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Allevatori pugliesi in ginocchio, mais alle stelle e spedizioni bloccate per la guerra: a rischio 400mila capi di bestiame

L'aumento di mais e soia sta mettendo in ginocchio gli allevatori pugliesi che devono affrontare aumenti vertiginosi dei costi per l'alimentazione del bestiame (+40%)

Una nave carica di mais è in rada nel porto di Bari. Si tratta di una imbarcazione "scampata alla guerra e al blocco degli scali sul mar Nero perché già in navigazione allo scoppio del conflitto", spiega Coldiretti Puglia che segnala il calo per la prima volta dall'inizio della guerra del prezzo di mais (-2%) e soia (-0,2%) destinate all'alimentazione animale. "Siamo di fronte a una nuova fase della crisi, dopo l'impennata dei prezzi arriva il rischio concreto di non riuscire a garantire l'alimentazione del bestiame, quando sono da salvare in Puglia 185mila bovini, 197mila ovini e bufalini e 24 mila suini" dichiara Savino Muraglia, presidente di Coldiretti Puglia.

Con la decisione dell'Ungheria di ostacolare le esportazioni nazionali di cereali, soia e girasole, in Italia è a rischio un allevamento su quattro che dipende per l'alimentazione degli animali dal mais importato da Ungheria e Ucraina che hanno di fatto bloccato le spedizioni e rappresentano i primi due fornitori dell'Italia del prezioso e indispensabile cereale per gli allevamenti, fa sapere l'associazione evidenziando che "dall'Ungheria sono arrivati in Italia ben 1,6 miliardi di chili di mais nel 2021 mentre altri 0,65 miliardi di chili dall'Ucraina per un totale di 2,25 miliardi di chili che rappresentano circa la metà delle importazioni totali dell'Italia che dipende dall'estero per oltre il 50% del proprio fabbisogno".

L'aumento di mais e soia sta mettendo in ginocchio gli allevatori pugliesi che devono affrontare aumenti vertiginosi dei costi per l'alimentazione del bestiame (+40%) e dell'energia (+70%) a fronte di compensi fermi su valori insostenibili.

Il costo medio di produzione del latte, fra energia e spese fisse - sottolinea Coldiretti - ha raggiunto i 46 centesimi al litro secondo l'ultima indagine Ismea, un costo molto superiore rispetto al prezzo riconosciuto a una larga fascia di allevatori. All'aumento dei costi di produzione non corrisponde la giusta remunerazione del latte alla stalla, quando per poter pagare un caffè al bar gli allevatori pugliesi devono mungere tre litri di latte pagati solo qualche decina di centesimi alla stalla, ben al di sotto dei costi di produzione in forte aumento per i rincari di mangimi ed energia, scattati già prima della guerra in Ucraina. Per l'associazione serve "investire per aumentare produzione e sostenere la ricerca pubblica con l'innovazione tecnologica".

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