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Giovedì, 18 Aprile 2024
Economia

Crisi del grano, la minaccia di Cia Puglia: “Stop importazioni o sciopero della semina”

Ieri sit-int davanti al Consiglio Regionale che ha discusso il documento dell'organizzazione. Raffaele Carrabba: "Se le quotazioni non salgono, riconoscendo al frumento Made in Italy il giusto valore, sarà sciopero"

Sulla ‘questione grano’ La Cia – Agricoltori lancia l’ultimatum: stop alle importazioni, o sciopero della semina. “Se le quotazioni non tornano a salire, riconoscendo al frumento Made in Italy il giusto valore, faremo lo sciopero della semina – tuona Raffaele Carrabba, presidente regionale Cia Puglia - Chiediamo al Governo lo stop immediato delle importazioni di grano per 15/20 giorni, così da ridare fiato agli agricoltori in crisi”. Adesso non si scherza più.

Intanto, l’Ordine del Giorno proposto da Cia Puglia è stato approvato all’unanimità e posto al primo punto del Consiglio Regionale che si è tenuto ieri mattina, giovedì 28 luglio. Il documento elaborato dall’organizzazione agricola, e discusso dall’Assemblea regionale, propone un progetto strutturale di valorizzazione del frumento italiano di qualità, a tutela soprattutto dei consumatori. “La Cia–Agricoltori Italiani di Puglia, ieri mattina, ha organizzato il sit-in davanti al Consiglio regionale perché convinta più che mai che non servono barricate di trattori, ma proteste contro le barricate di coscienza, e serve che il consumatore conosca il lavoro degli agricoltori pugliesi nella produzione di grano di qualità”.

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Nel documento discusso dalla Giunta e dal Consiglio regionale, la Cia chiede alla Regione di attivarsi con il Governo Nazionale e il Parlamento per verificare la possibilità di sospendere temporaneamente le autorizzazioni alle importazioni, impegnarsi in Europa affinché la Pac oggi in periodo di revisione possa incentivare strumenti come i fondi mutualistici per la stabilizzazione del reddito, velocizzare l’attuazione delle misure annunciate nel piano cerealicolo nazionale e incentivare accordi e contratti di filiera capaci di garantire una più equa ridistribuzione del valore.

Ancora, si chiede di prevedere una campagna di promozione e valorizzazione della pasta italiana nel mondo, perseguire la massima trasparenza delle borse merci con un ruolo maggiore dei rappresentanti degli agricoltori, rendere obbligatoria e non facoltativa la comunicazione delle scorte da parte degli operatori commerciali e industriali, autorizzare eventuali nuovi centri di stoccaggio per l’ammasso delle sole produzioni locali, volte a favore una maggiore aggregazione dell’offerta, e da ultimo di verificare che i centri di stoccaggio autorizzati siano destinati principalmente per le produzioni locali.

“Non possiamo che esprimere soddisfazione – spiega Carrabba – per l’approvazione alla unanimità della nostra proposta di ordine del giorno. Non è più possibile che il frutto del lavoro di un anno venga così svalutato e svenduto”. Nell’ultimo anno nei porti pugliesi sono arrivate oltre 2 milioni di tonnellate di grano estero. I produttori di grano continuano a essere oggetto di un’azione di speculazione che non ha precedenti, con il grano duro pagato 18 euro al quintale, largamente al di sotto dei costi produttivi, e con perdite fino al 50% sulla scorsa campagna di commercializzazione.

Venticinque anni fa – spiega il presidente regionale della Cia Puglia – un quintale di frumento valeva circa 30.000 lire, gli attuali 15 euro, più o meno come le quotazioni di oggi. La cosa più assurda è che se il prezzo del grano è rimasto invariato nel corso di un quarto di secolo, il costo del gasolio, dei fertilizzanti, dei mezzi tecnici, invece, è aumentato in maniera esponenziale, mettendo le aziende agricole in ginocchio. L’agricoltore – spiega ancora Carrabba -, rispetto a 25 anni fa, riesce appena a pareggiare i costi di produzione, senza tenere conto di imposte, ammortamento dei mezzi ed altri costi”.

Tutto ciò determina che oggi 100 chili di frumento valgono quanto 5 chili di pane: un “gap” intollerabile e contro la logica delle cose che non può nemmeno lasciare indifferenti i consumatori, di fronte a una tale distorsione dei mercati. Il rischio concreto è che in queste condizioni gli agricoltori pugliesi non seminino nella campagna 2016/2017. Senza un’inversione di marcia sui prezzi pagati agli agricoltori e senza un freno immediato alle importazioni “spregiudicate” dall’estero (+10% solo nei primi 4 mesi del 2016), il rischio che si corre è quello di una progressiva marginalizzazione della produzione di grano in un Paese che, paradossalmente, esporta il 50% della pasta che produce.

Oggi il raccolto di 6 ettari seminati a grano basta appena per pagare i contributi di una famiglia media agricola. Le aziende sono oggetto di una speculazione senza precedenti, con sistema industriale e commerciale che impongono ai produttori condizioni inaccettabili. Ma se gli agricoltori ci perdono, a guadagnarci da questa situazione sono solo le grandi multinazionali che importano grano dall’estero per produrre all’insegna di un’italianità che non è reale, senza preoccuparsi di cosa conterrà la farina e di cosa mangeranno le famiglie.

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