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Cronaca

Gli innocenti uccisi dalla mafia che volevano vivere

Libera conta almeno 33 vittime innocenti di mafia della provincia di Foggia: tre per l'incendio doloso di Peschici del 2007, due deceduti in un incidente stradale provocato dai contrabbandieri, 19 morti per caporalato.

Sono trascorsi quattro lunghi anni dal 21 marzo 2018, quando Foggia, davanti a milioni di italiani, liberava il suo orgoglio antimafia urlando contro la “montagna di merda” che soltanto sette mesi prima aveva strappato alla vita due vittime innocenti, i fratelli Luigi e Aurelio Luciani, nell’agguato del 9 agosto 2017 a Mario Luciano Romito, in cui è rimasto ucciso il cognato Matteo De Palma, avvenuto nei pressi della stazione dismessa di San Marco in Lamis.

Canti, bandiere, colori, sorrisi, lacrime e il dolore composto di chi era sopravvissuto al lutto più grande, la perdita di un figlio, un marito, un padre, un amico nella terra di grandi delitti ma altrettanto diffusa omertà. Fu la prima volta della giornata contro le mafie nel capoluogo dauno. In 40mila, secondo fonti della questura, sfilarono sotto una pioggia battente, giunti da ogni parte d’Italia.

Dal palco di piazza Cavour si scandirono lentamente i nomi riportati su un lenzuolo, lungo 972 nomi. Tanti. Troppi. “non sono eroi – urlerà Daniela Marcone-, l’eroe è una figura che li allontana da noi. Erano nostri, i nostri padri, i nostri figli. Persone normali. Che volevano vivere”.

Anche oggi, presso la biblioteca comunale di Foggia, in occasione della XXVII ‘Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie’, verranno pronunciati i nomi di Nicola Ciuffreda, Giovanni Panunzio, Francesco Marcone, Maria Incoronata Ramella e Incoronata Sollazzo, Hyso Telharaj, Matteo Di Candia, Stella Costa, Aurelio e Luigi Luciani.

L'idea di un elenco di tutte le vittime innocenti delle mafie nasce con Libera, grazie alla volontà del presidente don Luigi Ciotti e di Saveria Antiochia, madre di Roberto, un poliziotto che accompagnò, per amore e per dovere, nel suo ultimo giorno di vita un altro poliziotto, Ninnì Cassarà. Con gli stessi sentimenti e con senso di responsabilità verso una memoria che non doveva essere retorica celebrazione, ma seme di impegno, Saveria suggerì di raccogliere tutti nomi delle vittime, anche le più sconosciute. Un’altra madre avvalorò l’impegno della memoria, Carmela, la mamma di Antonio Montinaro, ucciso con Giovanni Falcone, di cui era il caposcorta. Nel corso di una funzione religiosa in ricordo della strage di Capaci, don Luigi la incontrò e ne accolse il dolore e la preoccupazione perché il nome di suo figlio, come degli altri agenti della scorta, non veniva mai pronunciato. Da questi primi momenti di intensa condivisione si è proseguito ad accogliere le proposte dei territori e dei familiari stessi delle vittime.

Caterina Ciavarella uccisa a San Nicandro Garganico il 28 marzo 1981. Aveva 57 anni

Il 28 marzo del 1981, a San Nicandro Garganico, Giuseppe Tarantino uccise un'intera famiglia, dando inizio a una vera e propria faida. A cadere sotto i colpi di fucile furono Matteo Ciavarella, 57 anni, la moglie, Incoronata Gualano, 55 anni e i tre figli, Nicola, Giuseppe e Caterina. Quest'ultima aveva solo 5 anni. I corpi non sono mai stati ritrovati: secondo una delle ipotesi degli inquirenti l'assassino per far sparire ogni traccia li diede in pasto ai maiali.

Nicola Ciuffreda ucciso a Foggia il 14 novembre 1990. Aveva 53 anni

Era uno dei più grossi imprenditori edili, è stato freddato nel suo cantiere in via Eugenio Masi. Ad aggredirlo due giovani in motoretta: dopo averlo individuato vicino ad un gruppo di operai, gli hanno scaricato addosso una decina di pallottole. Le condizioni del Ciuffreda sono subito apparse disperate: i proiettili lo avevano raggiunto alla testa, al collo, al torace, all' addome e alle gambe. Nulla hanno potuto fare i sanitari del pronto soccorso degli Ospedali riuniti. Nicola Ciuffreda è il primo imprenditore edile foggiano a rimetterci la vita. Non aveva subito il ricatto della mafia foggiana che pretendeva la "solita" tangente di due miliardi.

