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Il Pd tenta il tutto per tutto, il caso Provinciali finisce al Consiglio di Stato: "Errore scusabile"

Il Partito Democratico di Capitanata non rinuncia ad impugnare in appello la sentenza del Tar che aveva dato regione all'Ufficio elettorale di Palazzo Dogana

Il Pd di Capitanata non si arrende e si appella al Consiglio di Stato nell’estremo tentativo di salvare la lista esclusa dall’elezione per il rinnovo del Consiglio provinciale di Foggia. Non contento del pronunciamento della Sezione Terza del Tar Puglia, presieduta da Orazio Ciliberti, ex sindaco di Foggia e vecchia conoscenza dei Dem, ha proposto appello. Il ricorso elettorale risulta depositato il 21 gennaio e l’udienza è fissata per martedì 25 gennaio.

In concomitanza con le dimissioni della segretaria provinciale Lia Azzarone, che si era assunta tutte le responsabilità dell’errore per quanto continuasse a parlare di "cavillo" formale, era filtrata la notizia che il partito avrebbe rinunciato a impugnare la sentenza. Se non fosse scaramanzia o una indecifrabile strategia, sarebbe lecito domandarsi se non volesse forse risparmiarsi un’altra figuraccia nel caso di una seconda bocciatura, considerati anche gli spietati commenti nella piazza virtuale.

Nel caso il Consiglio di Stato, poi, dovesse ribaltare il giudizio di primo grado, la segretaria che si è sacrificata, probabilmente, potrebbe tornare sui suoi passi, magari sull’onda della solidarietà Dem che, per la verità, fatica ad emergere per quanto pare covi da qualche parte. Certamente, l'attuale vice presidente della Regione Puglia, Raffaele Piemontese, big del Pd e avvocato, avrà vagliato attentamente il caso e valutato l'opportunità di rivolgersi all'organo di secondo grado della giustizia amministrativa. 

Vittorio Presutto, presentatore della lista, e i candidati Mariarita Valentino, Generoso Rignanese, Marcello Moccia ed Emilio Di Pumpo, difesi dall’avvocato Nino Sebastiano Matassa di Bari, chiedono l’annullamento o riforma della sentenza del 19 gennaio. I magistrati hanno dato ragione all’Ufficio elettorale provinciale che aveva ricusato la lista perché ad autenticare le dichiarazioni di accettazione delle candidature e le sottoscrizioni dei presentatori era stato un consigliere comunale di Serracapriola, Vittorio Presutto appunto, fuori dal territorio del Comune di appartenenza. “Inutile formalismo” ed “errore scusabile” sono le parole chiave per tornare alla carica.  

I ricorrenti eccepiscono che il Tar non abbia preso in considerazione le recentissime modifiche introdotte all’art. 14 della l. n. 53/1990 e la peculiarità del procedimento elettorale. La difesa giudica “erronea” la sentenza in relazione al primo motivo di impugnativa di primo grado perché il ricorso è stato respinto “senza in alcun modo esaminare le specifiche doglianze sollevate mediante richiamo ad un precedente (la sentenza n. 3023/2019 di codesto Consiglio di Stato) che non si riferisce alle elezioni provinciali e che è anteriore rispetto alle evidenziate modifiche normative”.

Da qui la decisione di “insistere” affinché il Consiglio di Stato “esamini funditus la questione sollevata, che ha carattere di novità alla luce delle peculiarità evidenziate”. L’avvocato Nino Sebastiano Matassa punta sull’evoluzione normativa e la progressiva estensione del potere di certificare l’autenticità delle sottoscrizioni ad una serie via via più ampia di soggetti, includendo anche gli avvocati. 

“Non esiste alcun precedente giurisprudenziale - evidenzia - sui limiti territoriali al potere di certificazione del consigliere comunale nel caso di elezioni provinciali di secondo grado”.

La recentissima modifica normativa, secondo la difesa, "può abilitare il genuino convincimento che il legislatore abbia inteso far venir meno i confini territoriali al potere certificativo, quanto meno nei confronti dei soggetti abilitati in via eccezionale nell’ambito del procedimento elettorale”.Si ribadisce che l’attribuzione del potere di autenticazione è finalizzato "ad agevolare e semplificare lo svolgimento del procedimento elettorale" e si citano una serie di sentenze del Consiglio di Stato. Si rammenta, inoltre, che il procedimento elettorale “è governato dal principio del favor partecipationis, finalizzato a garantire la più ampia partecipazione possibile”.

L'Ufficio elettorale provinciale "ha disposto invece l’esclusione della lista sulla base di un 'inutile formalismo' – scrivono nel ricorso - tanto più ove si consideri l’evoluzione della norma che regola il potere di autentica e la peculiarità del procedimento elettorale in questione”.

Secondo il ragionamento dei ricorrenti, il consigliere comunale si candida per l’intera provincia e può esercitare un diritto di voto anche in favore di un consigliere o di un sindaco appartenente a un comune diverso dal proprio, quindi, tra le sue competenze rientrerebbe anche quella di partecipare fattivamente a tutte le fasi, nessuna esclusa, compresa l’autenticazione per l’intero collegio.

In primo grado avevano eccepito che, al massimo, il vizio dell’autentica avrebbe potuto configurare una mera irregolarità e non certo una radicale “nullità” e, alla luce delle recenti modifiche normative e della peculiarità del procedimento elettorale, si sarebbe in presenza, secondo la difesa, di “un errore scusabile”.

Sarebbe uno di quei casi, secondo i ricorrenti, nei quali “la giurisprudenza ha sempre riconosciuto l’ammissibilità del soccorso istruttorio nel procedimento elettorale e della regolarizzazione”. L'ultima parola spetta al Consiglio di Stato che si pronuncerà cinque giorni prima della data dell'elezione del Consiglio provinciale, fissata al 30 gennaio. 

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