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Provinciali senza Pd, arriva la bocciatura bis: il Consiglio di Stato non perdona l’errore

Il presentatore della lista ricusata e quattro candidati avevano proposto appello. La sentenza conferma il pronunciamento del Tar Puglia e respinge il ricorso

Non era un “errore scusabile”. E, a questo punto, non esiste alcun “cavillo” o “inutile formalismo”. La giustizia amministrativa boccia su tutta la linea il Partito Democratico di Capitanata. La corsa alle Provinciali del cosiddetto 'centrosinistra largo' sotto l’insegna del Pd finisce qui. Niente da fare al Consiglio di Stato, che ci mette una pietra sopra.

All’udienza di oggi, 25 gennaio, la causa è stata trattenuta in decisione e, in serata, è stata pubblicata la sentenza. Nella camera di consiglio, i magistrati, presidente Ermanno de Francisco, hanno respinto il ricorso in appello depositato il 21 gennaio scorso. La lista è inammissibile. “Nessuna delle censure d’appello risulta condivisibile”, si legge nella sentenza.

Il Partito Democratico non aveva reso di pubblico dominio l’impugnazione e, anzi, contestualmente alle dimissioni della segretaria provinciale Lia Azzarone che si è assunta tutte le responsabilità della ricusazione della lista, era trapelato che non sarebbe andato avanti.

Vittorio Presutto, il consigliere comunale di Serracapriola che ha autenticato le dichiarazioni di accettazione delle candidature e le sottoscrizioni della lista fuori dal territorio di competenza, e quattro candidati alla carica di consigliere provinciale – Mariarita Valentino, Generoso Rignanese, Marcello Moccia ed Emilio Di Pumpo, difesi dall’avvocato Nino Sebastiano Matassa del Foro di Bari, chiedevano di riformare la sentenza emessa il 19 gennaio dal Tar Puglia e, di conseguenza, annullare il verbale dell’ufficio elettorale provinciale nella parte in cui ricusava la lista. Il 24 gennaio, alla vigilia dell’udienza, era stata presentata un’integrazione.

I ricorrenti eccepivano che la Sezione Terza del Tar Puglia non avesse tenuto in debita considerazione i recenti interventi normativi e la peculiarità del procedimento elettorale di rinnovo del Consiglio provinciale, doglianze sollevate in primo grado, e che il Collegio, peraltro, avesse citato a sproposito una sentenza del Consiglio di Stato riferita ad una “fattispecie del tutto diversa”, anteriore rispetto alle modifiche legislative.

Ribadivano come l’ufficio elettorale provinciale avesse disposto “l’esclusione della lista sulla base di un ‘inutile formalismo’, tanto più ove si consideri l’evoluzione della norma che regola il potere di autentica e la peculiarità del procedimento elettorale in questione”.

La peculiarità del procedimento per l'elezione di secondo grado del Consiglio provinciale “non soltanto non incide di per sé sulla portata del principio generale che impone ai fini certificatori la competenza territoriale del certificante - sentenzia il Consiglio di Stato - ma appare anzi escludere la invocata potestà certificatoria, ove si consideri lo specifico coinvolgimento, attivo e passivo, del consigliere comunale nell’agone elettorale”.

Altrimenti, secondo i magistrati, si configurerebbe “un’illimitata potestà certificatoria”. E sia la pronuncia del Consiglio di Stato n. 22 del 2013, sia la sentenza del Consiglio di Stato n. 3023 del 9 maggio 2019, sono state “correttamente richiamate dalla sentenza appellata”, perché “hanno applicato con evidenza, in quanto relative a soggetti statali, un principio generale valido a maggior ragione per un organo con più specifica caratterizzazione territoriale, quale è nella fattispecie il consigliere comunale”.

Quanto rilevato, scrivono i magistrati, “mostra l’erroneità dell’asserzione – d’appello e di primo grado – che richiamando pronunce della Corte costituzionale, della Corte europea dei diritti dell'uomo e di questo Consiglio di Stato afferma essere basata su un “inutile formalismo” l’interpretazione del Tar”.

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