Maria Grazia Calandrone incontra i ragazzi dell'IISS di San Nicandro Garganico
Maria Grazia Calandrone incontra i ragazzi dell'IISS di San Nicandro Gargano il 13 aprile alle ore 10.00. Poetessa e drammaturga, autrice e conduttrice di programmi culturali per Radio 3; dedica con passione il suo tempo agli extracomunitari di Roma, guarda con forza all’umano. Sensibile e raffinata critica letteraria per il quotidiano “Il Manifesto”, cura la rubrica di inediti “Cantiere Poesia” per il mensile Internazionale ‘Poesia’. Ha pubblicato varie raccolte di poesie, è in “Nuovi poeti italiani 6”- Einaudi, 2012; ha pubblicato “Serie fossile” – Crocetti 2015 e “Il bene morale” – Crocetti 2017.
Colpisce la sua dimensione empatica che entra nella carne della vita, quando parla con lingua di cielo di Marina Cvetaeva, Nella Nobili, Alda Merini. Porta la poesia nelle scuole materializzando la verità vertiginosa della poesia, perché il sogno purpureo della bellezza non può finire. Quando l'abbiamo contattata, invitandola al “De Rogatis Fioritto”, ha detto con forza e con passione di voler dimostrare con i fatti che la bellezza può cambiare ancora il mondo. Offre la bellezza della poesia al nulla, oltre la dimensione delle sue rime, consapevole di avere il compito di portare la luce della poesia, come fiore dall’abisso nelle tenebre. Scrive versi per offrirli alla dimensione umana dell’esistenza, persa fra i confini del nulla. Colpisce la sua sensibilità per l’umano, la sua poesia è per la vita. I suoi versi sfiorano silenziosi un amore che rompe gli argini, beve nell’anima cosmica dell’universo fra “una debolezza di spiga”, la solitudine santa di chi ascolta il respiro dell’infinito. In un luogo nascosto c’è la crepa del cuore da dove sgorga la vita. La forma algebrica d’amore s’interra nell’oceano mare, in una dimensione profonda, infinita. Il cuore si fa “canna di flauto” per ritrovare il respiro profondo dell’universo (Serie Fossile- Crocetti- 2005). La bellezza semplice del cielo aperto, bruciata nel sole che acceca, con la sete negli occhi dell’infinito, è forte e urla e tuona come mare tempestoso. Il pianto attraversa i giorni nella solitudine, con la meraviglia negli occhi e il petto lavato dal mare. La garza d’anima “salvata dalle piccole cose”, nel nitore dell’infinito. L’ombra evapora nell’innocenza, fra la bellezza di una costellazione immortale. Si fa intima la prefigurazione di una scrivania santa del cielo. Siamo navi “condotte dal vento”, siamo corpi iniziati da “quel nome-mamma”, evaporati con occhi “iniziali scacciati dal dolore e dal freddo come bestie” ( Da come una briglia ardente – Atelier 2005). Si tocca con mano che la sua aura respira poesia, è un bisogno sostanziale dell’anima. Tra fiore e fiore senza nessuna orma, in un luogo strano dove i folli accarezzano le pietre, tra eventi passati per trovare disperatamente un volto umano e sorridere ancora. Fra i suoi versi emaciati sgorga il desiderio mai pago di vita, una vita selvaggia che incalza dal profondo in un abisso lavato dal sole. E’ una pietra bianca, in contatto profondo con il cielo, fra rovi di dolore. Sotto il sasso c’è il sangue, un insetto, senza speranza, senza dolore, ma il suo canto si dileguerà per ultimo. È il canto puro della ginestra sulle falde del Vesuvio. Il divino distacco si erge dal suo cuore, dove ruotano pianeti e infiniti mondi. Il piccolo cuore dell’essere umano esposto al dolore, dove ancora qualcosa perde il sangue.
Ha una dimensione umana forte, vive per la poesia e in essa trova respiro. Porta nelle scuole il Salmo di Paul Celan, lo fa recitare ad alta voce come inno alla vita nelle giovani anime. Porta Il Notturno di Alcmane, con la sua aura di mistero, dove “fogliano e serpono” gli esseri viventi, dormono tutti, anche gli uccelli dalle grandi ali. Fiorire dal nulla nel villaggio nichilista che ci dilania giorno dopo giorno. Siamo rosa del nulla, consapevoli che non siamo nessuno, ma con l'anima chiara nel cielo, per respirare il deserto. Il nostro sangue, la corona rossa trafitta di cielo ha un senso, una vita. Con gli occhi rivolti al cielo e il canto al di sopra della spina, del dolore. Il dolore è unico, attraversandolo impariamo a respirare come soli lavati nell'oceano mare profondo. La poesia sale dall’abisso e si fa ringraziamento, si fa vita.
Filomena Ciavarella