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“Non dormissero sonni sereni. Ci stiamo riprendendo la città”

Dopo il furto dei pannelli alla scuola media De Sanctis, CSOA Scurìa Foggia continua a sostenere la battaglia delle occupazioni degli spazi sociali abbandonati

Dopo l'ennesimo furto alla scuola media De Sanctis prosegue la battaglia del CSOA Scuria Foggia in merito alla questione delle occupazioni degli spazi sociali abbandonati. E prosegue il tira e molla con le istituzioni, chiamate, dopo vari incontri, a trovare una soluzione definitiva che possa, da una parte recuperare luoghi vandalizzati e depredati, dall'altra permettere a gruppi e associazioni di rimetterli a nuovo e di valorizzarli. 

CSOA SCURIA FOGGIA | “De Sanctis: rubati anche i pannelli”. Ci siamo svegliati così, stamattina. Con una notizia che sa di beffa. E di deja vù. I giornalisti la chiamano “odissea”, questa traversata nel deserto del degrado. Noialtri, forse, dovremmo fare come quegli odiosi maestrini del senno di poi. Atteggiarci a compiaciuti profeti di sventura. E dire, con una scrollata di spalle, che l’avevamo detto. Che, in tempi non sospetti, avevamo messo in guardia i nostri amministratori. E i nostri concittadini. Da ciò che risulta veramente facile da pronosticare, a chi conosce la situazione di quel colabrodo che un tempo fu una scuola media. Ma è proprio questo senso d’appartenenza, questo identificarci con la comunità, che fa prevalere l’irritazione e la rabbia al sorriso sardonico dello spocchioso primo della classe. 

Il Comune di Foggia si è comportato, con noi, come certi amanti frustrati. Come quelli che dicono al proprio partner “né con me, né con nessuno”. Avevamo offerto le nostre competenze. Il nostro entusiasmo. A costo zero. Volevamo mettere le une e l’altro al servizio di una struttura da riportare in vita. A modo nostro, indurre il quartiere a condividerla con noi. Con la città. E invece no. Dapprima il pugno di ferro che dichiarava irricevibile ogni comunicazione di avvenuta occupazione.

Poi il guanto di velluto dello sfibrante iter burocratico: “fidatevi di noi – ci dicevano gli amministratori – e troveremo una soluzione”. Ora, l’occupazione di uno stabile in disuso, abbandonato alle bizze di vandali e ladri, può sembrare un atto violento. Dal nostro punto di vista, violento è lasciarlo in agonia. Ma, in fondo, non è manco quello. L’occupazione è un metodo. Non certo un fine. Avremmo accettato di percorrere anche altre vie, se solo avessimo avuto degli interlocutori all’altezza. Invece: disinteresse, sciatteria, temporeggiamento. E il risultato fa fremere d’indignazione.

Senza farla troppo romanzata, quei pannelli solari li avevano pagati i soldi dei cittadini. Come tutto quello che era lì dentro ed è stato asportato. E ciò che è stato meticolosamente distrutto. Non saremo certo noi ad invocare la militarizzazione dell’area, ma degli amministratori incapaci di predisporre un servizio minimo di tutela del proprio patrimonio non meritano soltanto di essere spediti a casa a calcioni nel culo (cosa che tra l’altro viene sistematicamente fatta ogni cinque anni, in una sorta di turnover dell’incapacità), ma indicati al pubblico disprezzo. A perenne monito. 

Siamo arcistufi di dover sentire sulle spalle il peso di un menefreghismo che s’è fatto sistema. Pagare per degli sfaccendati al soldo degli speculatori e dei palazzinari che, alla fine della giostra, si fanno pure immortalare sui manifesti ed elemosinano il voto porta a porta. Senza pudore. Bene, se lorsignori pensano che l’aver occupato un tetto sotto il quale dare vita ai nostri progetti abbia fiaccato la nostra voglia, il nostro bisogno di rompere le scatole, sappiano a chiare lettere che sono completamente fuori strada. Non dormissero sonni sereni. Ci stiamo riprendendo la città.

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