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Cronaca San Marco in Lamis

Luigi e Aurelio, gli agricoltori innocenti uccisi dalla mafia che "a mani nude mettevano i semi nella terra per dare vita"

Le telecamere Rai di ‘Cose nostre’ intersecano la storia della decennale faida della Montagna con quella dei fratelli Luigi e Aurelio Luciani. Mafia e legalità: due rette parallele che mai si sarebbero dovute incontrare

Un ritratto intimo e familiare, che scava nei ricordi più belli. Quelli ai quali aggrapparsi con tutte le forze per andare avanti. Le telecamere Rai di ‘Cose nostre’, nello speciale ‘A mani nude’, intersecano la storia della decennale faida della Montagna con quella dei fratelli Luigi e Aurelio Luciani.

Da una parte la mafia, dall’altra la legalità. Due rette parallele che mai si sarebbero dovute incontrare. Invece è accaduto in una calda mattina di agosto, quando i due agricoltori sono stati barbaramente uccisi nella mattanza organizzata per eliminare il boss Mario Luciano Romito e il suo autista. Due testimoni scomodi da eliminare, due vittime innocenti della spietata mafia garganica.

Al padre Antonio e alle vedove Marianna e Arcangela il compito più difficile: quello di ricordare. Il giorno della strage, il dolore, l’incredulità. Ma anche l’esercizio della memoria, per difendere i ricordi dal passare del tempo. “Hanno visto qualcosa che non dovevano vedere”. Antonio non si dà pace per quello che è accaduto ai suoi figli. “Luigi - ricorda - era legato alla terra, non ha voluto mai prendere altre strade. Gli piaceva stare qua. E ad Aurelio pure: la nostra è una azienda di azienda di famiglia, l’hanno seguita da sempre”.

Adesso, ogni volta che entra nel capanno degli attrezzi, è un colpo al cuore. “Crolli, anche se sei un uomo e devi andare avanti”. Marianna stringe la sua bambina che non ha mai potuto conoscere il padre Aurelio (era incinta al momento della strage) e sfoglia l’album dei ricordi: “Avevo 17 anni quando ci siamo conosciuti, 22 quando ci siamo sposati. Io non volevo fidanzarmi con un agricoltore, perché d’estate volevo andare al mare. Poi mi ha conquistato con la sua simpatia, la sua dolcezza, il suo modo di sdrammatizzare tutto. Vedeva sempre il lato positivo: ‘Le cose si aggiustano, solo la morte non si aggiusta’, mi ripeteva”.

In quel periodo Aurelio era al settimo cielo: “Avevamo da poco festeggiato la prima comunione di nostro figlio Michele e mi toccava sempre la pancia, in attesa della nostra bambina. Nel quotidiano dai tutto per scontato, poi quando una persona ti viene a mancare, ti mordi le mani perché pensi che potevi dire di più, dare di più. Non pensi che dall’oggi al domani la tua vita si possa spezzare, che due persone possano essere divise di colpo”. E Marianna il marito non l'ha potuto nemmeno salutare per l'ultima volta: le fu negata la vista del corpo straziato dai proiettili prima e dal caldo poi per tutelarne lo stato di salute (era a gravidanza inoltrata).

Per Luigi, invece, l’amore è arrivato all’improvviso. “Io non credevo che Luigi si sposava”, racconta il padre. “Poi è arrivata Arcangela, l’anima gemella. Avevano avuto da poco un bel bambino, erano felici”. “In quel periodo vivevo a Bolzano per lavoro e non ci pensavo all’amore”, racconta Arcangela. “Poi in Luigi ho visto la dolcezza”. Lei lascia la cattedra a Bolzano, si trasferisce a San Marco in Lamis e si sposano. “Ovunque vedo qualcosa di Luigi. Eravamo felici. Era nato nostro figlio Antonio e avevo ripreso anche a lavorare con qualche supplenza. Mi sentivo fortunata, mi sentivo felice, avevo tutto”. E in attesa di giustizia riflette: “Luigi e Aurelio, a mani nude, mettevano i semi nella terra per dare vita. Quelle persone, invece, tolte loro le armi, non sono nulla”.

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