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Economia

Dal Salento a Foggia, ecco Pierpaolo Limone. Il candidato Rettore che vuole una università "moderna e coraggiosa"

Sono tre in tutto i candidati al dopo Ricci. Le elezioni si terranno il 2 luglio. Limone, salentino, è il più giovane in corsa. Le ragioni della sua candidatura in questa intervista

Archiviate le elezioni amministrative, il capoluogo dauno si appresta a vivere un’altra competizione elettorale. Forse più di nicchia, accademica, rivolta ad un corpo elettorale più ristretto e circoscritto, ma comunque importante per la città e il suo contesto. Parliamo dell’Università di Foggia. Il mandato Ricci volge a chiusura, il 2 luglio prossimo ci saranno le elezioni per il nuovo rettore e ai nastri di partenza si presentano in tre: il professor Lorenzo Lo Muzio, direttore del dipartimento di Medicina Clinica e Sperimentale (qui le ragioni della sua candidatura), il prof. Pierpaolo Limone, direttore del Dipartimento di Studi Umanistici, e il prof. Agostino Sevi, direttore dei Dipartimento di Scienze Agrarie.

Nato a Lecce, a Foggia da 15 anni, precisamente dal 2005, 44 anni, Pierpaolo Limone potrebbe essere il più giovane rettore della storia dell’Università, se non altro di Foggia. “Modernità , sfida digitale e coraggio del futuro” le parole chiave del suo programma, che ci illustra quando lo contattiamo.

Perché candidarsi?

E’ un momento difficile per le Università del Sud, colpite dalla sistematica riduzione dei finanziamenti e dal depotenziamento del turn over. Credo che un piccola Università come quella di Foggia abbia  bisogno di una forte accelerazione. E’ una questione di postura nel contesto generale: possiamo scegliere di essere solo reattivi rispetto alle norme inique oppure cambiare postura ed essere sfidanti. Rispetto al Governo nazionale, rispetto alla Regione. Dobbiamo hackerare il sistema.

Cosa significa?

Nulla di illegale, per carità. E’ una formula che utilizzo per rendere bene l’idea di ciò che dovremmo fare: dato un determinato contesto, ingegnarci per trovare nuovi spazi e nuove risorse, piuttosto che subire passivamente.

Sino ad oggi come si è agito?

Questa è una università giovane. Ha solo 20 anni. In questo tempo lo sforzo compiuto è stato quello di costruire una realtà universitaria. Oggi siamo nelle condizioni di fare un salto in avanti. Partendo da una situazione di conti in ordine, di qualità della spesa e di organico consistente, possiamo diventare più…più sfidanti.

Si spieghi meglio.

Le do qualche dato. Negli ultimi 15 anni abbiamo avuto una  forte compressione della spesa pubblica nei confronti delle Università più piccole, perdendo un quinto dei finanziamenti, un quinto dei professori, con conseguente riduzione del numero degli studenti. Questi dati hanno impattato di meno sull’Università di Foggia, anche perché è più giovane e perché siamo stati bravi ad intercettare sempre nuovi studenti. Pertanto, nonostante la forte crisi economica, abbiamo lentamente aumentato il numero degli immatricolati, oggi siamo ad una quota stabile di 3200 all’anno.

E questo è il dato di contesto, il punto di partenza.

Esatto. Ora è il momento di investire radicalmente in fondi di ricerca, in infrastrutture di ricerca, migliorare la qualità della didattica, creare le condizioni per una didattica anche laboratoriale, potenziare il numero dei docenti e formare il personale amministrativo. Far crescere i servizi agli studenti. Aprirci al territorio. Possiamo accontentarci di un sistema pubblico che rema contro le piccole università? Dobbiamo sfidare i paradossi.

Quali sono?

L’ateneo si finanzia attraverso un fondo ordinario composto da più voci. Una di queste è la tassazione degli iscritti: paradossalmente più è alta, più si ottengono fondi. Altro paradosso è la cosiddetta ‘no tax area’ che prevede l’azzeramento delle tasse per redditi Isee fino a 13mila euro: ebbene, in questi casi l’Università non fa pagare alcuna tassa ricevendo però dallo Stato, a compensazione, meno di quanto perde. La mia domanda, stante questo contesto, è: utilizziamo il vittimismo o piuttosto hackeriamo le regole del gioco? Ovvero utilizziamo le regole per migliorare la nostra situazione?

Come?

Se investiamo di più in ricerca e dottorati, ad esempio, scattano quote premiali. Se differenziamo l’offerta formativa aumentiamo il numero degli studenti. Servono operazioni di qualità. Solo così faremo passi avanti.

Sintetizzando, qual è la sua idea di Università?

Una università moderna, che accetta la sfida del digitale, che offre servizi di qualità agli studenti e che guarda con coraggio al futuro.

A proposito di territorio che ha citato più su, l’Università come contribuisce al suo sviluppo, anche culturale e sociale? A volte si ha la sensazione che sia un luogo a sé stante, che si viva a compartimenti stagni.

Questa è una buona Università in un contesto difficile. Il ruolo sociale che può sviluppare un ateneo è essenziale in un territorio come questo ma ci vogliono generazioni.  Serve un rapporto con le imprese più sistematico, dalla costruzione dei corsi di studi fino ad arrivare alla ricerca e alla cosiddetta ‘terza missione’. Ma occorre tempo, non si fa dall’oggi al domani, va costruita una cultura di reciproca collaborazione nei tempi e nei modi giusti.

La sua candidatura è in ticket col professor Sevi. Chi dei due resterà in corsa?

Le due candidature sono fortemente complementari e restituiscono l’idea di Università a cui ambiamo: lo sguardo giovane, al digitale ed al futuro, proprio del mio profilo, e l’esperienza, la competenza, la conoscenza del territorio proprie del suo. Ritengo che l’intreccio di queste due facce esemplifica il tipo di ateneo che abbiamo in mente, moderno, aperto e plurale. Nei prossimi giorni, all’esito delle consultazioni, capiremo chi dei due andrà avanti in queste staffetta ideale. Prima delle elezioni del 2 luglio.

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