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Hanno ucciso il Foggia

La mancata iscrizione è solo l'atto finale, ma le problematiche erano esistenti da tanto tempo. Il castello Foggia è crollato non perché qualcuno dall’esterno abbia attentato alla sua stabilità, ma perché chi lo ha eretto non ha provveduto a rinforzarne i pilastri, a cementarne le fondamenta

24 giugno, la festa del Battista, il giorno in cui si sarebbe dovuto celebrare il battesimo di una nuova stagione calcistica, il progetto per la rinascita, il primo sforzo per rialzarsi dopo l’ennesima caduta. E invece…

Invece accade che su una creatura ferita qualcuno abbia inferto il più classico dei colpi di grazia. A nulla è valso il disperato tentativo di salvarla. La giornata di ieri era cominciata con i migliori auspici. Una delegazione partita dalla Capitanata alla volta della Toscana (per la presentazione della documentazione), con tappa a Roma per il ritiro della fideiussione, mentre a Foggia si sarebbe proceduti con il versamento dei bonifici per il pagamento degli stipendi. Verso ora di pranzo la comparsa delle prime nubi. Preoccupazioni inizialmente timide, presto esplose in tutta la loro tracotanza.

Tra gli sponsor qualcuno ha deciso all’ultimo di fare dietrofront, lasciando nelle casse della Sannella Holding 2 solo una parte della somma necessaria. Da parte dei patron nessuna chance di colmare un buco che per alcuni era di 500mila euro, per altri molto di più. Una cifra comunque determinante per le sorti del Foggia, per porre la parola fine sulla sua avventura nel calcio professionistico.

Alla Tamma una delegazione di ultra ha ricevuto le conferme che nessuno avrebbe voluto mai sentire. Non ci sono i presupposti per continuare. I canali ufficiali non producono nulla, assecondano il silenzio della proprietà, il lento procedere fino all’ora x, le 23.59. Il Foggia non si iscrive. Come sette anni fa. Allora, però, si era reduci da un anonimo campionato di C. Stavolta, da una dolorosa retrocessione.

Una retrocessione che, seppur tremenda, di fronte alla sparizione dalla mappa del professionismo, è diventata come un misero taglio a un dito di fronte a una frattura scomposta. Di quelle che fanno male, di quelle che richiedono tanto tempo per un pieno recupero.

Gli sforzi profusi degli ultimi giorni, le “corse contro il tempo”, gli appelli e le collette, le promesse racchiuse in una stretta di mano, non hanno prodotto gli effetti sperati. Qualcuno – legittimamente, sia chiaro, perché ognuno gestisce i propri soldi come meglio crede – ha deciso di tirarsi indietro all’ultimo; ma in quattro giorni non si risolve un grave problema in essere già da alcuni mesi. Non si cura un cancro con un’aspirina. Stridono, a questo punto, gli sforzi profusi nelle aule dei tribunali per difendere la posizione del Foggia dalle decisioni arbitrarie della Lega B e del Consiglio Direttivo. Battaglie che hanno fatto da effetto placebo, distogliendo l’attenzione dalle problematiche più complesse. E, a posteriori, si è rivelato un errore grave. Affidarsi a una improbabile redenzione via Tar o Coni, per diventare più appetibili agli occhi di potenziali acquirenti è stata una scelta più disperata che lungimirante.

Il Foggia ripiomba in un tunnel dal quale pensava di esserne uscito il 23 aprile di due anni fa. L’alba di un nuovo giorno, il capitolo di una nuova storia, si è rivelato solo un episodio crossover, incastonato tra due serie tv drammatiche, una parentesi felice all’interno di una tristissima storia.

Perché, a pensarci bene, in sette anni nulla sembra cambiato. La Foggia del 2012 in molte cose è rimasta la stessa. Vittima di se stessa, accartocciata nella sua impagabile capacità di autocommiserarsi, di spiegare la propria condizione come il frutto di colpe altrui, mai proprie. E la Foggia calcistica si rispecchia nella città che rappresenta.

Non è il tempo di indagare alla ricerca di colpevoli specifici, perché quando una bella storia termina nel peggiore dei modi non c’è indulgenza per nessuno, zero scuse, zero giustificazioni. Di errori ne sono stati commessi tanti, troppi. Non ci si può appellare a un episodio particolare, sarebbe una lettura superficiale. Il castello Foggia è crollato non perché qualcuno dall’esterno abbia attentato alla sua stabilità, ma perché chi lo ha eretto non ha provveduto a rinforzarne i pilastri, a cementarne le fondamenta. Il Foggia non è finito per la penalizzazione, o perché il portiere buono è stato preso solo a gennaio. Ma perché in quattro anni ci si è affidati all’avventatezza delle scelte, al tutto e subito senza mai pensare a un dopo, per esempio a un settore giovanile da attenzionare e sviluppare concretamente o a un centro sportivo mai neppure pensato. Perché ci si è affidati a faccendieri con i giorni contati, a professionisti dell’errore, ai capipopolo presto rivelatisi dei modesti venditori di fumo. La famosa “Serie A entro due anni” è stata l’unica parentesi di futuro, a conti fatti illusoria. Uno specchietto per le allodole che ha finito per illudere una piazza che avrebbe meritato risposte diverse. Gente che ha speso denaro e tempo in nome di una passione talmente grande da far passare in secondo piano gli abbonamenti dai costi spropositati o le tessere speciali per ottenere in cambio una maglia vecchia ché quella nuova sarebbe stata presentata a dicembre. Un supporto emozionale ed economico che non è mancato neppure negli ultimi giorni, quando oltre agli imprenditori, anche la gente comune ha provato nel suo piccolo a dare l’ennesimo contributo. Purtroppo vano. Perché il tempo per porre rimedio a certi errori era già scaduto, e forse neppure da poco.

Alla fine della fiera non restano che loro, i tifosi. A quei tanti volti sui quali si è spento il sorriso, sui quali sgorgano lacrime di rabbiosa tristezza, prima o poi qualcuno dovrà dare delle spiegazioni, senza cercare scorciatoie o deviare le colpe altrove. A quei tifosi che, malgrado tutto, vogliono ripartire, bisognerà spiegare come farlo. Il Foggia non c’è più, di nuovo. Ma questa volta la caduta è stata dolorosissima.

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