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Mongelli sposta il cerino nelle mani dei partiti: “Non sono il pupazzo di nessuno”

Pdl ed Udc invitano il sindaco alle dimissioni. Socialismo Dauno e UdCap sono dalla parte dei Socialisti

I partiti, ora, scelgano da che parte stare: se col sindaco di Foggia, “e le cose che tutti insieme abbiamo fatto sin qui”, o col partito Socialista, che si è smarcato dal prodotto dell’amministrazione Mongelli. Nel quale caso, può ben dirsi chiusa la consiliatura. E’ questo l’aut l’aut che il primo cittadino lancia alle forze politiche all’esito della discussione in Consiglio comunale, oggi, sulla rottura col PSI.

Dopo giorni di silenzio tombale, in cui non una parola è stata spesa dalle segreterie politiche e dai capigruppo in consiglio sullo scontro che imperversava al Comune di Foggia, Socialismo Dauno (forza partorita da una precedente scissione tra i banchi del consiglio proprio col partito di Lello Di Gioia) e Unione di Capitanata (idem, ma con l’Udc di Angelo Cera, oggi all’opposizione), si schierano a difesa del  PSI, definendo la fuoriuscita del “garofano” dalla maggioranza, un “evento storico” (Capocchiano), oltre che una “intollerabile alterazione del quadro politico in merito al quale è impossibile bypassare” (Perulli), invitando il primo cittadino a promuovere “incontri bilaterali per ritrovare le ragioni della coesione e dell’unità”.

Più spostato sulle ragioni del sindaco ma con gli stessi toni conciliatori il Partito Democratico che alle forze di coalizione chiede un confronto sui temi, “sulle cose da fare, da qui alla fine della consiliatura”. Quali possano essere, tuttavia, queste ragioni a fronte del discredito totale dell’azione di governo gettato dal capogruppo Psi Piarullo già in apertura di Consiglio (“incontreremo le altre forze politiche per comprendere se siamo i soli a pensare che questa amministrazione ha prodotto fin troppi danni alla città”) è mistero che solo la politica “delle stanze di palazzo” può risolvere.

Perché la presa di distanze del PSI è netta. Ed autonoma. Probabilmente non calcolata fino alle estreme conseguenze, e dunque in questo senso “subita” dall’onorevole Lello Di Gioia, obtorto collo. Mongelli ascolta tutto e tutti ma non cede di un millimetro. Nell’intervento conclusivo ne approfitta per spostare il cerino direttamente nelle mani dei partiti e togliersi qualche sassolino dalle scarpe. Chiede scusa alla città per lo spettacolo poco edificante offerto, riconosce che “il clima ha bisogno di un raffreddamento politico” ma non sarà lui a promuovere alcunché. “Condivido l’invito ad un confronto sereno”rilancia Mongelli, “ma il primo confronto deve avvenire proprio tra le forze politiche, che devono chiarire anzitutto tra loro cosa è accaduto e se ci sono le condizioni per andare avanti.”

Foggia, Consiglio comunale 9 aprile 2013: le foto

Il tutto, beninteso, partendo dal “riconoscimento di quanto, insieme, abbiamo sin qui fatto. Se questa cosa non è possibile, lo si dica in quest’aula”. Perché, sia chiaro, “io non voglio essere sindaco per forza o sindaco di maggioranze variabili. Ma il sindaco della città”. Tradotto: il PSI ritratti quanto detto o le forze politiche possono sfiduciarmi, ma devono farlo loro, in aula, assumendosene la responsabilità. Quindi la replica, tagliente, a Lello Di Gioia che solo ieri lo definiva “sindaco senza meriti, dietro il quale c’è sempre stato qualcuno, sia nel percorso che lo ha portato in Confindustria che alla Fiera ed al Comune di Foggia: “Io non sono il pupazzo di nessuno; non devo essere tutelato da nessuno né mortificato con accuse infamanti” tuona Mongelli, “ed all’onorevole che è stato eletto in Sardegna dico di imparare a rispettare le persone”.

Infine l’accusa di essere un sindaco di destra: “Dobbiamo liberarci del totem destra – sinistra, altrimenti bisogna che mi si spieghi se risanare il Comune di Foggia è di destra o di sinistra. Io non mi sento uomo né di destra né di sinistra, né tantomeno espressione dei poteri forti. Ma il sindaco di questa città”. Ora la palla passa ai partiti. Intanto dai banchi dell’opposizione Pdl ed Udc invitano il sindaco alle dimissioni, il primo per “evidente fallimento di questa amministrazione” , la seconda per “il venir meno del quadro politico” che solo un momento di cesura come le dimissioni del sindaco può, eventualmente, ricompattare”. La diversità nei toni è evidente. Sintomo che qualcosa potrebbe covare dietro l’ermetico politichese

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