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Cannabis, stop al quesito referendario non ferma chi vuole legalizzarla. Il 'Nobile' appello da Foggia: "Serve una legge"

Il commento di Mario Nobile, segretario provinciale di Sinistra Italiana, tra i promotori del sì alla Cannabis, dopo la bocciatura da parte della Corte Costituzionale del quesito referendario relativo al testo unico sugli stupefacent

“Quella della Corte Costituzionale è stata una interpretazione un po’ ottusa e restrittiva con la quale si è perseguito, formalmente anche in maniera legittima, l’affossamento del quesito referendario”. È il commento tranchant di Mario Nobile, segretario provinciale di Sinistra Italiana, tra i promotori del sì alla Cannabis, dopo la bocciatura da parte della Corte Costituzionale del quesito referendario relativo al testo unico sugli stupefacenti. Com’è noto, il referendum proponeva l’eliminazione del reato di coltivazione della cannabis, rimuovendo le pene detentive per qualsiasi condotta legata a essa e la cancellazione della sanzione amministrativa del ritiro della patente. Il tutto, attraverso l'intervento sui commi 1 e 4 dell’articolo 73 del dpr 390/1990 e sull’art. 75, comma 1, lettera a.

La decisione della Corte Costituzionale è destinata a far discutere anche per le dichiarazioni, rese a margine della sentenza, del presidente Giuliano Amato: “Il referendum non era sulla cannabis, ma sulle sostanze stupefacenti. Si faceva riferimento a sostanze che includono papavero, coca, le cosiddette droghe pesanti. E questo era sufficiente a farci violare obblighi internazionali”. Dichiarazioni aspramente contestate su Twitter da Marco Cappato: “Ha affermato il falso dicendo che il referendum non toccherebbe la tabella che riguarda la cannabis. Non sono stati nemmeno in grado di connettere correttamente i commi della legge sulle droghe. Un errore materiale che cancella il referendum”.

Una replica ancora più articolata è apparsa sul sito referendumcannabis.it: “Amato ha sottolineato come il comma 1 dell’articolo 73 faccia riferimento alle tabelle 1 e 3 delle sostanze stupefacenti, che non includono nemmeno la cannabis, che si trova nella tabella 2. Facendo intendere che questo sia avvenuto per un errore materiale. Così non è. Infatti, il comma 4 richiama testualmente le condotte di cui al comma 1 dello stesso articolo 73, tra le quali è ricompresa proprio quella della coltivazione. Appare evidente, dunque, come non si possa prescindere da una lettura combinata dei due commi. In altre parole, i proponenti non hanno fatto riferimento al comma 1 perché volevano legalizzare la coltivazione di droghe pesanti, bensì perché non si poteva fare altrimenti, dal momento che i due commi sono legati. Se non si fosse eliminato l’inciso “coltiva” dal comma 1, sarebbe rimasta la sanzione pecuniaria elevatissima prevista dal comma 4 per tutte le condotte legate alla cannabis. Mentre l’intento dei promotori era quello di decriminalizzare del tutto la coltivazione a uso personale. In ogni caso, comunque – ed è quanto esposto nella memoria difensiva del quesito e nel corso dell’udienza in Corte – questo non avrebbe comportato automaticamente la libera produzione di ogni tipo di sostanza”.

“La Corte (a mio parere sbagliando) ha sostenuto che si potesse addivenire alla coltivazione di papavero da oppio e foglie di coca. Ma queste due, per diventare cocaina ed eroina non hanno bisogno della mera coltivazione, bensì della produzione e fabbricazione, che non venivano minimamente toccate nel quesito referendario e che continuano a essere assolutamente vietate. L’unica droga leggera che di per sé può essere fruita con la mera coltivazione è la cannabis”, aggiunge a FoggiaToday Mario Nobile.

