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Le province restano e si rinnovano: si vota il 31 ottobre. Capitanata al lavoro per il dopo Miglio: "Restano tutte le emergenze"

Costituito l'ufficio elettorale. Palazzo Dogana eleggerà solo il nuovo presidente, al consiglio provinciale toccherà a gennaio. Miglio non più ricandidabile: "Deluso, la proroga non affronta alcuna emergenza"

Come da disposizioni contenute nel decreto Milleproroghe, il 31 ottobre prossimo avrà luogo l’election day provinciale, ovvero andranno a rinnovo, accorpati in un’unica data, tutti gli organi provinciali che chiudono il loro mandato entro il 31 dicembre 2018. Si tratta di una proroga,“in attesa di una compiuta revisione della legge Delrio”, recita il provvedimento del Governo Conte, al quale spetta l’onere di riformare, come promesso, una normativa mai del tutto decollata (e che, ad oggi, ha ridotto le Province a presidi di secondo livello di scarsa rilevanza ed incisività politica ed operative) e di giungere a sintesi, diviso com’è tra la Lega, prima firmataria di un disegno di legge di superamento della legge Delrio e ripristino delle Province, e M5S, che ha sempre sostenuto l’inutilità e, pertanto, la cancellazione di questi enti.

Si elegge solo il presidente. Nelle more, dunque, si procede con proroga e la Provincia di Foggia si organizza. Prima di andare in ferie, il presidente Francesco Miglio ha firmato un decreto con cui ha dato mandato di organizzare le urne. Oggi da via XX settembre si fa sapere che è stato costituito l’Ufficio elettorale diretto dal segretario generale Giacomo Scalzulli. L’organismo, tuttavia, accompagnerà le operazioni di rinnovo del solo presidente, il cui mandato scadrà il 12 ottobre 2018 (quattro anni a partire dal 12 ottobre 2014). L’election day non riguarderà invece il rinnovo del consiglio provinciale, che ha invece durata biennale e scadrà il prossimo 16 gennaio 2019.

Miglio non ricandidabile. Come noto, si tratta di elezioni di secondo livello, alle quali partecipano i comuni della provincia, candidando rappresentanti già eletti negli enti locali. Alla carica di presidente sono candidabili i sindaci e, segnatamente, solo quelli che hanno davanti ancora 12 mesi di mandato (il provvedimento ha ridotto l’arco temporale “residuo”, che la Delrio fissava in 18 mesi). Motivo per cui non è ricandidabile il presidente uscente, Francesco Miglio, e sono da escludere tutti i sindaci che, al pari di Miglio, terminano il loro mandato nel 2019. Fuori dunque grandi città come Foggia (Landella), Lucera (Tutolo) e centri minori. La riduzione a 12 mesi, invece, rende fattibile l’ipotesi Riccardi, sindaco di Manfredonia e presidente del consorzio Asi (oltre che consigliere provinciale), così come Franco Metta, sindaco di Cerignola (per restare ai grandi centri). Mai come in questi momento, tuttavia, potrebbe essere la volta dell’avanzamento delle fasce più piccole, quelle che valgono di meno in termini di voto ponderato. E già si fanno i nomi di Giuseppe Nobiletti (sindaco di Vieste), Costanzo Cascavilla (San Giovanni Rotondo), ma potrebbe essere la volta anche di quelli del centrodestra (che potrebbe puntare a capitalizzare il momento d’oro a livello nazionale) come Lino Monteleone (sindaco di Torremaggiore) o  Leonardo Ciavarella (neoeletto sindaco di San Nicandro Garganico). Fuori dai giochi, invece, il sindaco leghista di Apricena, Antonio Potenza (Apricena va ad elezioni nel 2019). Starebbe lavorando a far convergere su di lui il placet degli assessori regionali e degli amministratori anche l’ambizioso sindaco di Candela, Nicola Gatta, vicino a Leo Di Gioia. Si vedrà. Fuori dalla partita il M5S, che in Capitanata ha sì fatto l’en plein in termini di parlamentari ma non ha amministratori locali (le redini le tirano ancora Pd e civici).

“Dimenticate le emergenze”. E se a settembre inizieranno i giochi per la presidenza, l’uscente Miglio si dice deluso da un provvedimento di proroga che “non ha affrontato alcuna delle emergenze che affliggono le province”. Risorse su tutto. L’Unione Province Italiane nei mesi scorsi aveva fatto pervenire al Governo un documento in cui si chiedeva di mettere mano seriamente alla riforma delle province e, ancor prima, alle dotazione finanziaria di questi enti, che, con i pochi spiccioli loro destinati, non potrebbero assolvere ad alcuna delle competenze rimaste in capo alle province, sì residuali ma comunque fondamentali. Basti pensare alla questione infrastrutturale (strade, etc), tanto dibattuta in questo momento storico, all’indomani del crollo del ponte Morandi. “La situazione viaria sulle nostre strade è grave. Ed è comune a quasi tutte le province d’Italia. Avevamo chiesto un intervento importante per mettere in sicurezza il nostro patrimonio e consentirci di assolvere alle nostre funzioni: nulla di tutto ciò è stato recepito” tuona Miglio, secondo il quale per “affrontare l’emergenza nell’immediatezza serviverebbe qualche decina di milioni di euro”. “Un governo che punta a nazionalizzare le autostrade, deve ancor più preoccuparsi di ciò che già ricade sotto la nostra responsabilità. Stiamo messi male, si va avanti con misure tampone”. “Mi aspettavo un provvedimento più coraggioso – conclude laconico-, invece ancora una volta hanno avuto precedenza nomi e cariche”.

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