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'Io apro' sbarca anche a Foggia, Luigi pronto alla disobbedienza gentile dei ristoratori: "Basta, ci stiamo indebitando"

Il titolare del bar The Clant Cafè aderisce alla mobilitazione nazionale indetta a partire dal 15 gennaio. "Ormai non c'è neanche più la voglia di aprire la serranda con un'attività così grande"

"Più scuro della mezzanotte non può essere". Luigi Piserchia non ha paura di rilanciare anche sui social le ragioni della mobilitazione nazionale che rimbalza con l'hashtag #Ioapro1501 e di contribuire al tam tam della rete per la disobbedienza gentile. Senza ristori adeguati, guerra sia. È pronto anche a prendersi una multa. Peraltro, gli organizzatori garantiscono supporto legale in caso di sanzioni.

"Non voglio sfidare il governo, ma solo far valere i nostri diritti di ristoratori ormai stanchi di doverci ancora indebitare per poi vedere altre attività strapiene e contagi che non calano in alcun modo. Vogliamo delle risposte. Non lo facciamo per contravvenire alla legge, ma per dimostrare che siamo stufi di essere presi in giro".

Il suo è un bar alla moda della città, The Clant Cafè a Foggia, che incontra soprattutto i gusti dei più giovani. È un locale di 350 metri quadri, più 150 all'esterno, e supera i dieci dipendenti, tanto per rendere l'idea dell'impresa che ormai non vale più la spesa. Con questi ritmi non conviene. "Ho subito un calo dell'80% - spiega il titolare Luigi Piserchia - Lavoravamo soprattutto dopo le 18, con la cosiddetta movida, facevamo prodotti particolari che piacevano ai ragazzi, le colazioni standard erano un di più, ma io di certo non posso mantenere un fitto di 2500 euro, una corrente di 3000mila euro e tutti quei dipendenti con un incasso più che dimezzato, con il 60-70% di perdite. Non ci sono più parole, ormai non c'è più neanche la voglia di andare avanti, la voglia di aprire la serranda, soprattutto per chi gestisce un'attività così grande, perché finché avessi un baretto mi metterei io a lavorarci per far uscire la giornata, ma gestire quelle somme lì è diverso".

Adesso ha solo 3 o 4 dipendenti. "Per il momento alcuni sono in cassa integrazione, purtroppo, e altri invece sono stati licenziati perché hanno trovato di meglio e non potevano certo aspettare me che riapro. Quindi, quando riaprirò, dovrò riformare il 60% dello staff, che è un altro grande danno che ho subito". L'entità dei ristori è il vero tasto dolente. "Non si può ristorare il mese di dicembre, in cui di norma si registra un incasso tre volte superiore, prendendo in considerazione quello di aprile. Anche la Regione Puglia ci aveva garantito un ristoro in tempi brevissimi per le perdite subite nel periodo dall’8 al 14 dicembre in cui da zona gialla siamo passati ad arancione per volere di Emiliano, ma dopo un mese non si sa ancora nulla".

E così ha scelto di aderire alla rivolta di commercianti e ristoratori che venerdì riapriranno, in barba al Dpcm, rispettando però le norme anti-Covid e il coprifuoco. Si unisce ai colleghi che sceglieranno di protestare seguendo il Dpcm autonomo, che in questo caso sta per Decalogo pratico commercianti motivati. Beninteso, non appartiene alla frangia dei no vax o dei negazionisti, e nemmeno agli estremisti, motivo per cui condivide i contenuti del documento consegnato ieri in prefettura da una delegazione di ristoratori foggiani che però si è dissociata da qualunque forma di disobbedienza civile. "Io sono il primo a credere nel virus e nella sua aggressività, ma con le giuste accortezze si può ripartire. Se non vogliono farci ripartire ci aiutassero ad tirare avanti". 

A Natale, sulla soglia del suo bar chiuso, ha osservato intorno a lui le scene delle attività regolarmente aperte e affollate. È quello che più di ogni altra cosa lo ha infastidito e indispettito. "Non posso andare in un centro commerciale dove c'è un assembramento quando poi non posso mettere 40-50 persone sedute in un bar di 350 metri quadri. Mi sembra un accanimento verso la nostra categoria".

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