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Martedì, 16 Aprile 2024
Cronaca Manfredonia

Perchè secondo il gip la moglie del prefetto Di Bari sapeva: "Ruolo attivo dei Bisceglia nella condotta illecita"

I nomi degli arrestati - due in carcere e tre ai domiciliari - e degli indagati dell'operazione anti-caporalato 'Terra Rossa' in provincia di Foggia

Non poteva essere altrimenti. La notizia dell’operazione anticaporalato denominata ‘Terra Rossa’ - coordinata dalla Procura della Repubblica del capoluogo dauno e condotta dai militari del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Manfredonia e da quelli del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Foggia - ha suscitato un forte clamore mediatico e riacceso, finanche, gli animi tra Giuseppe Conte e Matteo Salvini, atteso che tra le sedici persone coinvolte, c’è Rosalba Livrerio Bisceglia, moglie del prefetto di Mattinata, Michele Di Bari, fino a ieri mattina capo dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione al Ministero dell’Interno.

Nelle carte dell’inchiesta a firma del gip Margherita Grippo, la posizione dell’imprenditrice di Manfredonia, titolare di una delle nove aziende agricole sottoposte a controllo giudiziario affidato all’amministratore Lorenzo Mantuano – che l'avvocato Gianluca Ursitti in una nota descrive come “una storia di trasparenza e di legalità con radici antiche” - è associata alla figura di Bakary Saidy, il reclutatore della manodopera dei braccianti, finito in carcere insieme al 32enne senegalese Kalifa Baio. Secondo il legale difensore dell’indagata, i fatti a lei addebitati sono “molto circoscritti nel tempo e nella consistenza, poiché si sarebbero svolti - in ipotesi - in pochissimi giorni e riguarderebbero una quantità esigua di dipendenti”.

Le accuse a Saidy e ai Bisceglia

Saidy, Matteo e Rosalba Levriero Bisceglia, sono indagati in concorso e previo accordo tra loro. Il primo, ora in carcere, quale intermediatore illecito e reclutatore, trasportatore e controllore della forza lavoro. Matteo Bisceglia, quale gestore degli operai della ‘Azienda Agricola Bisceglia S.S., amministrata – unitamente ad altre due donne - da Rosalba Livrerio Bisceglia, che secondo il gip "assumeva o, comunque, utilizzava o impiegava manodopera costituita da decine di lavoratori di varie etnie, allo scopo di destinarla alla coltivazione di terreni agricoli di proprietà, o comunque nella sua disponibilità, sottoponendo i lavoratori alle condizioni di sfruttamento desumibile anche dalla condizioni di lavoro (retributive, di igiene, di sicurezza, di salubrità del luogo di lavoro) e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie e dalla circostanza che essi dimorano in abitazioni fatiscenti presso l‘ex pista di Borgo Mezzanone'

Nelle carte dell'inchiesta si legge che Saidy reclutava e portava nei campi i braccinati in seguito alla richiesta di manodopera che Rosalba Livrerio Bisceglia avanzava al telefono, comunicando il numero di lavoratori necessari, poi controllati e gestiti da Matteo Bisceglia e assunti tramite documenti forniti dal Saidy., che riceveva il compenso da Livrerio Bisceglia, facendosi pagare, da ogni bracciante, l'importo di 5 euro per l'attività di intermediazione.

