Defezioni a gogò e qualche ingresso di peso: quanto vale oggi Landella candidato sindaco?
La Lega vuole le primarie. Landella definisce la sua ricandidatura una questione di dignità politica e sfida "mi trovino un candidato che ha consenso". Ma qual è il consenso del sindaco uscente a quattro anni di mandato?
Foggia, giugno 2014. Franco Landella vince il ballottaggio contro Augusto Marasco. 27.839 voti per il candidato del centrodestra; stacca di pochissimo l’architetto già assessore all’Urbanistica della giunta Mongelli, che con 27.473 consensi. 0.66% di differenza tra i due. 366 voti.
Foggia, novembre 2018. Forza Italia ufficializza la ricandidatura del suo sindaco. Che non ha paura delle primarie, dice, ma la sua ridiscesa in campo è una questione di “dignità politica”, reclama Landella. Che un giorno sì e l’altro pure va ripetendo: “Propongano un nome che ha più consenso di me”. E in politica è un ragionamento che ci sta.
Così come ci sta cercare di capire quale sia la geografia del consenso di Landella oggi. Come è cambiato nel tempo. E se, rispetto al dato del 2014, i cinque anni di consiliatura lo hanno fortificato o indebolito.
Partiamo col dire che, nel computo del consenso, bisogna tenere in considerazione una variabile importante: la fisiologica perdita di appeal di un sindaco uscente, dovuta a quella difficile esperienza che va sotto il nome di “governo della città” e che, è di tutta evidenza, fa calare il gradimento, anche e soprattutto in quelle fasce nei confronti delle quali più sono state alimentate le aspettative in campagna elettorale e che sono il bacino elettorale di riferimento (da sempre) di Landella, ossia quelle meno abbienti. Quelle popolari. Quelle dell’emergenza case (irrisolta) e dei senza lavoro (aspetto che non riguarda un ente locale ma che, inevitabilmente, si riverbera su chi governa ed ha governato la città). A ciò si aggiunga che Landella sin da subito, dal suo insediamento, è apparso distante, arroccato nel suo palazzo, molto meno tra la gente rispetto a quel che la gente ricordava. Ovviamente le dinamiche qui descritte non sono quantificabili numericamente sotto il profilo del consenso eventualmente perduto. Ma è facile immaginare che un peso oggi lo abbiano. E se si considera che Landella vinse per 366 voti (pochissimi), è altrettanto facile desumere che oggi quello scarto non esiste più.
Fatta questa premessa, quel che si può calcolare è come è variato il consenso politico attorno alla sua figura a partire dalla geografia consiliare. I suoi detrattori politici, oggi, vanno ripetendo come l’amministrazione uscente sia molto diversa da quella che si insediò nel giugno 2014. Che non è più di centrodestra, ma un amalgama indefinito in cui a dare testimonianza di centrodestra è rimasta solo una parte di Forza Italia. Per il resto si tiene in piedi grazie alla stampella di tre elementi dell’opposizione.
Ed in effetti, se si pensa che Fratelli d’Italia e Lega (i due alleati maggiori) sono dall’altra parte, sicuramente quello che governa Foggia è un centrodestra rissoso e a metà. Aiutato da ex piddini, ex uddiccini ed ex socialisti.
Il consenso oggi, tra ingressi ed uscite
Quanto valgono i tre nuovi sostenitori di Landella? Se guardiamo alle preferenze ottenute nel 2014, presi singolarmente i tre sono dei campioni di consenso: 1153 voti l’ex Pd Sergio Clemente, 1072 voti l’ex Udc Leonardo Iaccarino, 842 voti l’ex Psi Saverio Cassiti. Totale: 3067 voti. Una cifra assolutamente notevole di cui il primo cittadino potrebbe godere, ove tornasse in campo, considerato che i tre ad un progetto pro Landella hanno dichiarato in passato di starci pensando. 3067 voti, dunque, in ingresso.
Quanti, invece, in uscita? Landella, va detto, ha perso pezzi sin da subito. Sin da quando estromise dalla sua giunta ben tre ex assessori, eletti in consiglio con Forza Italia, con un numero di preferenze, per giunta, assolutamente importante ai fini della sua vittoria (tutti elementi che resero l’estromissione dei tre decisamente censurabile sul piano politico). Si tratta di Gianni De Rosa, Mimmo Verile e Gabriella Grilli, rispettivamente portatori di 828 consensi il primo (primo degli eletti in Fi), 753 Verile (secondo degli eletti), 494 Grilli. Una estromissione che provocò la rottura (ad oggi insanabile) con i tarquiniani e che spostò tra i banchi dell’opposizione un altro ex fedelissimo di Tarquinio/Fitto come Raimondo Ursitti (618 voti). Totale dei voti in uscita: 2693. Una fuga di preferenze andata aumentando nel tempo se si pensa che a passare subito all’opposizione ci ha pensato anche il capogruppo dei Fratelli d’Italia, Giuseppe Mainiero (372 voti) un attimo dopo l’estromissione dalla giunta di Jenny Moffa (232 voti). Altri 604 voti in uscenti. Che aggiunti ai precedenti fanno 3297 preferenze. Già sorpassato il numero in entrate.
