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Cronaca

L'uccisione di Roberta Perillo in 44 pagine: "brutalità e violenza" di D'Angelo, le motivazioni della sentenza

Le motivazioni della sentenza emessa lo scorso 29 aprile, dalla Corte d’Assise di Foggia, presieduta dal giudice Mario Talani, a carico dell'imputato reo-confesso, Francesco D'Angelo

“Dall’analisi dei numerosi elementi di prova acquisiti al fascicolo dibattimentale, è emersa senza dubbio alcuno la prova della colpevolezza dell’imputato Francesco D’Angelo, in ordine al reato di omicidio commesso in danno di Roberta Perillo, cui era legato da una relazione sentimentale”. E’ quanto si legge nelle 44 pagine che motivano la sentenza di condanna emessa lo scorso 29 aprile (qui i dettagli), dalla Corte d’Assise di Foggia presieduta dal giudice Mario Talani.

Non risulta, ad oggi, presentata alcuna richiesta di appello, ma i sono ancora aperti. Il documento ripercorre, nel dettaglio, le varie fasi del processo, il cui dibattimento, in primo grado, è iniziato nel settembre 2020. D’Angelo, reo-confesso e difeso dall’avvocato Michele Curtotti, non è mai comparso in aula, né in presenza né da remoto. A rappresentare, invece, i familiari della vittima in aula, sono stati gli avvocati Guido e Roberto De Rossi, con la collega Consiglia Sponsano; pm Rosa Pensa (qui la sua requisitoria). Nel corso del dibattimento sono state ascoltate circa 40 persone, tra testi e consulenti con l’obiettivo di indagare sia il rapporto tra vittima ed imputato, che la facoltà di intendere e volere di quest’ultimo.

“Secondo l’ipotesi accusatoria, il giorno 11 luglio 2019, l’imputato - in condizione di infermità mentale cagionata da psicopatologia transitoria - avrebbe cagionato volontariamente la morte di Perillo Roberta, legata a lui da una relazione sentimentale mediante un meccanismo asfittico violento, a seguito di strozzamento, e conseguente meccanismo di annegamento della vittima all’interno della vasca da bagno”, si legge nei passaggi atti a motivare la sentenza. “La ricostruzione del fatto delittuoso muoverà dall’esposizione di un consistente nucleo di emergenze fattuali, in minor parte non oggetto di contestazione (in quanto inconfutabilmente provate da un ricco compendio di atti in indagine e di dichiarazioni predibattimentali, acquisite con il consenso delle parti), e in gran parte desunte dalle testimonianze rese dai numerosi testi escussi in sede dibattimentale”, si precisa nelle carte.

Il pomeriggio dell’11 luglio di tre anni fa, l’imputato - come è noto - si presentò in questura, a Foggia, accompagnato dal padre, per confessare il femminicidio commesso poco prima. “D’Angelo si mostrava evidentemente confuso e disorientato”, si legge nel documento. “Aveva tentato di descrivere agli operanti la dinamica dell’omicidio: disse che, mentre era affacciato alla finestra all’interno del salotto della casa di Roberta Perillo, ebbero una discussione verbale che sfociò in una colluttazione, nel corso della quale caddero per terra delle matite e un quadro. Raccontò di aver, quindi, trascinato il corpo della donna esanime sino al bagno e di averlo posizionato all’interno della vasca. La vasca, secondo la ricostruzione dell’uomo, era stata riempita dalla Perillo che aveva intenzione di farsi un bagno”.

La versione dell’imputato | Negli uffici di polizia, l’imputato confessò il femminicidio commesso fornendo la propria versione dei fatti. “D’Angelo non era andato con l’intento di uccidere la compagna, voleva solo parlarle”, si legge nelle carte. “Non appena arrivato in casa, i due avevano iniziato a discutere e Roberta aveva alzato il tono della voce. A quel punto l’uomo aveva perso il controllo, non era riuscito a ‘reggere’ la situazione e si era avvicinato al balcone, con l’intento di buttarsi di sotto (“ho detto se devo sentirmi inutile, che cosa ci sto a fare?”). Roberta per fermarlo si era posizionata davanti alla finestra e lo aveva graffiato (“mi ha preso in faccia, mi ha tagliato, ma non con cattiveria, perché stava spaventata”). D’Angelo ricordava di aver spinto la donna contro la finestra e, probabilmente in quel momento, erano caduti entrambi a terra (“e poi è caduta, ricordo che sono caduto anche io. Non ricordo come è caduta. Siamo inciampati tutti e due”).