Michele Cianci ucciso a Cerignola il 2 dicembre 1991. Aveva 43 anni

Era un commerciante, aveva un negozio di armeria. Il pomeriggio del 2 dicembre alcuni uomini entrarono nel suo negozio con l'obiettivo di rubare alcune armi. Michele si oppose e partirono dei colpi di armi da fuoco che uccisero il commerciante di 43 anni. Michele morì prima di raggiungere l'ospedale.

Giovanni Panunzio ucciso a Foggia il 6 novembre 1992. Aveva 51 anni

Era un costruttore e fu ucciso mentre rincasava dopo aver assistito al Consiglio comunale del 6 novembre 1992. Sulla sua ‘Y 10’ percorreva via Napoli quando i killer sono entrati in azione sparando quattro, forse più colpi di pistola. L’imprenditore, colpito alle spalle e al polso sinistro, si accasciò sul volante. Due persone lo trasportarono in ospedale, ma fu una corsa contro il tempo purtroppo inutile. Aveva una vigilanza saltuaria da quando con le sue denunce aveva portato all’arresto di 14 mafiosi

Francesco Marcone ucciso a Foggia il 31 marzo 1995. Aveva 57 anni

Venne assassinato intorno alle 19.10 nel portone di casa di rientro dal lavoro. Era direttore dell'ufficio del Registro di Foggia, cittadino dedito al suo territorio, all'onestà, alla giustizia, alla verità. Nel rispetto del ruolo che ricopriva e per rispetto della verità, il 22 marzo aveva inviato un esposto alla Procura della Repubblica contro alcune truffe perpetrate da ignoti falsi mediatori che garantivano, dietro pagamento, il rapido disbrigo di pratiche riguardanti lo stesso ufficio. Da dieci anni di inchieste a singhiozzi l'unica cosa che emerge con chiarezza è che Francesco Marcone si era imbattuto e soffermato su pratiche miliardarie, su interessi di vari esponenti della città collegati con interessi della mafia locale. Dalle carte processuali del caso Marcone, emerge inoltre che il magistrato Lucia Navazio scriveva, nero su bianco, che la "parte sana" della città non volle collaborare.

Mario Incoronata Ramella e Incoronata Sollazzo morte il 24 aprile del 1998. Avevano 25 e 36 anni

Incoronata Sollazzo e Maria Incoronata Ramella, braccianti agricole, morirono in un incidente stradale il 24 aprile del 1998 a Cerignola, in provincia di Foggia. Viaggiavano su un furgone dei caporali con altre 17 donne a bordo. Il Fiat Ducato è finito fuori strada a causa dello scoppio del pneumatico posteriore destro, all'altezza di Cerignola ed era diretto a Carapelle, dove vivevano le braccianti. Era omologato per il trasporto di soli 10 persone. Maria Incoronata aveva 25 anni e si era da poco sposata.

Ennio Petrosino e Rosa Zaza morti il 25 agosto 1999. Avevano 33 e 31 anni

Ennio Petrosino, 33 anni, e sua moglie Rosa Zaza, 31 anni, vivevano in una villetta al piano terra nel parco De Luca a Pozzuoli. Lavoravano insieme nello stesso edificio, in uno studio di ragioneria del Centro Direzionale di Napoli. Sposi novelli, tornavano dalle vacanze passate in Croazia. Il 25 agosto del 1999, sbarcati a Bari alle 22, hanno imboccato l'autostrada sulla loro Suzuki. Sono stati travolti e uccisi da una macchina di contrabbandieri che, invertendo il proprio senso di marcia a fari spenti, ha attraversato uno dei tanti varchi aperti dell'autostrada Bari-Napoli.

Hyso Telharaj ucciso a Cerignola l’8 settembre del 1999. Aveva 22 anni

Il giovane albanese era venuto in Italia per cercare lavoro. Hyso lavorava la terra. Era un bracciante agricolo che raccoglieva i frutti della terra nei pressi di Cerignola. Hyso si svegliava ogni giorno che era ancora buio e lavorava senza sosta fino al tramonto, raccogliendo la frutta. I pochi soldi che guadagnava gli erano necessari per campare e per aiutare la famiglia. La sua voglia di costruirsi un futuro si è scontrata con le organizzazioni criminali che regolano il lavoro degli stagionali e dei migranti. Non è stato ucciso dalla malattia o piegato dalla fatica come accade a tanti braccianti agricoli: Hyso è stato ucciso dai caporali perché non ha ceduto al loro ricatto. Era l'8 settembre del 1999. Non aveva piegato la testa e si era ribellato alla logica spietata dei caporali di Capitanata. La sua ribellione è stata punita per dare l'esempio a tutti, a chi magari voleva sfuggire alle costrizioni dei caporali.