Ma non basta, perché nel tempo sono andati staccandosi alcuni eletti di Destinazione in Comune e della ex Ncd, poi passati nella Lega. E la Lega non solo si dice oggi assolutamente contraria alla ricandidatura di Landella ma ha drenato in tempi recenti, portandoli dalla sua parte, anche alcuni eletti azzurri, tant’è che oggi il gruppo salviniano è il più numeroso in consiglio. Cinque i consiglieri leghisti: Francesco Paolo La Torre (575 voti), Alfonso Fiore (509 voti), Joseph Splendido (537 voti), Antonio Vigiano (430 voti) e, appunto, il già conteggiato all’opposizione del sindaco Raimondo Ursitti: le preferenze in uscita lievitano a 5348 voti potenzialmente in meno. Certo, non tutti sono assolutamente contrari a Landella, molti giocano e contrattano la loro posizione. Ma, allo stato, non possiamo che fotografare le posizioni politiche per come vengono comunicate e pubblicizzate.
A ciò si aggiungano un ex Destinazione Comune (poi lista Schittulli, poi Fi, oggi indipendente) come Pasquale Cataneo (516 voti), l’ex Fi Nicola Russo (341 voti: assieme a Cataneo ha espresso pubblica contrarietà alla ricandidatura di Landella nel corso dell’assemblea provinciale di Fi domenica scorsa, alla presenza del segretario regionale Mauro D’Attis) e l’ex Fi (poi Ncd, oggi indipendente) Giuseppe Pertosa (412 voti) e il dissenso lievita a 6617 preferenze in uscita. Siamo già a 3550 voti di scarto rispetto agli ingressi.
Ad acuire lo scenario, solo per stare alla geografia consiliare, ci pensa il presidente del consiglio Luigi Miranda, colui che con il suo apparentamento portò in dote a Landella il suo 7.65% del primo turno alle elezioni 2014, ossia 6391 preferenze. Miranda ha mantenuto inalterato il suo consenso? Ad occhio e croce, il mondo di riferimento associazionistico del giovane avvocato foggiano è tutto lì. Ed è la più grande spina nel fianco di Landella, posto che viene dato ormai in ingresso nella Lega e, tra l’altro, figura spendibilissima nelle eventuali primarie richieste dal partito di Salvini contro il sindaco uscente. Non è un caso l’assenza di Miranda all’assemblea provinciale di Forza Italia domenica scorsa. 6617 già calcolati uniti a 6391 preferenze potenzialmente in uscita fanno 13.008 voti. A questi vanno aggiunti in uscita i voti di Lucia Lambresa, che al ballottaggio si schierò con Landella (quanto vale oggi e lo farebbe ancora dopo il benservito in Amiu?).
Svuotata di parecchio Forza Italia, certo con Landella in maggioranza ci sono ancora persone del calibro di Bruno Longo, Lucio Ventura, Consalvo di Pasqua ma ad esempio, in giunta, il “cerchio magico”, non vale poi tantissimo: tolti gli eletti Francesco Morese (767 voti), Erminia Roberto (537 voti) e Ciccio D’Emilio (527 voti), Bove vale 309 voti, Anna Paola Giuliani 56 preferenze, mentre di Tucci, Cangelli, Lioia e Amorese non si conosce il peso, essendo assessori esterni, non candidatisi.
Certo, il quadro descritto non pretende assolutamente di essere esaustivo: non solo ogni elezione è una partita a sé stante ma l’aver fatto il sindaco, aver avuto la gestione della città, se ha tolto da una parte, ha certamente aggiunto dall’altra. All’esterno. Consentendo di stringere altro genere di rapporti. Ma la fotografia politica non è irrilevante. 13mila voti meno 3mila di ingresso, fanno 10mila in meno: una somma notevole, che a Foggia, dove si vince con 366 voti di scarto, fa la differenza eccome.
Significa, stando ai numeri di primo turno (32.41% preferenze, 27.075 i voti incassati) e di ballottaggio su ricordati, valere oggi, su una platea di 80mila votanti circa, circa il 20-21% Siamo sulla linea di confine, insomma. Ovviamente il ragionamento è in linea teorica. I flussi elettorali, si sa, sono tutt'altro che prevedibili.