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Salute

Istamina nel Foggiano, una decina di intossicati per una partita di tonno: "Abbiamo scongiurato gravi conseguenze"

Il punto del dott. Domenico Bisceglia, direttore facente funzioni del Servizio Veterinario Siav B

Sono una decina i casi registrati in tutta la provincia di Foggia di intossicazione da istamina (nota anche come Sindrome sgombroide), in seguito ai quali il Servizio veterinario di Igiene degli Alimenti di origine animale dell’Asl di Foggia ha avviato una capillare attività di controllo e verifica.

L’indagine epidemiologica ha consentito di desumere un collegamento dei casi a una partita unica di tonno derivante da uno stabilimento di Barletta. “La situazione è stata arginata, siamo riusciti a tracciare la catena degli intossicati e a limitarli nel numero”, spiega a FoggiaToday il dott. Domenico Bisceglia, direttore facente funzioni del Servizio Veterinario Siav B.

Quasi tutte le persone contaminate stanno bene. Solo per alcuni di essi l’intossicazione ha prodotto effetti collaterali più seri che, fortunatamente, non sono degenerati: “Non sono state registrate vittime. I medici sono stati bravi a effettuare una diagnosi precoce e a intervenire repentinamente. Per fortuna, l’intossicazione da istamina non è difficile da riconoscere. E se si interviene repentinamente con i presidi medici, si scongiurano gravi conseguenze”.

La contaminazione del tonno è stata determinata molto probabilmente dalla sua cattiva conservazione: “Ci sono delle condizioni tecniche da rispettare perché il consumatore non corra alcun rischio. Dopo essere stato pescato, il tonno deve essere immediatamente abbattuto a -18°, per poi essere lavorato a terra e decongelato. Se viene trasportato a temperature idonee che non devono superare i 3°, difficilmente si avranno dei problemi. Ma se questi passaggi non vengono rispettati e se, per esempio, il tonno venisse conservato a temperatura ambiente, sarebbe molto pericoloso”, avverte Bisceglia.

Infatti, la formazione dell’istamina avviene proprio quando le temperature sono più elevate: “Si innesca il processo chimico di trasformazione dell’istidina – presente naturalmente nelle carni del pesce, soprattutto quello azzurro – grazie ad alcuni batteri che agiscono a determinate temperature tra i 6 e i 20°”.

Come già spiegato dalla stessa Asl, la cottura non basterebbe a eliminare l’istamina: “Con la cottura non si risolve nulla – puntualizza Bisceglia – anche perché occorrerebbero temperature molto elevate e tempi piuttosto lunghi, inconciliabili con la cottura classica degli alimenti”.

C’è poi un altro fattore che induce a porre attenzione, ovvero la mancanza di segnali ‘esterni’ (come la produzione di cattivo odore) che consentirebbero di riconoscere la contaminazione: “Esternamente non si nota nulla. Il pesce sembra normalissimo. I processi chimici che determinano la produzione di istamina si verificano prima che vengano prodotte le sostanze che poi generano il cattivo odore”.

In parole spicce, trovarsi di fronte un trancio di tonno che non emette cattivo odore, non esclude affatto la presenza di istamina.

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