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Mercoledì, 29 Novembre 2023
Cronaca Cerignola

Maria, testimone di giustizia sola contro la mafia e abbandonata dallo Stato

La vicenda della testimone di giustizia che 'incastrò' la mafia di Cerignola, portando all'operazione 'Cartagine', finisce in commissione antimafia. A perorare la sua causa, lo scrittore Francesco Minervini: "Le venga riconosciuto lo status di vittima innocente di mafia in vita"

“Maria non può essere dimenticata. La sua storia e il suo grande gesto meritano un finale diverso: oggi ha 56 anni, è viva e possiamo ancora aiutarla”. Maria (nome di fantasia) è la donna che, circa 30 anni fa, ‘incastrò’ la mafia di Cerignola, sgominata con l’operazione ‘Cartagine’; tra le decine di arrestati, anche il suo compagno, considerato uno dei più spietati killer della criminalità ofantina.

A perorare la sua causa, dinanzi alla commissione di studio e inchiesta sul fenomeno della criminalità organizzata in Puglia, è Francesco Minervini (nella foto in basso), l’uomo al quale la stessa testimone di giustizia ha voluto affidare la sua storia affinché non scivolasse nell’oblio. Una vicenda difficile e crudele, che Minervini ha ricostruito nel volume ‘Non la picchiare così. Sola contro la mafia’ (edizioni ‘La meridiana’). L’obiettivo dell’audizione, che ha visto l’interessamento della consigliera delegata alle Politiche Culturali, Grazia Di Bari,   è “accendere i riflettori su una pagina di storia difficile da digerire ma che va assolutamente raccontata”, spiega l’autore del libro, da anni impegnato nel raccontare e divulgare le storie di vittime innocenti di mafia.

Francesco Minervini scrittore

La donna, la cui testimonianza fu determinante per l’esito del processo ‘Cartagine’, oggi vive come un ‘fantasma’ e in situazione di grave disagio economico e sociale. Al termine del lungo procedimento penale, infatti, avrebbe sperato in una nuova vita possibile, ma per lei si è consumato un secondo dramma: è stata abbandonata al suo destino e, recentemente, le è stato negato - nonostante le gravi violenze fisiche e psicologiche patite - lo status di ‘vittima innocente di mafia in vita’, che le avrebbe garantito una minima pensione per continuare a vivere dignitosamente.

“Maria è una donna distrutta, che ha tentato due volte il suicidio e che ha perso la fiducia in quei valori che tanto l’avevano sostenuta durante il lungo e difficile processo”, spiega Minervini. “Sono passati quasi 30 anni e molte delle condanne comminate nel ‘93 sono ormai a fine pena, alcuni dei soggetti arrestati sono tornati in libertà e la stanno cercando. Maria non può essere abbandonata al suo destino”, incalza Minervini. Le cronache dell’epoca, infatti, riportano le minacce subìte anche in aula, al termine del processo: “Quando tu ti dimenticherai, io mi ricorderò ancora e ucciderò te e tuo figlio. Ti ammazzo e ti pago (cioè vado in galera)”.

Nel corso degli anni, puntualizza l’autore, la donna ha rinunciato al programma di protezione per un problema burocratico, ha fatto causa allo Stato per danni biologici e ha destinato l’intero indennizzo alla costruzione di un futuro solido e sicuro per il figlio, frutto di violenza e umiliazione, che oggi vive all’estero “ed è una delle eccellenze italiane all’estero”. La sua decisione di riscattare sé stessa e la sua vita, infatti, è scattata proprio quando ha scoperto di essere incinta (una prima gravidanza fu interrotta a seguito delle percosse ricevute dall’ex compagno).

“Di tutte le storie che ho ascoltato, quella di Maria è la più drammatica, una vicenda off-limits per potenza e drammaticità”, ricorda. “Per nove mesi, attraverso lunghe telefonate da numeri riconducibili a schede usa e getta, Maria mi ha restituito un tassello della sua storia affinché potessi ricucirne insieme i pezzi”. I due non si sono mai incontrati; l’unico contatto reale che l’autore ha avuto con questa vicenda è con l’avvocato della donna, con il quale si è confrontato anche in vista dell’audizione in commissione antimafia.  

“Maria aveva bisogno mettere insieme la sua storia. Era schiacciata dal peso del suo passato e dalla condizione del suo presente. Ho ricostruito una vicenda sì letteraria, ma anche profondamente umana ed esistenziale”. La donna è stata una importante testimone di giustizia. Non è una pentita, non è una collaboratrice perché, è stato valutato, non ha mai commesso reati e non è mai stata complice di niente. “Ma ha visto l'impossibile, l'impensabile per una ragazza innamorata. Lo ha memorizzato, compreso e ha deciso di fuggire dopo terribili violenze”, spiega.

“Il suo profilo è stato giudicato ‘pulito e non inquinato da alcuna ombra’. La sua pulizia caratteriale e morale le ha permesso di essere assolutamente affidabile nel processo: giudici e i magistrati hanno trovato nelle sue parole candida conferma a tutti gli elementi che avevano in mano”. Ma come questa donna, giudicata estranea al contesto criminale, si è ritrovata in tale ambiente? E’ sempre questa la prima domanda che viene posta all’autore.

“Lei viene da una storia personale di grande deprivazione culturale. E’ stata vittima di pedofilia e, ancora giovanissima, è stata convinta all’idea di un amore romantico da questo boss mafioso che poi l’ha progressivamente isolata dal mondo. E quando ha cercato di scappare, è stata segregata per mesi (tra le violenze patite c’è anche un lungo sequestro di persona). E’ stato proprio in quei momenti che ha rielaborato la sua situazione, perché la verità non si palesa mai tutta insieme”.

Lei sa che la sua vita è distrutta e nulla potrà restituirle serenità o libertà, ma "chiede che le sia riconosciuto lo status di vittima innocente di mafia viva, riconoscimento che le darebbe accesso a pensione per continuare a vivere dignitosamente. Accanto a questa richiesta, nella sua dolcezza, chiede che sia divulgata la sua storia, che il suo enorme gesto, non venga dimenticato”.

Terminato il libro, i due hanno troncato i rapporti: “Mi sarebbe piaciuto darle la mia amicizia, essendo una persona sola. Ma lei è stata perentoria: ‘Nella mia condizione non posso avere amici, per sicurezza mia e tua’, ha spiegato”. Le notizie quindi gli giungono per il tramite del legale. “Chiedo alla Puglia di farsi carico di questa storia”, conclude Minervini.

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