Matteo Di Candia ucciso a Foggia il 21 settembre 1999. Aveva 62 anni

Pensionato, fu assassinato con diversi colpi d’arma da fuoco. Stava festeggiando il suo onomastico, quando, nel corso di un agguato contro un criminale locale, si è trovato nella traiettoria dei proiettili.

Stella Costa uccisa a San Severo il 18 giugno 2002. Aveva 12 anni

Uccisa davanti agli occhi della madre da proiettili volanti di una sparatoria. Stella aveva solo 12 anni. Era in strada con la madre per buttare la spazzatura e stava salutando un’amichetta insieme a tanta altra gente: era quasi mezzanotte, ma era una di quelle serate estive molto calde. Aveva appena attraversato la strada per salutare un’amica prima di tornare a casa e all’improvviso è stata travolta dai proiettili.

Romano e Carmela Fasanella, Domenico De Nittis morti il 24-25 luglio 2007. Avevano 71, 80 e 62 anni

l 24 luglio del 2007 uno spaventoso incendio devastò parte della pineta nel territorio di Peschici, in provincia di Foggia. Le fiamme danneggiarono anche molti edifici del centro abitato. Nel rogo persero la vita tre persone: Romano Fasanella, 81 anni, Carmela Fasanella, 71 anni e nei giorni successivi, per le ferite riportare Domenico De Nittis. L'incendio era di origine dolosa.

Aurelio e Luigi Luciani uccisi tra San Marco in Lamis ed Apricena il 9 agosto 2017

Aurelio e Luigi Luciani sono due agricoltori di San Marco in Lamis barbaramente uccisi nei pressi della stazione ferroviaria dismessa di San Marco in Lamis durante l’agguato al boss Mario Luciano Romito e al cognato Matteo De Palma.

Strage 4 agosto 2018: morti 4 braccianti

Quattro braccianti a bordo di un pulmino sono morti nell'impatto con un tir carico di pomodori, sulla strada provinciale 105 tra Ascoli Satriano e Castelluccio dei Sauri. A loro si aggiungono quattro feriti, sempre migranti, ricoverati in gravi condizioni in ospedale. I quattro braccianti Amadou Balde (Guinea Bissau) aveva 20 anni; Aladjie Ceesay (Gambia) 23; Moussa Kande (Guinea Bissau) 27; Ali Dembele (Mali), il più vecchio, 30 al bordo del furgone tornavano dalle campagne dove avevano raccolto i pomodori sin dalle prime luci dell'alba. Dopo una giornata nei campi a spaccarsi la schiena, hanno così trovato crudelmente la morte. Ai soccorritori giunti sul posto si è presentata una scena davvero impressionante, con il carico di pomodori completamente riversato sull'asfalto, il furgone ridotto a un ammasso di lamiere e i cadaveri dilaniati al suo interno.

Strage 6 agosto 2018: morti 12 braccianti

12 braccianti immigrati sono morti, dopo una dura giornata di lavoro nelle campagne pugliesi. Erano in 14, probabilmente viaggiavano in piedi, stipati in un furgoncino con targa bulgara che poteva trasportare al massimo otto persone e che si è capovolto sull'asfalto dopo lo schianto: una scena apocalittica, con i corpi straziati tra le lamiere. I loro nomi Lhassan Goultaine (Marocco, 39 anni), Anane Kwase (Ghana, 34 anni), Mousse Toure (Mali, 21 anni), Lahcen Haddouch (Marocco, 41 anni), Awuku Joseph (Ghana, 24 anni), Ebere Ujunwa (Nigeria, 21 anni), Bafoudi Camarra (Guinea, 22 anni), Alagie Ceesay (Gambia, 24 anni), Alasanna Darboe (Gambia, 28 anni), Eric Kwarteng (Ghana, 32 anni), Romanus Mbeke (Nigeria, 28 anni) e Djoumana Djire (Mali, 36 anni). "Le condizioni di trasporto, i soldi trovati addosso al conducente, e una serie di elementi tra cui le dichiarazioni dei due braccianti sopravvissuti che hanno detto quante ore lavoravano e quanto erano pagati - aveva spiegato il procuratore di Foggia, Ludovico Vaccaro - rimandano a condizioni di caporalato e sfruttamento, e vogliamo verificare se ci sia stato questo fenomeno".

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