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Cronaca San Severo

I radicali visitano il carcere di San Severo: "Qui zero educatori, dov'è funzione riabilitativa della pena?"

Il report dopo la visita di Maria Rosaria lo Muzio e Matteo Orsino, militanti del Partito Radicale Nonviolento all'interno dell'istituto penitenziario sanseverese

La vita oltre le sbarre. Quelle del carcere di San Severo, visitato e raccontato nella quotidianità da Maria Rosaria lo Muzio e Matteo Orsino, militanti del Partito Radicale Nonviolento.

Attraversando le celle e i corridoi dell’istituto penitenziario sanseverese, lo Muzio e Orsino hanno incontrato sguardi e facce, raccolto frammenti di vita, evidenziato punti di forza e criticità raccolti in un breve report. “Il carcere di San Severo è vecchio e piccolo, tre sezioni su tre livelli a ballatoio, proprio come nelle strutture dei film d’antan, ma tenuto in ordine e pulito. Ci spiegano che i lavori di manutenzione vengono fatti dagli stessi detenuti, le docce, tutte esterne alle celle, sono pulitissime, mi invitano ad entrare, mi accorgo che provo disagio perché non voglio sporcare il pavimento lucido. Non mi era mai successo in un carcere”, si legge nel report.

“Un gruppo di detenuti è riunito in una saletta per la socializzazione, significa in pratica che stanno fuori dalle celle e giocano a carte o a biliardino. Gli spazi sono molto limitati, oltre le celle c’è davvero poco, un passeggio/campetto e le aule della scuola. Nient’altro. Ci raccontano che d’estate escono per pulire una spiaggia vicina, ma occasioni di lavoro all’esterno non ce ne sono. Un detenuto mi dice: “Dottoressa, ma se qui il lavoro non c’è neanche per quelli che stanno fuori, figuriamoci per noi…”. C’è un uomo di 77 anni in cella, più volte evaso dai domiciliari; lo hanno messo  con un compagno di sventura molto più giovane, che in qualche modo cerca di occuparsene”.

C’è un Commissario nel carcere di San Severo (struttura che da settembre, causa pensionamento del direttore, ha una direttrice in missione per soli 2 giorni la settimana) che i detenuti li conosce uno ad uno, alcuni da molti anni; racconta di decenni di lavoro e di un cambiamento avvenuto nel tempo nel modo di intendere la detenzione, i rapporti con i detenuti e con i loro familiari. “Un uomo sta lavando il pavimento della sua cella, il Commissario lo chiama per nome e ci spiega che lui è un senza fissa dimora e ogni volta che esce fa sempre qualcosa per ricacciarsi nei guai, lui ascolta e poi dice: “Qui ho un letto, il mangiare…”, ed ecco che l’abisso immane del fallimento della democrazia reale si apre davanti ai nostri occhi: un cittadino che sceglie il carcere perché è meglio della sua vita fuori. Il Commissario dice: “Il carcere è diventato il posto dove mettere quelli che la società non vuol vedere…”.

“E ne incontriamo subito un altro, un ragazzone grande e grosso, che si aggira libero, facendo ordine, ha chiaramente dei problemi, forse anche un ritardo mentale, lo tengono occupato perché così pare stia più tranquillo. Non ci vuole una laurea per capire che una persona così non è del carcere che ha bisogno, ma intanto sta lì, affidato alle cure empiriche di chi è pagato per fare un altro mestiere. Poi ci sono le celle degli stranieri, divisi per provenienza, pare vogliano loro così, alcuni detenuti italiani ci fanno anche una lezione sulle differenze tra delinquenza italiana e straniera, e su quanto ovviamente quella straniera sia peggiore e si macchi di colpe molto più gravi. Anche tra i detenuti albergano quegli stessi pregiudizi razzisti con i quali facciamo i conti ogni giorno nel mondo dei liberi”.

Il tour prosegue nella cucina, dove sta uscendo il cosiddetto ‘carrello’: “E’ un contenitore con brodo e lenticchie, delle fette di formaggio e carote crude. Questo il desco. Ci dicono che il pane e la frutta li danno la mattina. Mi paiono strane le carote crude e chiedo. Si rendono conto che nel menù è scritto carote lesse. Crude o lesse era davvero un misero pasto, che in tanti prendono, non avendo soldi per comprare allo spaccio e non avendo l’assistenza di alcun familiare, abbandonati a loro stessi,nelle mani solo dello Stato, come si evince dagli stessi dati forniti dalla Direzione carceraria sul numero dei detenuti che effettua regolari colloqui con i familiari. Perché anche nelle carceri ci sono le stesse differenze sociali che ci sono fuori, detenuti ricchi e assistiti dalle loro famiglie che possono acquistare ciò che vogliono e detenuti nullatenenti che arrivano senza null’altro che gli abiti con cui sono stati arrestati e con quelli rimangono”.

“Ma guardiamo i numeri del carcere di San Severo, quelli che non mentono e meglio di qualsiasi altra analisi fotografano la realtà dei fatti. Cominciamo con uno 0 che è il numero di educatori presenti nel carcere: non ci sono educatori, neanche uno, per 98 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare di 65 posti, di cui 61 definitivi, 20 stranieri, 26 tossicodipendenti, 28 affetti da epatite C e 4 casi psichiatrici. Una volta alla settimana un educatore arriva dal carcere di Trani, svolge le attività necessarie a “far camminare le carte” delle osservazioni e poco altro. La famosa funzione riabilitativa della pena, sancita dalla Carta costituzionale a chi è demandata? Al caso, alla buona volontà di qualche volontario, all’esperienza e al buon senso di questo commissario e dei suoi ispettori?”

Continuano ancora lo Muzio e Orsino: “E che ci fanno 4 casi psichiatrici certificati in un carcere? Da quando il trattamento delle patologie psichiatriche è demandato agli Istituti di reclusione? Cosa ci siamo persi tra sacrosanta chiusura degli OPG e apertura delle REMS? L’ultima visita effettuata dalla Asl per verificare la sicurezza e salubrità dei luoghi risale al settembre 2016, quella del Magistrato di sorveglianza non è dato saperlo. Un altro istituto dove lo Stato si limita alla funzione afflittiva della pena, alla privazione della libertà, dove la stessa polizia penitenziaria è abbandonata a sé stessa e al proprio buon senso".

"Il Comandante ripete come un mantra che nel carcere va tutto bene, i detenuti sono tranquilli, non ci sono stati suicidi o tentativi di suicidi, ci mostra con orgoglio la cappella rifatta a spese della comunità penitenziaria, ci parla di un cappellano molto presente e di una garante dei detenuti comunale molto attenta, non abbiamo alcun motivo per non credere alle sue parole, ma la questione di fondo è un’altra. Le carceri italiane sono di nuovo in una fase che tende al sovraffollamento, lo dicono i numeri del Ministero, i detenuti continuano a restare in carcere, nella stragrande percentuale, fino all’ultimo giorno, le misure alternative al carcere vengono comminate raramente e certamente non in tutti i casi in cui sarebbe possibile, perché - per fare il Magistrato di sorveglianza ci vuole una particolare propensione e sensibilità e se hai fatto prima il PM resti un PM – e questo non l’ho detto io”.

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