Secondo il gip l'impiego della manodopera avveniva in violazione dei contratti collettivi nazionali (o territoriali) stipulati dalle organizzazioni sindacali e, comunque, in maniera gravemente sproporzionata rispetto alla qualità e quantità del lavoro prestato, in quanto i lavoratori venivano retribuiti con la somma variabile dalle 5,70 euro ad ora, a fronte di una giornata lavorativa di circa otto ore ed il pagamento avveniva anche conteggiando il numero di cassoni raccolti. Violando reiteratamente la normativa di settore relativa all'orario di lavoro ed ai periodi di riposo, in quanto impiegavano i lavoratori nelle attività di coltivazione dei campi senza riconoscere loro la retribuzione per l'orario di lavoro straordinario, senza pause (salvo una breve per il pranzo) e senza consentire l'utilizzo di servizi igienici idone. E ancora, violando la normativa in materia di sicurezza-igiene sul lavoro, in quanto impiegavano i lavoratori senza fornire loro dispositivi per la prevenzione degli infortuni (guanti, scarpe, abbigliamento ecc.), necessari allo svolgimento delle mansioni, non provvedendo, spesso, alla loro assunzione formale; e non controllando che i documenti corrispondessero effettivamente ai braccianti poi presenti sui campi. Sottoponendo tutti i lavoratori ad un controllo serrato sui campi che veniva operato dal Bisceglia e da un altro connazionale non identificato che riferivano al Saidy, con il quale – si legge sempre nelle carte dell’inchiesta - Rosalba Livrerio Bisceglia si interfacciava per concordare ed effettuare i pagamenti. Il Saidy si occupava di formare i braccianti sulle modalità di comportamento nel caso di accesso ispettivo del Nil. Con l'aggravante di aver commesso il fatto impiegando un numero di lavoratori superiori a tre.

Le conversazioni e le ispezioni

Una delle telefonate che incastrerebbe Rosalba Livrerio è quella del 12 settembre 2019, quando dall’utenza della donna, Matteo chiede al caporale di portare sei persone “per martedì”, mentre l’imprenditrice chiede di portare tutti i documenti a tale Nico, “prima, perché così io devo fare ingaggi e poi il giorno dopo iniziare a lavorare”. Il lunedì successivo Saidy informa Matteo Bisceglia di aver consegnato i documenti di otto persone cosicché sarebbe comunque stata assicurata l'assunzione della manodopera nel numero richiesto: "...per esempio se uno non va bene...o due non va bene...capito... ".

Il giudice per le indagini preliminari titolare dell’inchiesta evidenzia che l’imprenditore si sarebbe accordato con il caporale sull'orario di inizio del lavoro “senza, peraltro, essere nemmeno certo del fatto che gli ingaggi fossero effettivamente andati a buone fine in quanto, a suo dire, non aveva ancora letto i documenti” scrive il gip. “Quante persone porti..io non ho letto i documenti”.

Lo stesso giorno Saidy chiede conferma dei sei lavoratori assunti e di cui aveva fornito i documenti: "Così non sbagliamo per portare persone che...non ci stanno assunti...perché ho portato otto persone ... ". La conversazione termina con Matteo Bisceglia che risponde dicendo che avrebbe "parlato con lei". Il riferimento . secondo il gip - è a Rosalba Bisceglia, “che evidentemente si occupava dell'assunzione della manodopera, attività che peraltro svolgeva senza conoscere direttamente i braccianti e sulla sola base dei documenti fornitele dal caporale” si legge.

Due giorni dopo, la sera del 14 settembre, la moglie di Di Bari chiama il caporale per dirgli che c'erano problemi con la regolarità dei documenti di quattro braccianti rispetto agli otto nominativi che le erano stati forniti: "Senti quattro di voi non sono regolari... non ci sono permessi.... “, precisando che solo i lavoratori in regola avrebbero potuto presentarsi a lavoro l'indomani e fornendo a voce i nominativi degli operai i cui documenti risultavano scaduti, chiedendogli di verificare la regolarità o meno dei documenti dei suddetti braccianti: “Se hanno i documenti...me li porti domani mattina...e dopodomani i documenti giusti...' , così da procedere con l'assunzione di altri lavoratori, giacché "servono le persone in più…”

