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Giovedì, 5 Ottobre 2023
Cronaca San Severo

Femminicidio Perillo, difesa punta sul vizio di mente del reo-confesso: il padre di Roberta lascia l'aula

Questa mattina, in Corte d'Assise, a Foggia, è stato ascoltato il consulente tecnico della difesa. Acquisita agli atti la sua relazione, che conclude per la totale incapacità di intendere e di volere dell'imputato

Il presunto vizio di mente di Francesco D’Angelo, imputato nel femminicidio della sanseverese Roberta Perillo, continua ad essere il nodo principale e centrale del processo in corso in Corte d’Assise, a Foggia. L’uomo, reo-confesso, è accusato dell’omicidio volontario aggravato dell’ex fidanzata Roberta Perillo, avvenuto l’11 luglio 2019 nell’abitazione della donna, a San Severo. 

Questa mattina, sul punto, è stato ascoltato il dottor Angelo Righetti, consulente tecnico della difesa. La sua relazione, che conclude per la totale incapacità di intendere e di volere al momento del fatto, è stata acquisita agli atti. Righetti ha risposto, a lungo, alle domande della difesa (avvocato Michele Curtotti), della pm Rosa Pensa e dei legali di parte civile (avvocati Guido e Roberto De Rossi e Consiglia Sponsano).

Per il consulente di parte, quindi, D’Angelo era affetto da un vizio di mente totale: "La storia clinica di questa persona è chiara, lo stato di sofferenza era molto importante”, ha spiegato. La sua posizione è totalmente opposta a quella del consulente dell’accusa, il professore Alessandro Meluzzi (qui la posizione del criminologo), che ai microfoni di FoggiaToday denunciò un "abuso della psichiatria forense rendendo impuniti delitti che non hanno nulla a che vedere con la psichiatria e la psicopatologia".

“Trovo le sue conclusioni legate a temi che non sono quelli del giudizio clinico”, ha motivato sul punto Righetti, che si è posto anche in parziale disaccordo con il giudizio (parziale vizio di mente) stilato del consulente della Procura, prof. Catanesi. Righetti si è soffermato, in particolare, sui cosiddetti “accessi psicotici” patiti dal D'Angelo, mentre pubblico ministero e accusa si sono concentrati sul rapporto professionale stretto con l’imputato, ricostruendo, per tappe, visite ufficiali e non, prima e dopo il femminicidio, stabilendo anche la presenza di eventuale documentazione sanitaria.

Durante la deposizione, le parole del professionista hanno causato intemperanze nei familiari della vittima, presenti in aula come ad ogni udienza: il padre della ragazza, in particolare, ha chiesto di lasciare l’aula ed è stato poi allontanato dal giudice Talani. Il processo, ormai alle battute finali, proseguirà a gennaio, con l’escussione degli ultimi tre testi della difesa. La sentenza potrebbe arrivare entro l’estate prossima.

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