A quel punto, i ricordi di Francesco si sono annebbiati. “Riferiva di essere andato ‘in tilt, nel panico’. Ricordava di aver ‘dato di matto’, di aver stretto le mani al collo di Roberta mentre era posizionato con le ginocchia a cavalcioni di su di lei. L’imputato riferiva che le sue mani si muovevano ‘in automatico’. Mentre stringeva le mani alla gola della donna, le chiedeva se stesse bene (“non sentivo più nulla (…) io non mi riconoscevo, non so nemmeno se sono stati io mentre stavo la”). Ad un centro punto, Roberta non aveva più dato segni di vita (“lei non mi ha detto più nulla”). Francesco, non sapendo che fare, aveva trascinato la donna in bagno, prendendola per le braccia. Poi l’aveva distesa nella vasca, nel tentativo di farla risvegliare. La vasca era già in parte piena d’acqua. Era stata Roberta ad aprire il rubinetto della doccia perché avrebbe voluto farsi un bagno”.

Le tappe del processo | Nelle oltre 40 pagine del documento, quindi, si passano in rassegna gli aspetti più tecnici della vicenda, confrontando le risultanze delle indagini degli inquirenti con lo stato dei luoghi; le dichiarazioni rese dall’imputato e dai familiari ascoltati con la ricostruzione dei relativi movimenti telefonici, chat e posizioni desunte dai filmati delle telecamere situate nelle vicinanze di via Rodi, a San Severo, luogo della tragedia. Il nucleo centrale del documento è incentrato sulla ricostruzione della eventuale storia clinica dell’imputato e sono state passate in rassegna le varie consulenze, richieste ed espletate con l’obiettivo di stimare la capacità di intendere e volere dell’uomo al momento del fatto. Sul punto, infatti, si sono espressi diversi periti, giungendo a risultati a volte opposti: per il professore Alessandro Meluzzi, noto psicologo e criminologo, nominato consulente dei familiari di Roberta Perillo, D’Angelo era capace di intendere e volere. Di diverso avviso, invece, il dottor Angelo Righetti, consulente tecnico della difesa che ha concluso per la totale incapacità di intendere e di volere dell’uomo al momento del fatto. Nel mezzo - parziale vizio di mente -, la relazione del consulente della procura, prof. Roberto Catanesi, tesi sposata dalla Corte nella qualificazione della pena.

La determinazione della pena | Alla luce del compendio probatorio analizzato, la Corte d’Assise ha ritenuto “che l’ipotesi accusatoria sia stata integralmente confermata, essendo stata acquisita la prova certa del fatto che, l’11 luglio 2019, l’imputato D’Angelo Francesco abbia cagionato la morte della compagna, Perillo Roberta, mediante un duplice meccanismo asfittico: strozzamento della vittima e conseguente annegamento nella vasca da bagno”, viene messo nero su bianco dal presidente Talani. “In particolare la brutalità e la violenza perpetrate con lo strozzamento e la freddezza con cui l’imputato ha conseguente lasciato annegare la vittima, abbandonando il corpo esanime nella vasca da bagno, elidono ogni dubbio quanto alla sussistenza del dolo intenzionale di omicidio”. Per quanto concerne la determinazione della pena, quindi, “a giudizio di questa Corte di Assise, non ricorrono elementi positivamente valorizzabili ai fini della concessione delle circostanze attenuanti generiche, tenuto conto che le suddette circostanze, come noto, non configurano un benevolo automatismo, ma richiedono un quid pluris rispetto alle mere dinamiche fattuali che, nel caso di specie, difetta”.

Francesco D’Angelo, infatti, nonostante l’immediata confessione, “ha continuato a screditare ed addossare la colpa sulla vittima (come emerge sia dal verbale di interrogatorio reso innanzi agli inquirenti sia dai colloqui riportati dal consulente della pubblica accusa nella relazione di consulenza tecnica). Tale elemento stride con un reale ed effettivo pentimento e, valutato unitamente al comportamento distaccato successivo ai fatti, induce questa Corte a disconoscere l’invocata concessione delle circostanze attenuanti generiche. Deve paraltro verso, essere certamente riconosciuta la circostanza attenuante per l’accertato vizio parziale di mente al momento del fatto. L’azione omicidiaria - conclude Talani - è realtà di difficile percezione e lo è ancor di più quando il delitto è commesso, come nel caso che ci occupa, ai danni di una persona legata al colpevole da una relazione affettiva” .

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