Secondo il segretario provinciale di Sinistra Italiana, il problema principale è determinato dalla norma, una legge soggetta a diverse modifiche: “Purtroppo, i referendum sono solo abrogativi, cancellano una norma o parte di essa. L’ottusità del Parlamento sull’eutanasia e cannabis, che non sono questioni che riguardano poche persone, ha portato all’esigenza di arrivare al risultato di modificarla attraverso una via impervia e non adeguata, cioè quella del referendum. Un po’ come ottenere un bonsai tagliando e sfoltendo un pino marittimo. In questo senso, si è decisa di perseguire questa strada ricolma di limiti, poi rilevati dalla Corte Costituzionale”.

Ecco perché, Nobile ritiene l’inammissibilità del quesito referendario il frutto di una ‘lettura ottusa e formalistica’: “La Corte avrebbe potuto emettere una sentenza in cui ammetteva il referendum, lanciando nel contempo un monito (cosa fatta tante volte nella storia) alla politica, affinché si lavorasse sull’opportunità di modificare la legge rispetto ai temi della produzione e fabbricazione di eroina e cocaina. Così facendo, avrebbe reso ancora più evidente il divieto già in essere, e risolto ogni tipo di ambiguità. Invece, ha scelto di lavarsene le mani. Una scelta miope che non guarda alle esigenze della popolazione”.

Nobile rigetta anche le critiche circa una ipotetica formulazione errata del quesito referendario: “Alla sua redazione hanno partecipato fior fiori di giuristi. Ma al di là di questo, per come è stata scritta, la norma, con il collegamento sinergico tra comma 4 e 1, inevitabilmente poteva dare adito a una interpretazione restrittiva della Corte la quale, invece, avrebbe potuto adottare una interpretazione estensiva, ammettendo il quesito e facendo in modo che si intervenisse sulle cosiddette droghe pesanti. Ma, come ho già detto, le nuove norme non si fanno con i referendum, con le normative di risulta dopo le abrogazioni referendarie. Le norme si fanno con il Parlamento. Ed è da danni che non si legifera in tal senso a causa dell’ostruzionismo di certi soggetti politici nei confronti di chi (dalle forze politiche come Sinistra Italiana e i Radicali fino alle associazioni) si è speso sul tema. Se la politica parlamentare non dà risposte concrete, è normale dover percorrere vie impervie e ricche di insidie come il referendum”.

Durante la campagna di raccolta firme, in Capitanata sono state oltre 4300 le adesioni sottoscritte online. Il sistema delle firme è stato anch’esso contestato dal presidente della Corte Costituzionale: “Anche su questo aspetto, il presidente Amato ha sbagliato. Stigmatizzando l’utilizzo della raccolta firme a mezzo spid, ha mostrato una certa arretratezza ed estraneità al progresso. C’è pure un paradosso di fondo, visto che una certa parte delle istituzioni consente la firma con lo spid per operazioni economiche da migliaia di euro. La cifra dell’ottusità sta anche in questo”.

Incassata l’inammissibilità del quesito, le azioni del comitato referendario non si interromperanno: “Credo e spero che questa vicenda così annosa e problematica rispetto al tema democratico spinga le forze politiche a decidere di lavorare e approvare una nuova norma. Per questo, sarà fondamentale applicare una pressione politica dal basso, per far sì che questo risultato giunga attraverso una legge e non un ulteriore quesito referendario. Oltretutto, c’è il rischio che – pur modificando il quesito – la Corte Costituzionale ribadisca l’inammissibilità. Per come è strutturata la norma, per come si connettono droghe leggere e pesanti in commi tra loro visceralmente legati, il rischio di un pronunciamento analogo ci sarà sempre. La mia personale ipotesi – conclude Nobile – è che una nuova legge scongiurerebbe le forche caudine del referendum. Ciò non vuol dire che la raccolta firme non sia servita, anzi. È stata utilissima per sollevare il problema e l’esigenza di un intervento immediato su questa materia. La sconfitta subita è giunta per mano di un nemico in ritirata, mentre noi stiamo lentamente e con tante difficoltà avanzando verso la vittoria. Serve una legge e questa vicenda non farà altro che accorciare i tempi della sua tanto sospirata approvazione”.


 

  

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