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Cronaca

Morto per una polipectomia al Riuniti di Foggia: ospedale condannato a pagare 1,8 milioni ai familiari. "Imprudente e negligente sperimentazione"

L'azienda ospedaliero-universitaria è stata giudicata responsabile del decesso di Saverio Corvino, avvenuto il 17 dicembre 2011: "Comportamento poco diligente da parte degli operatori sanitari"

Il Tribunale di Foggia ha dichiarato che l'azienda ospedaliero-universitaria Ospedali Riuniti di Foggia è responsabile del decesso di Saverio Corvino, morto il 17 dicembre 2011, due giorni dopo una programmata colonscopia rettale con conseguente polipectomia. Il Policlinico è stato condannato al pagamento di 1.800.000 euro in favore dei suoi eredi - moglie, figli, genitori e fratelli dell'uomo - che avevano intentato la causa civile citando in giudizio l'azienda. 

Al termine dell'operazione, il chirurgo che aveva eseguito la polipectomia e coordinato l'intero staff aveva comunicato alla moglie il buon esito dell'intervento, consigliandole la somministrazione del medicinale Toradol, per via intramuscolare, in caso di insorgenza di dolori addominali, che si sono subito manifestati. Il giorno dopo la situazione è peggiorata e l'uomo è stato sottoposto a un intervento d'urgenza che non ha ribaltato la situazione, "compromessa dagli errori commessi nella prima fase del trattamento (ossia in sede di intervento da parte dell’equipe di gastroenterologia)", si legge nella sentenza. 

Il paziente è stato ricoverato in rianimazione a tarda sera, e dopo poche ore è deceduto. La relazione di consulenza medico legale ha rappresentato la base probatoria del giudizio.

Il consulente tecnico di ufficio ha evidenziato che "l’evento morte è da ricondurre alla tecnica effettuata dal chirurgo che per primo effettuò l’intervento", quello di polipectomia, "con l’uso combinato dell’effetto termico della corrente elettrica, unitamente all’utilizzo di un farmaco antisclerosante, stimato l’intervento quale causa unica, per la mancanza di altre concause, preesistenti o sopravvenute, del decesso".

La tecnica usata, scrive il giudice civile, "non ha riscontri nella letteratura scientifica, quindi, trattandosi di una attività che fuoriusciva dagli schemi classici del trattamento, sarebbe stata opportuna, a parere di tutti gli esperti che hanno valutato il caso (non solo il ctu di questo giudizio, ma anche gli ausiliari che del caso si sono occupati nel processo penale), una maggiore attenzione nei confronti del paziente nelle ore successive all’intervento, con una informazione minuziosa sui possibili rischi. Proprio la mancanza di una osservazione clinica nel decorso post operatorio del paziente ha determinato l’evento lesivo, con conseguente ed inevitabile responsabilità della struttura sanitaria".

Il tribunale certifica anche un'ulteriore negligenza da parte della struttura perché gli operatori del 118 non ravvisarono la gravità della situazione quando "si manifestarono i primi sintomi allarmanti" e accolsero il rifiuto della moglie al ricovero e non quello del paziente.

Il giudice civile ne deduce che il decesso "è sicuramente attribuibile ad un comportamento poco diligente da parte degli operatori sanitari della struttura ospedaliera convenuta: ricollegabile sicuramente alla tecnica operatoria eseguita che avrebbe richiesto maggiori attenzioni nel decorso post operatorio, laddove un pronto ricovero nella mattinata del 16 dicembre 2011 avrebbe decisamente ridotto del 50% l’evento infausto".

Il medico che ha eseguito l’intervento nel 2017 fu sottoposto a procedimento penale, rinviato a giudizio per omicidio colposo, che si concluse con la prescrizione del reato poche settimane prima delle discussioni dei difensori.

A seguito dell’appello proposto dall’azienda, la Corte ha respinto l’istanza di sospensiva, se non per una piccola parte della somma.

"Questo processo è emblematico nell’attuale dibattito sulla riforma del processo penale - ha commentato l'avvocato Michele Vaira, legale degli eredi Corvino - La fase dibattimentale, che dovrebbe essere centrale nell’accertamento dei fatti, è stata quasi completata a ritmi serrati nei due anni che ci separavano dalla prescrizione, poi purtroppo maturata. Le indagini preliminari, infatti, sono durate quasi cinque anni, e la sola udienza preliminare addirittura un intero anno. Quando eravamo ormai in dirittura d’arrivo, poi, l’emergenza sanitaria derivante dalla pandemia ha definitivamente stroncato il processo. L’imputato, nel corso del procedimento, ha cercato di accreditare la sua tecnica quale vera e propria innovazione, presentata al processo in pompa magna attraverso pubblicazioni internazionali. In realtà, quelle stesse pubblicazioni dimostravano il mancato consenso della comunità scientifica internazionale. Lo stesso perito del Tribunale ha parlato, senza mezzi termini, di imprudente e negligente 'sperimentazione'". 

A Saverio Corvino "venne somministrato un modulo per il consenso informato standard, nel quale venne omessa qualunque informazione circa la tecnica sperimentale con la quale l’intervento di polipectomia (routinario e in day hospital) sarebbe stato effettuato - aggiungono gli avvocati Michelangelo Metta e Riccardo Icilio Ariostino - in più, venne dimesso senza alcuna informazione specifica per la degenza post operatoria da svolgere a casa, degenza terminata tragicamente a causa dell’insorgenza della sepsi causata dalla perforazione intestinale; infine, l’intervento del 118 presso l’abitazione all’indomani dell’intervento chirurgico, privò il sig. Corvino di una fondamentale chance di sopravvivenza, in quanto l’equipe medica sconsigliò il ricovero e raccolse un rifiuto allo stesso senza interpellare il diretto interessato, presente e vigile".

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