Il giudice per le indagini preliminari ritiene che da una interlocuzione tra il caporale e il bracciante si evincerebbe che Rosalba Bisceglia si occupava della gestione ed assunzione della manodopera reperita dal Saidy. Nel corso di un’altra conversazione, il caporale riceve da un suo collaboratore la richiesta di informazioni circa le modalità di pagamento del lavoro da eseguire, apprendendo che era stato concordato il pagamento non già "ad ora così come il caporale era solito fare con gli imprenditori, ma un pagamento di lavoro “a giornata” nella misura di 35 euro al giorno per 6 ore". L’amico di Saidy esprime disappunto sul compenso: “Quello era a Trinitapoli a 40 euro, era a Trinitapoli, ma era 7 ore, non so se telo ricordi, se guardi bene non c'è differenza perché questo e di 6 ore".

Il giorno successivo, il 15 settembre, carabinieri e ispettori del lavoro si recano nei campi dell’azienda agricola al fine di effettuare un'ispezione, durante la quale quattro braccianti africani scappano. Buba, il collaboratore di Saidy, lo mette al corrente dei controlli. A sua volta il caporale, sapendo che alcuni dei braccianti inviati al lavoro non erano in regola, chiede se l'ispettorato li avesse trovati lì: “Noi, senza documenti, siamo andati via". Secondo il gip, “confermando indirettamente, non solo che alcuni dei braccianti che si erano recati a lavoro non erano regolarmente assunti, ma anche che gli stessi si erano dati alla fuga proprio per sottrarsi al controllo da parte degli ispettori. Il collaboratore aggiunge che gli era stato riferito che gli ispettori erano appena andati via e che erano gli stessi che in precedenza avevano fatto un controllo durante il lavoro della raccolta dei pomodori.

Sempre secondo il giudice per le indagini preliminari, “benché i carabinieri non fossero riusciti a fermare i braccianti per identificarli, quelli presenti sui campi al momento dell'accesso erano proprio quelli reclutati dal Saidy; a dimostrazione della piena consapevolezza da parte dell’azienda di essersi servita di personale irregolare per svolgere le attività lavorative sui propri campi”. Al caporale Saidy, un altro bracciante riferisce che al loro arrivo in azienda, qualcuno gli avrebbe detto di riferire agli operai sprovvisti di documenti, di scappare in caso di controlli. “Quando sono arrivati quello mi ha detto di dire a tutti coloro che sono senza documenti di scappare, così Buba e gli altri sono andati via”.

Nel corso di una conversazione con un bracciante che chiedeva se vi fossero delle opportunità di lavoro, Saidy ammette indirettamente di essere stato lui effettivamente a reclutare la manodopera per l'azienda Bisceglia, nel frattempo sottoposta ai controlli. Nella conversazione il caporale evidenzia che molti imprenditori avevano delle remore ad assumere "i neri", perché gli stessi braccianti dicevano ai datori di lavoro di lavorare con i documenti di altri. Secondo il gip i Bisceglia “erano perfettamente coscienti delle modalità di reclutamento e di impiego del lavoro da parte del Saidy, il quale, dal canto suo, ammetteva di riceve materialmente i soldi dagli imprenditori e di cederli successivamente ai braccianti da lui reclutati”.

I pagamenti dopo i controlli

Nelle carte dell’inchiesta è finita una telefonata del 28 settembre 2020 in cui Matteo Bisceglia chiedeva a Saidy di mandargli informazioni sui braccianti per poter formalizzare le buste paga, facendo intendere che il compito sarebbe spettato ad una donna, indicata genericamente con un “lei”. “Io moooo, perché lei deve fare la busta paga….capito?….in quanto non si può fare diversamente”. Il gip evidenzia che “allorquando il Saidy chiedeva circa il metodo di pagamento, veniva interrotto dall'imprenditore, il quale suggeriva di parlare di certe cose di persona, evitando l'utilizzo del telefono”.

