato Massimo, uscito da pochi giorni dal carcere a 51 anni. A causa della dipendenza dall'eroina - per sua stessa ammissione - ha perso i momenti e le cose più importanti della sua vita come compleanni, la nascita di suo figlio che, ad oggi, quasi non conosce. Una vita dedicata a farsi del male, a rubare per procurarsi il denaro necessario per l'acquisto dell'eroina per poi finire in carcere: "Ho 51 anni, questa è la mia ultima possibilità. Sto cercando di ritrovare un rapporto con mio figlio che fino ad oggi è stato cresciuto da mia sorella - racconta Massimo - ma so che questa è veramente l'ultima spiaggia. Un consiglio che mi sento di dare soprattutto ai più giovani è di rimanere lontani da ogni tipo di droga, anche dallo spinello che è l'apripista per la tossicodipendenza". 

Poi c'è la testimonianza di Anacleto, ospite del centro da 9 mesi, che sogna, una volta concluso il percorso, di tornare a lavorare. E da lui arriva un messaggio di speranza perchè, oggi, l'ex dipendente non viene più etichettato ed escluso a priori. Come lui stesso ci racconta "In questa struttura sto ritrovando la libertà, grazie alle dottoresse che mi seguono. Io facevo uso di cocaina e a causa sua ho perso una famiglia, ho perso una moglie. Ma oggi sono consapevole che posso tornare in società, posso tornare a lavorare, perchè non si viene più 'timbrati' come drogati e, di conseguenza, emarginati. Ho trovato chi mi vuole dare un aiuto concreto e ho già fatto alcuni colloqui di lavoro".

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