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Lunedì, 29 Aprile 2024

Lacrime all’arrivo di Pasquale, in cammino dai lager nazisti sulle orme del padre: "È un messaggio di pace"

Tappa a Foggia del lungo viaggio da Keufbeuren a Barletta: “Non pensavo che mi sarei emozionato così”

Lacrime agli occhi, è quasi a casa Pasquale Caputo, proprio come il suo papà 77 anni fa. “Lo sento come lo sentivano quei ragazzi allora, come lo sentiva mio padre, e lo percepisco dal mio stato d’animo”. Mancano circa 80 chilometri per completare il viaggio di Francesco Caputo, prigioniero di guerra, e arrivare a Barletta.

Il termometro oggi segna 32 gradi e, dopo quasi 70 giorni di cammino, è arrivato nell’assolata Foggia. La sua voce è rotta dall’emozione e le sue parole commuovono dall’inizio alla fine. Ha perso il conto delle tappe, dal 7 maggio ad oggi. A marzo del 1956, ha carpito il racconto del padre che, una notte, stava parlando con un suo zio materno reduce dai Balcani. Pasquale aveva 7 anni e ha custodito quei pezzi di memoria per 66 anni. “Nel ’45, quando fu liberato il campo nei dintorni di Monaco, l’unica possibilità era tornare a piedi fino a Barletta”. Le sue ricerche sono partite da una cartolina dal Kriegsgefangenenlager, campo dei prigionieri di guerra. Cominciava con “Cara mamma”, come si legge in tanta straziante corrispondenza che provava ad essere rassicurante. Si leggeva ‘Memmingen, Stalag VII B’ e la sua matricola che oggi scandisce due numeri alla volta, trattenendo a stento le lacrime: 12 38 87.

Quando è andato in pensione, Pasquale ha intensificato le ricerche e ha ricostruito il suo percorso. Il nome del progetto è suggestivo: ‘Sulle orme di mio padre e di tutti gli internati militari italiani’. Ha visitato i tre campi in cui ha passato quasi due anni: c’erano anche Stalag VII A Moosburg e Keufbeuren, fabbrica di armamenti, e da lì ha intrapreso il cammino di suo padre attraverso la Baviera, l’Austria, il Brennero e poi Bolzano, Vipiteno, Trento, per arrivare lungo l’Adriatico.

Non è stato facile per lui, maratoneta che aveva già percorso il Cammino di Santiago e la via Francigena del Sud, zaino in spalla, con i soldi in tasca e un tetto per la notte. “Penso a quanto sia stata estremamente dura per loro che non avevano niente, malati, affamati e che avevano ancora addosso i resti della divisa estiva con cui furono catturati l’8 settembre del ’43 e ai piedi i residui di copertoni di automezzi intrecciati con lo spago”. Lui, invece, indossa costose scarpe tecniche. Si è trovato a piangere senza un motivo, sentiva la sofferenza degli internati militari italiani sulle sue spalle. In Germania, nelle notti in Baviera, durante i temporali, si svegliava di soprassalto e pensava a quei ragazzi: “I miei ragazzi, come li chiamo io, dove staranno dormendo adesso? Li ho sentiti sempre vicini”.

Antimilitarista convinto, è stato ospitato nelle caserme lungo il tragitto: “Non è una contraddizione. Sul messaggio di pace si è formata la nostra Repubblica, la nostra libertà”, afferma oggi. Ha odiato i tedeschi, ammette tutti i suoi pregiudizi, ma anche loro “hanno fatto la resistenza”, ha poi scoperto. E dai tedeschi è stato accolto. Il suo viaggio è anche “un messaggio di pace maledettamente attuale”, mentre si combatte la guerra in Ucraina, e lui si è riappacificato anche con la Germania. Racconta l’aneddoto di una donna sugli 80 anni, che era stata in politica, che si è messa a disposizione per un giro che non avrebbe potuto fare a piedi. Gli ha offerto un pernottamento, pranzo e cena e all’indomani lo ha abbracciato e hanno pianto insieme.

“Non pensavo che questa mattina a Foggia mi sarei emozionato così - ha esordito nella Camera del Lavoro, dove Anpi, Cgil e Arci gli hanno dato il benvenuto - Forse è perché sono nella terra di Giuseppe Di Vittorio, perché qui veniva mia  nonna, vedova con cinque bambini, nei campi di grano e chiedeva un passaggio a Barletta sui carri, e forse c’è stato mio padre bambino”.  Ha collezionato più di 50 timbri-ricordo apposti da enti e associazioni che lo hanno accolto. Anche i commissari del Comune di Foggia lo hanno invitato a Palazzo di Città per un saluto. “Non sto facendo niente di eccezionale – ha concluso - in confronto a quello che hanno fatto i ‘miei’ ragazzi”.

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