Effettivamente il giorno successivo venivano effettuati i pagamenti. Scrive il gip che “Matteo Bisceglia riferiva chiaramente che, a causa dei controlli dell'ispettorato, era stato costretto a versare più soldi rispetto a quelli pattuiti e diceva a questi (Saidy) di pagare il sesto bracciante con i soldi che aveva ricevuto in più rispetto a quelli che gli spettavano: “Perché..per il fatto...hai visto del controllo...e cose..poi dopo quello... che ha mandato di più...pagate già l'altro ragazzo... ").

Il 4 ottobre Rosalba Livrerio Bisceglia avrebbe chiamato il caporale per mettersi d'accordo su come pagare un bracciante che non disponeva di Iban, concludendo che avrebbe provveduto a fare un assegno circolare che il bracciante avrebbe potuto poi scambiare in banca. Accorgimenti che sarebbero stati presi per via dei controlli compiuti dagli ispettori alcuni giorni prima: “Ci sent… domani mattina noi andiamo in banca perché l'Ispettore del Lavoro mi ha detto che non posso fare in altro modo.....non posso dare soldi in contanti..perché c'è stata anche l'ispezione... quindi.. va bene...". L’imprenditrice riferiva che Matteo avrebbe provveduto a far firmare ai braccianti le buste paga, in quanto le avrebbe dovute consegnare all'ispettorato: "Senti poi le buste paga le lascio a Matteo perché me le dovete firmare...e ridare…”.

Le ipotesi accusatorie

Secondo il gip, gli imprenditori avevano impiegato per oltre un mese i braccianti reclutati dal Saidy, con il quale si interfacciavano direttamente.  “La Livrerio Bisceglia, in particolare, risultava consapevole delle modalità delle condotta di reclutamento e sfruttamento in quanto si confrontava direttamente con il caporale, del quale aveva il numero di telefono; ella si preoccupava di formalizzare le buste paga, ed adottava tutta una serie di ulteriori accorgimenti che evidentemente non avrebbe adottato se non fosse stato per gli avvenuti controlli; chiamava il Saidy, e non i singoli braccianti, per dirgli come e perché era stata costretta a pagare con modalità tracciabili e sempre a costui comunicava, per il tramite del Matteo Bisceglia, che l'importo della retribuzione sarebbe stato superiore a quello spettante, ma che Saidy avrebbe potuto usare la differenza per pagare un sesto operaio che, evidentemente, avrebbe lavorato in maniera irregolare. Quanto accertato durante l'ispezione, le conversazioni intercettate sulla gestione dei lavoratori, sull'ammontare e sulle modalità di pagamento della retribuzione, appaiono indizi univoci e gravi del ruolo attivo dei Bisceglia nella condotta illecita” conclude il gip.

Arresti e indagati: i nomi

In carcere sono finiti Bakary Saiday gambiano classe ‘88 e Kalifa Bayo classe ‘89 del Senegal. Agli arresti domiciliari Vincenzo De Rosa di Troia, classe '60, Emanuele Tonti di Foggia classe '66 e Michele Boccia classe '79 nato a Nola ma residente a San Giuseppe Vesuviano. Obbligo di presentazione per due volte a settimana presso i carabinieri e obbligo di dimora nel comune di residenze per Giovanni e Christian Santoro di 59 e 31 anni, per Sergio Vitto, classe '67 nato a Conversano, Alessandro Santoro, 24enne di Trinitapoli, Alfonso e Giuseppe Calabrese di 24 e 58 anni, Saverio Scarpiello di 48 anni, tutti e tre di Foggia. Indagati anche Mario Borrelli di 67 nato a San Giorgio in Molara, Rosalba Livrerio Bisceglia 55enne nata a Manfredonia e residente a Foggia, Matteo Bisceglia di anni 56 nato a Monte Sant’Angelo ma residente a Manfredonia. In ultimo risulta indagato anche Vincenzo Ciuffreda classe ‘60 di Monte Sant’Angelo ma residente nel capoluogo dauno.


 


 



 

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