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Economia

Link Foggia, Barile: “Università rischia di chiudere battenti nel giro di qualche anno”

Il 28 novembre mobilitazione delle università pugliesi e sospensione delle attività didattiche contro le scelte del ministro Carrozza

Studenti, dottorandi, personale docente e non degli atenei della Puglia hanno sottoscritto un appello pubblico delle Università pugliesi per lanciare una mobilitazione dell'intera comunità accademica in occasione della riunione convocata il 28 novembre a Napoli dal ministro Carrozza alla presenza di tutti i Rettori degli atenei del Sud Italia.

Regina Barile, referente Link Foggia: "Decine di atenei del nostro paese, in particolare quello di Foggia rischiano di chiudere i battenti nel giro di qualche anno. Come noto, il nostro ateneo è stato classificato all'ultimo posto nella tabella contenuta nel Decreto Ministeriale Punti Organico 2013 e per questo nei prossimi anni potrà assumere un numero particolarmente ristretto di docenti a fronte dei fisiologici pensionamenti. Questo provvedimento rischia di far definitivamente sparire l'Università nella nostra città e di sicuro porterà ad un aumento della contribuzione studentesca in un territorio già particolarmente toccato dalla crisi economica ed occupazionale".

La mobilitazione delle Università pugliesi punta a sospendere le attività didattiche per tutta la giornata del 28 novembre a Foggia, Bari e Lecce e nelle sedi distaccate di Taranto e Brindisi, mediante una presa di posizione netta nei confronti delle scelte dell'attuale ministra Carrozza, creando momenti di partecipazione e discussione sul futuro dell'Università nel Mezzogiorno.

Regina Barile conclude: "LINK Foggia ha da sempre denunciato il reale pericolo di scomparsa dell'Unifg, per questo già da questa settimana ci mobiliteremo coinvolgendo tutte le studentesse e gli studenti della nostra università verso la data di protesta del 28 di novembre".

Ecco l’appello sottoscritto dalle organizzazioni studentesche.

L'Università e la Ricerca sono ormai state condotte nel nostro paese, da scelte degli ultimi Governi, dalla volontà delle collegate maggioranze parlamentari, ad uno stadio terminale, private da anni di risorse utili per il loro funzionamento minimo, costrette e condizionate ancor di più negli ultimi mesi da vincoli sempre più assurdi e nocivi, dimenticate e relegate a rifiuti della società ed infine etichettate quali contenitori di ruberie e sprechi.

Restare impassibili vuol dire rendersi complici della distruzione del mondo dei saperi in particolare nella nostra Regione. Per questo è necessario reagire in maniera celere, ma non scomposta, denunciando l'obiettivo dell’indebolimento del diritto allo studio universitario per tutti i ceti sociali, della chiusura di molti atenei e della creazione di università di serie A e università di serie B, senza però incappare nello storico ed imperdonabile errore proprio del mondo accademico italiano: nascondere i propri mali e le proprie responsabilità.

Dalla 133/08 al DM Punti Organico: l'ipertrofia normativa svela un unico filo conduttore

Chi ha condotto una raffinata e prolungata crociata contro l'Università italiana ha più volte assunto le sembianze di un Giano Bifronte che da una parte, con lo strumento normativo, ne aggravava i suoi mali, e dall'altra, tramite media e testate giornalistiche, ne rilevava gli storici problemi.

L’Università pubblica è stata bersagliata da un fuoco incrociato che, con astuzia e lungimiranza, ha giocato sugli atavici e mai risolti problemi di cui è caratterizzata, fino a far passare nell'opinione pubblica un concetto molto chiaro: la presenza o meno di un Ateneo non è un elemento di grande rilevanza per la vita economica e sociale di un territorio e della sua popolazione.

L'operazione condotta ha sottolineato per anni le odiose clientele e l'immortale familismo che da anni imperversa negli atenei trasformatisi in carrozzoni capaci solo di sprecare danaro pubblico e mai del tutto integrati nei contesti cittadini e metropolitani.

Questo progetto non aveva, però, il mero obiettivo di gettare discredito sull'istituzione universitaria italiana, quanto quello di mutarla radicalmente dalle sue fondamenta, lasciando totalmente inalterati, ed anzi ampliandoli a dismisura, quei poteri forti baronali co-responsabili del declino fino ad ora descritto.

La questione va inquadrata con un approccio unicamente politico ed affonda le sue radici ad alcuni anni fa: i problemi delle università si sono aggravati in coincidenza del più grande taglio lineare mai effettuato alla voce formazione universitaria italiano mediante le Leggi 133/08 e 1/09.

La sottrazione di 1,5 miliardi di euro dal F.F.O. (24,8 mln e - 4,1 mln per l'Uniba e Poliba, - 6,0 mln per l'Unifg e - 8,3 mln per l'Unisalento) e l'inizio della tragica stagione del blocco del Turn Over non rappresentavano semplicemente la volontà del Governo di allora di reperire economie per il superamento della prima fase di crisi, ma un nuovo corso politico-legislativo che avrebbe trovato il suo coronamento con l'approvazione della peggiore Riforma dell'Università mai varata: la L. 240/10, c.d. "Riforma Gelmini", che ha definitivamente cristallizzato il potere baronale, snaturata la natura democratica degli organi di governo di Ateneo, minata l’autonomia costituzionale, indebolito ulteriormente il tavolo delle relazioni sindacali e cancellato il carattere pubblico degli atenei,

In questi anni, però, il chiaro intento politico presente sullo sfondo delle disposizioni normative poc'anzi descritte non è passato inosservato: migliaia di studenti, dottorandi, precari, ricercatori e docenti, con l’appoggio del sindacato, hanno dapprima costruito l'"Onda" ed in seguito del Movimento studentesco del 2010 con cui, già allora, si svelava il pericolo della distruzione del sistema universitario nazionale e della chiusura di tanti atenei del Sud Italia, anche nella nostra regione.

