Omicidio Perillo, la difesa invoca il vizio parziale di mente. Le parti civili alla Corte: "La sentenza ha valore sociale"
Questa mattina, in Corte d’Assise a Foggia, presidente Mario Talani, si sono tenute le discussioni degli avvocati Guido De Rossi, patrono di parte civile, e Michele Curtotti, legale dell’imputato. Prossima udienza riservata alle eventuali repliche
Ultime battute del processo a carico di Francesco D’Angelo, accusato dell’omicidio volontario aggravato dell’ex fidanzata Roberta Perillo, avvenuto l’11 luglio 2019, a San Severo. Questa mattina, in Corte d’Assise a Foggia, presidente Mario Talani, si sono tenute le discussioni degli avvocati Guido De Rossi, patrono di parte civile, e Michele Curtotti, legale dell’imputato.
Per oltre due ore, i legali hanno ripercorso le fasi del processo cercando di inquadrare e scandagliare la personalità dell’indagato, leggere i fatti e fissarli alla luce del diritto. Accorata e coinvolgente la discussione del legale di parte civile; volutamente asciutta e rispettosa del dolore altrui quella della difesa. “Non è un processo monofacciale, basato esclusivamente sulla valutazione di intendere e autodeterminarsi dell’imputato”, ha spiegato in apertura l’avvocato De Rossi. “Non si faccia l’errore di trascurare la dinamica dei fatti, la cui analisi attenta è doverosa. Non c’è tragedia più innaturale della perdita di un figlio, per di più in maniera brutale, per mano di un assassino. Vi invito tutti a riflettere su questo, e fatelo anche in Camera di Consiglio”, l'invito alla Corte. “Riconoscere le attenuanti per vizio parziale di mente significa dimenticare l’efferatezza di quel dramma infinito e irrisolvibile: significa umiliare la memoria di Roberta”, spiega. Poi evidenzia “la valenza di natura sociale” di tale sentenza: “Quella piaga putrescente che è la violenza di genere si combatte sì sul piano culturale e sociale, ma anche nelle aule dei tribunali. E la vostra sentenza ha valore e significato dirompente”.
Di diverso taglio e afflato è la discussione dell’avvocato Michele Curtotti. Misura le parole (“Quando si difende l’autore di un omicidio il primo obiettivo deve essere il rispetto assoluto del dolore altrui”, precisa) e si attiene strettamente ai fatti. Parte dall’immediata confessione dell’imputato: “La difesa è qui perché a d’Angelo va data la pena adeguata al fatto compiuto, che è incontestabile nella sua gravità e drammaticità. Una pena che lo stesso imputato vuole e anela affinché possa trovare un po’ di pace”, spiega. Quindi passa in rassegna le 74 pagine della consulenza chiesta dalla pm Rosa Pensa (la richiesta è di 21 anni di reclusione) al professor Roberto Catanesi, che conclude per un parziale vizio di mente dell’imputato, condizione che “non è un beneficio, ma una condanna, un dolore”, aggiunge Curtotti. Sulla dinamica del fatto omicidiario, “non è la condotta di chi ha premeditato. E’ risultato un atto disorganizzato”. E, come ipotizzato nella relazione, compiuta in un momento di “scemate capacità”. Pertanto, la difesa ha concluso chiedendo di “riconoscere la responsabilità per il fatto ascritto, riconoscimento della semi-infermità mentale e comunque delle attenuanti generiche”. La prossima udienza sarà dedicata alle evenutali repliche, poi sarà il momento del verdetto.