Epatite acuta nei bambini. La task force del prof. Serviddio: "Qui tutti i sistemi di controllo"
Nessun caso segnalato in Puglia. Dall'altroieri attivata la task force al policlinico Riuniti guidata dal direttore dell’unità di Epatologia, il prof. Gaetano Serviddio
Al 28 aprile i casi di epatite acuta severa a eziologia sconosciuta registrati in Italia sarebbero venti, circa otto quelli accertati. E’ quanto emerge da una indagine avviata il 21 aprile dalla società italiana di Gastroenterologia epatologia e nutrizione pediatrica, alla quale hanno risposto 71 centri. Tuttavia, non c’è un incremento anomalo dei casi.
D'altronde, come riporta l’Adnkronos Salute, diciotto dei 20 pazienti hanno un'età tra 1-10 anni. Due su 20 hanno sopra i 10 anni mentre 14 su 20 sono negativi per entrambi i virus epatotropi maggiori (A-E). In sei su 20 il virus dell’epatite 'E' non è stato testato. Per quanto riguarda gli agenti patogeni - si legge - in tre casi sono risultati positivi per Sars-CoV-2; un caso positivo per adenovirus e un altro per norovirus. In un singolo caso è stato necessario il trapianto di fegato.
Il 23 aprile il Ministero della Salute aveva emanato la circolare 'Casi di epatite acuta a eziologia sconosciuta in età pediatrica' segnalati inizialmente dal Regno Unito all'Organizzazione Mondiale della Sanità. L’alert era scattato per via di una concentrazione di casi, in un breve periodo, troppo elevata rispetto al normale. Ad oggi sono circa 169 le segnalazioni in Europa, America e Israele.
Dall’altroieri presso l’azienda ospedaliero-universitaria del policlinico Riuniti di Foggia è stata attivata la task-force guidata dal prof. Gaetano Serviddio. Ne fanno parte anche un infettivologo, un pediatra e un esperto di immunologia, “così da avere tutti i sistemi sotto controllo” evidenzia il direttore dell’Unità di Epatologia, tra i migliori centri in Italia e in Europa. “Si tratta di casi sporadici e rari. Al momento non conosciamo l’origine e il fegato è un organo che si difende molto bene. In Puglia non c’è alcun caso, abbiamo un attentissimo monitoraggio sul territorio” le rassicurazioni dell’epatologo.
A Foggiatoday il prof. Serviddio spiega: “Stavano seguendo una serie di dati che avevamo ricevuto attraverso le nostre reti internazionali di collaborazione, perché noi siamo nelle reti epatologiche della società scientifica e di epatologia”. Livello di guardia alta, quindi, frutto dell’altissima sorveglianza attivata durante e dopo la pandemia: “Dopo esser stati presi alla sprovvista da una infezione di grandissima diffusibilità, in due anni sono stati attivati tutta una serie di sistemi, verifiche e monitoraggi. Oggi siamo molto più attenti” spiega il direttore dell’unità di Epatologia.
Interpellato sulle dichiarazioni di Bassetti, secondo il quale la gravità dei casi sarebbe dovuta a indebolimento delle difese immunitarie derivanti dai lockdown precedenti, l'epatologo prova a far chiarezza: “Bassetti dà per scontato che la malattia è virale, ma la cosa non è affatto dimostrata. Il modo di presentarsi è tipico della malattia infettiva. L’adenovirus non è che ami moltissimo il fegato, ma è una localizzazione possibile. E’ possibile che questi virus spesso vengano a contatto con i bambini nelle prime fasi di scolarizzazione, asilo e anche asilo nido, quando il bambino si prepara alla formazione immunitaria. Se lo stesso virus viene incontrato alcuni anni dopo, può avere una reazione immunitaria, molto violenta, anche troppo, per cui l’inesperienza immunitaria potrebbe determinare una maggiore malattia, non l’insufficienza immunitaria".
Il prof. Serviddio aggiunge: "Ora, il ragionamento fatto, è che durante i lockdown, nei bambini questi virus hanno girato pochissimo e le mascherine hanno limitato drasticamente le infezioni dei bambini stagionali, per cui è stata fatta una supposizione, smentita, ovvero quella che incontrare prima questi adenovirus prepari meglio il bambino, mentre incontrandoli più tardi può determinare una reazione più violenta”.
Sul trapianto di fegato, soluzione efficace e definitiva della patologia epatica avanzata, Serviddio conclude: “E’ perché abbiamo la soluzione che ricorriamo al trapianto”.