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Giovedì, 25 Aprile 2024
Economia

Ecco come si forma un debito milionario, rispunta il caso di un esproprio del 1980: "Adesso paghi l'avvocatura"

Un esproprio da poche centinaia di migliaia di lire vale oggi due milioni di euro. "Opposizione blanda del Comune in giudizio" e "assolutamente generica" si legge nelle sentenze. Caos in consiglio

“Quei debiti non li vuole approvare nessuno; difficilmente il consiglio si farà”. Nei corridoi del Comune di Foggia c’è un clima ostile rispetto alla lunga sfilza di accapi rinviati lunedì scorso e che, pare, si voglia portare nuovamente in aula martedì 17 luglio, in seconda convocazione. Ma, se si staccano elementi da sempre organici alla maggioranza nel voto, difficilmente i numeri ci saranno. In particolare c’è una transazione conciliativa di un giudizio pendente dinanzi alla Suprema Corte di Cassazione e alla Corte d’Appello di Bari, la n.189 del 25 settembre 2017, definita un “obbrobrio amministrativo” e che è paradigmatica di quanto accade in Corso Garibaldi e di come, probabilmente, si sia giunti al predissesto.

La delibera vale, da sola, 1milione 200mila euro. Che cos’è? E’ la conclusione di un procedimento, finito a carte bollate, iniziato nel lontano 1980 a seguito dell’esproprio da parte del Comune di Foggia di 8500 metri quadrati di terreno privato per destinarli ad un programma straordinario di edificazione. Siamo in via Fratelli Biondi. Oggi lì sorgono case popolari. 1,2 milioni di euro per 8500 metri quadri, roba che neanche nelle grandi capitali europee. Ma tant’è.

Sono la conclusione, dicevamo, di trent’anni di “lotta giudiziaria” con proprietari e successivi eredi, iniziati, a quanto si apprende, per responsabilità del Comune (che non perfezionò mai l’esproprio dando titolo ai Varlaro Sinisi, famiglia proprietaria, ad adire le vie legali), e terminato (?) con una somma monstre sempre per, stando a quanto emerge dagli atti, responsabilità del Comune. Dove per Comune nel caso di specie si intende la tecnostruttura. O meglio, l’avvocatura. Laddove, nelle sentenze, si legge “il Comune di Foggia si è costituito e ha resistito in modo assolutamente generico”, “blanda contestazione” in sede giudiziaria, o addirittura “l’ente non ha neppure ha preso parte alle operazioni peritali”. Questo emerge dalle sentenze.

Ed è così che gli iniziali 54milioni di lire (stima contro cui i proprietari adirono non ritenendola congrua), tra “difese blande”, “mancate partecipazioni in sede peritale”, “resistenze generiche”, interessi, more e spese legali”, lievitano oggi a 2 milioni di euro, quattro miliardi in vecchie lire. Probabilmente, l’aver annusato una ulteriore soccombenza, ha portato l’ente ad optare per la conciliazione. Che il consiglio comunale deve riconoscere.

“Eppure l’avvocato del Comune, Domenico Dragonetti, era affiancato da un fior fiore di legale come Gianni Cerisano, codifensore dell’ente: che cosa hanno fatto?” sbotta il consigliere Bruno Longo, per il quale “non esiste che noi approviamo: qua ci errori su errori che deve pagare la tecnostruttura. Cosa hanno fatto gli avvocati?”. Longo porterà al sindaco la proposta maturata in seno alla commissione: scindere il risarcimento del danno da interessi e more maturati per “responsabilità altrui”. Che, occhio e croce, ammonterebbero ad 800mila euro. “Non c’è un atto che porta la responsabilità della politica e siccome la Corte dei Conti ci chiede di accertare anche le responsabilità dei debiti fuori bilancio, noi da oggi vogliamo scindere” tuona, elencando “una serie di debiti fuori bilancio dove ravvisiamo un libero arbitrio da parte del dirigente nel fare opposizione ai decreti ingiuntivi, non esiste un criterio , vogliamo stabilire un principio, vogliamo sapere come e quando si fa opposizione e come la si fa! Chiarezza non c’è mai stata”.

Tutta la manovra del predissesto si basa sui debiti fuori bilancio. La Corte dei Conti ha detto che il grado di soccombenza del Comune di Foggia nei giudizi  è quasi al 90%. “Anche la commissione consiliare paritetica su debiti fuori bilancio la sciogliemmo perché gli uffici non ci davano le carte. Ora basta” affonda il consigliere, che ribadisce la sua proposta, sulla quale stanno convergendo altri esponenti della maggioranza: “La tecnostruttura, l’avvocatura paghino i loro errori. Noi non approviamo”. Insomma, non ci stanno a vedersi il dito puntato contro: la politica non è quel mostro da mettere costantemente sul banco degli imputati; è la dirigenza che va portata allo scoperto, che deve metterci la faccia, il senso del ragionamento fatto questa mattina dai consiglieri.

Un nuovo corso? Forse. Di certo la faccenda è paradigmatica. E a pagare quel predissesto è l’intera città.

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