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Housing sociale, la proposta di Cislaghi: “Case di legno come in Svezia”

Provocatoria proposta dell'ex sindacalista, che prende spunto dal progetto avviato nel Nord Europa durante gli anni '60: una vera idea di housing sociale, non progetti edilizi finalizzati al benessere dei soliti palazzinari"

Case popolari, la gestione non piace a Giorgio Cislaghi: “Non chiamate Housing Sociale gli ‘accordi di programma’ per gli interventi edilizi in deroga al Piano Regolatore vigente, il PUG è ancora da definire prima ancora che approvare, perché l’Housing Sociale è ben altra cosa, ovvero riqualificazione delle periferie e delle zone degradate con riuso sociale degli spazi pubblici o progettazione di nuove aree con una visione sociale dell’abitare e del vivere”.

L’ex sindacalista prosegue: “Gli accordi di programma in via di approvazione da parte dell’Assessore Regionale non sono altro che una riedizione degli interventi edilizi in cambio di “case popolari” che, nel passato, non hanno portato ad acquisire un bel niente a fronte di concessioni in via di realizzazione. Che fine hanno fatto gli accordi di programma sottoscritti nel 2009 dall’ex giunta Mongelli? Sono ancora tutti da completare, se non ancora da iniziare, e le case promesse, le opere pubbliche da realizzare, sono solo degli sbiaditi ricordi perché a nulla è servita la ‘raccomandazione’ di vigilare sull’equa realizzazione delle case dei costruttori e opere pubbliche. Il calcolo delle case ottenute dai vecchi accordi di programma è facile da farsi perché non si è acquisita nessuna casa popolare al patrimonio comunale come nessun intervento pubblico si è concretizzato se non le opere indispensabili alla fruizione e vendita delle case destinate al privato. Che fine hanno fatto i cinque milioni previsti per gli interventi sul cavalcaferrovia di via Cerignola? Dov’è finito il palazzetto dello sport? Quando inizieranno i lavori di sistemazione del Campo degli Ulivi?”

Cislaghi e il suo gruppo esprime opposizione alla “ricerca di soluzioni per alleggerire il bisogno di case popolari che non prevedano tempi certi per la consegna delle case da parte dei palazzinari, tempi certi che devono essere garantiti da fidejussioni prontamente esigibili alla scadenza dei tre anni senza che siano previsti in alcun modo allungamenti dei tempi per qualsivoglia imprevisto o disgrazia. Ci basta l’esperienza fatta con il Consorzio Unitario Coop Casa perché sono sei anni che 30 famiglie aspettano un tetto e di ‘novazione d’impegno’ dopo novazione resta solo una fidejussione sotto cui nessuno può abitare. Ci basta l’esperienza fatta con le case per anziani di via Daddedda, consegnate ma inagibili da sempre. Ci basta l’esperienza fatta con i vari PIRP che non hanno portato alla riqualificazione di nessuna periferia mentre settantadue appartamenti pronti attendono inquilini che non lasceranno mai le vecchie case di via Lucera, mentre altri trentadue appartamenti finanziati sono rimasti sulla carta dei progetti”.

L’esponente del Circolo Che Guevara manifesta la necessità di un progetto serio: “Non servono case popolari sparse a macchia di leopardo in città, come sono sparsi gli accordi di programma’ proposti, senza un chiaro progetto abitativo che dia non solo case popolari ma case popolari inserite in un progetto integrato di abitare che aiuti a superare le differenze sociali, che non costruisca nuove case ghetto. Serve una vera idea di “housing sociale”, ovvero di progetti edilizi finalizzati al benessere delle famiglie e non solo dei soliti palazzinari”.

Poi tira in ballo gli esempi dei paesi del nord Europa: “Si può fare altro, si può fare bene e si può fare in fretta e a basso costo se si vuole veramente abbattere la domanda di case popolari, basta trarre ispirazione dai paesi nordici, da quanto fatto in Svezia negli anni ’60 quando, per affrontare una necessità impellente di nuove abitazioni, in pochi mesi resero abitabili le zone marginali della città costruendo centinaia di case prefabbricate in legno, una tecnica costruttiva che oggi permette di edificare buone case, antisismiche e di durata analoga a quelle in cemento. Case in legno come se ne fanno in molte parti d’Europa, a un costo minore di 45.000 euro per 90 mq, a basso consumo energetico e dotate di pannelli solari per l’autoproduzione di energia elettrica e di climatizzazione. Case che oltre a soddisfare la fame di abitazioni contribuiscono ad alleviare la spesa energetica delle famiglie che se faticano a pagare canoni di mercato ancor più faticano a sostenere i costi dei servizi per elettricità e riscaldamento”.

Conclude Cislaghi: “Che si accetti o meno la nostra proposta/provocazione poco conta, quel che conta è che si metta all’ordine del giorno una soluzione non raffazzonata per andare incontro alla fame di case economiche visto che mancano famiglie benestanti che acquistino il patrimonio edilizio ancora invenduto. I terreni ci sono, sono quelli dell’housing sociale e dei programmi edilizi mai avviati, le risorse pure perché basterebbe acquisire le fidejussioni e utilizzarle per finanziare gli interventi. Una cosa solo è importante: smetterla di illudere le famiglie che vivono nel disagio sociale con promesse che non saranno mai mantenute”.

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