L'ennesima Questione Meridionale

Tra gli atenei che stanno subendo maggiormente l’offensiva vi sono quelli del Sud d'Italia: da anni le nostre università sono penalizzate con criteri premiali di ricezione del F.F.O. (di recente inaspriti dal c.d. "Decreto del Fare" convertito con la L. 98/13), dalla stringente burocratizzazione dei corsi di laurea determinata dal c.d. "Decreto A.V.A." (DM 30 agosto 2013 n. 47), dalle sforbiciate al sistema Diritto allo Studio (15.002 studenti idonei, +11,36% rispetto al 2012/13, di cui solo il 65% riceverà la borsa) ed infine dall'impossibilità di reclutare nuovi docenti a causa delle disposizioni contenute nel recente "Decreto Ministeriale sui Punti Organico 2013" (DM 9 agosto 2013 n. 713).

Cosa significherà per un territorio depresso come a Capitanata la chiusura dell'Università? Quali effetti avrebbe sulla popolazione giovanile la chiusura del Polo Jonico? Quanto grande sarebbe l'arretramento culturale che subirebbe la città di Bari a causa del consistente ridimensionamento del Politecnico e dell'Università? Il Salento vivrebbe ancora una fase espansiva?

Le risposte a questi interrogativi si fanno sempre più evidenti: i territori di Foggia e Taranto giungerebbero rapidamente al tracollo, determinando una fuga di massa delle decine di migliaia di giovani; Bari e Lecce compirebbero un passo indietro di circa un secolo perdendo quella caratura di città universitarie caratterizzate da una forte attrattività extra-regionale ed internazionale.

Sullo sfondo di questo terremoto sociale, si scorgono tante storie drammatiche: quella di migliaia di studenti che avevano convintamente scelto di restare nella propria terra costretti all'emigrazione forzata verso gli atenei del centro e del nord del paese.

Al pari degli studenti, anche migliaia di lavoratori inseriti nel sistema universitario pugliese o coinvolti nell’indotto subiranno un contraccolpo enorme: precari del variegato mondo universitario, esercenti legati al campo della ristorazione, gestori di luoghi di cultura e ludici e sportivi sono solo alcuni tra i soggetti che sarebbero travolti.

Di là da qualsiasi scopo campanilistico, non può non considerarsi la prospettiva appena descritta come l'ennesimo ed inaccettabile furto ad un Sud Italia.

Una modesta proposta per il rilancio dell'Università pubblica

La scomparsa di uno o più atenei configurerebbe un’insopportabile sconfitta per l'intero territorio regionale; tale prospettiva va impedita con ogni mezzo e la responsabilità pende su ognuno di noi: studenti, precari, docenti di ogni fascia, personale tecnico amministrativo.

Non possiamo attendere, come sovente accaduto con risultati del tutto insignificanti, che qualcun altro giochi questa partita al posto nostro, magari nelle stesse aule parlamentari in cui in questi anni si è consumato il martirio sopra descritto.

E' necessario prendere la parola e, con le proprie specificità, rivendicare:

l'introduzione nella c.d. "Legge di Stabilità" di una clausola di salvaguardia all'interno del DM Punti Organico 2013 che miri a calmierare le enormi sperequazioni esistenti tra gli atenei italiani;

l’aumento del Fondo di Finanziamento Ordinario e del Fondo Ordinario per gli Enti di Ricerca che consenta un vero rilancio di didattica e ricerca ed un pesante incremento del Fondo Integrativo statale per il Diritto allo Studio;

all'avvio di un percorso partecipato coinvolgente l'intera comunità accademica nazionale, che conduca alla stesura di una grande e complessiva Riforma dell'Università italiana in grado di restituirle il carattere della democrazia e della pubblicità.

Per tutti questi motivi ci rivolgiamo direttamente e convintamente ai quattro Rettori delle Università statali presenti nel territorio della Puglia

Prof. Antonio Felice Uricchio, Rettore dell'Università degli Studi di Bari;

Prof. Vincenzo Zara, Rettore dell'Università del Salento;

Prof. Maurizio Ricci, Rettore dell'Università degli Studi di Foggia;

Prof. Eugenio Di Sciascio,  Rettore del Politecnico di Bari;

affinché assumano un gesto forte e quanto mai necessario per tutte e tutti noi: la sospensione delle attività didattica per l'intera giornata del 28 novembre in occasione della riunione dei Rettori delle università meridionali con la Ministra Maria Chiara Carrozza.

Le modifiche legislative proposte in sede di conversione del "Decreto Istruzione" non sono state tenute in considerazione per questo il piano della proposta non può più non incrociare quello della protesta che simbolicamente interrompa le lezioni per un giorno consentendo a docenti e studenti di tutte le sedi anche decentrate, dei quattro atenei l'organizzazione e lo svolgimento momenti istituzionali (ma reali) di discussione e confronto che ragionino delle prospettive di sopravvivenza e degli strumenti per salvare i Saperi e la Conoscenza nelle nostre città, nel Meridione d'Italia e nell'intero Paese.

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