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Giovedì, 25 Aprile 2024
Cronaca

Un caffè al carcere di Foggia: racconto dell’ispezione dell'On. Rita Bernardini

Elisabetta Tomaiuolo e Antonella Soldo, dell'Associazione "Maria Teresa Di Lascia" raccontano la visita di Rita Bernardini fatta al carcere di Foggia e l'incontro con la dirigente del penitenziario Maria Affatato

“Permesso si può? Il caffè lo fate buono?” Rita Bernardini è autorevole ma riesce a mettere tutti a loro agio. “Sono una deputata radicale, sono qui per fare un’ispezione”. I detenuti che la vedono affacciarsi nelle loro celle sgranano gli occhi, si spolverano i vestiti e cercano in gran fretta di liberare il tavolo dai resti del pranzo per farla accomodare. Ce la raccontano così la Bernardini, Elisabetta Tomaiuolo ed Antonella Soldo, rispettivamente segretaria e presidente dell’associazione radicale “Mariateresa Di Lascia”, che sabato scorso l’hanno accompagnata nell’ispezione al carcere di Foggia.

Allo sportello all’ingresso l’agente che riceve il suo tesserino chiama subito il comandante - raccontano Tomaiuolo e Soldo - Non ci aspettavano, nonostante un quotidiano locale avesse dato una soffiata il giorno prima, e alcuni detenuti ne fossero venuti a conoscenza leggendolo.

Quando arriva il comandante Montanaro ha un’aria tesa, lei gli mette una mano sul braccio “sono qui anche per voi”, lui subito si distende: sarà la nostra guida in tutte le sei ore di visita. La direttrice non c’è, ma il comandante le telefona per passarle al telefono la Bernardini, questa in risposta alle sue giustificazioni le dice: “non si preoccupi, capisco sia il suo giorno libero, mi capita spesso di non trovare i direttori perché le visite le faccio sempre di sabato, visto che questo è anche il mio giorno libero”.

Non passa mezz’ora che ci troviamo la direttrice alle spalle. Maria Affatato è arrivata da poco a Foggia, prima dirigeva il carcere di Spinazzola, una delle pochissime isole felici nel sistema carcerario italiano: destinato alla custodia dei sex offender, era una struttura gestita con efficienza, ma che, come tutte le cose che funzionano in Italia, è stato chiuso perché troppo piccolo. L’arrivo a Foggia per la Affatato è stato un colpo duro: “onorevole - ha ripetuto più volte - questo è un territorio molto difficile”. Scappano tutti i direttori dal carcere di Foggia, troppo lavoro, da anni non si riesce a trovare un vicedirettore con cui dividersi gli oneri, così la struttura è stata per lunghi anni abbandonata a sé stessa. La nuova direttrice, però, sembra seriamente intenzionata ad attivare tutta una serie di progetti rieducativi e lavorativi.

Quali sono i problemi più gravi che avete rilevato nel carcere di Foggia?

“La Puglia è la regione con il più grande sovraffollamento d’Italia, e questo è il primo problema anche a Foggia: 725 detenuti per un limite di tollerabilità di 403. 21 ore in cella da dividere anche in otto, con i fornelli accanto al water, con i pensieri che ronzano più assillanti dei mosconi, e che alla fine ti portano a sfilarti il laccio dei pantaloni della tuta per legartelo intorno al collo, come ha fatto il 23 febbraio scorso un detenuto di 36 anni che qui si è tolto la vita.

Il 44% di loro sono in attesa di giudizio, questo dato la dice lunga sullo stato d’emergenza in cui versa la giustizia italiana. 21 ore senza attività lavorative o educative: in tutta la struttura ci sono solo 2 psicologi e due educatori, prima che finiscano il giro di 725 detenuti passano anche mesi.

Il magistrato di sorveglianza i detenuti non sanno nemmeno che faccia abbia, qualcuno afferma di avergli scritto 20-30 lettere ma di non aver mai ricevuto risposta. Da un paio di settimane sono stati nominati due nuovi magistrati di sorveglianza, che speriamo facciano meglio di chi li ha preceduti. In ogni sezione ci sono 4 docce per 70 persone, la doccia si può fare tutti i giorni, ma calda di mattina e fredda di pomeriggio, perciò si fanno i turni. Sono tutti cattolici praticanti, in tutte le celle accanto ai calendari di max c’è sempre un santino di Padre Pio, ma anche seguire la messa è diventato un problema da quando le fondamenta della chiesetta hanno ceduto e la struttura è stata dichiarata inagibile. Il passeggio è una gabbia con il pavimento piastrellato, senza nient’altro. Rita ha chiesto il permesso di entrare anche lì, si è portata al centro, tra una quarantina di detenuti, ha cominciato a raccontare, a fare domande, alla fine li ha fatti anche ridere. “Già vedere che qualcuno si interessa a noi, che non siamo abbandonati, è un grande sollievo” ci ha detto uno dei detenuti più anziani”.

Solitamente la pressione del sovraffollamento carcerario si riversa anche sugli agenti, che delle volte arrivano anche a togliersi la vita. All’aumento di detenuti e quindi di lavoro solitamente non fa fronte un aumento di personale. E’ così anche a Foggia?

“Sì, esattamente. A farne le spese, in questa situazione-limite, sono, oltre ai detenuti, anche gli agenti. Fortemente sotto organico, sono sotto pressione “qui andiamo avanti ad ansiolitici e anti-depressivi!” è sbottato con noi un agente dell’ufficio matricole. Il reparto traduzioni, ovvero gli agenti preposti a scortare i detenuti nei tribunali e negli ospedali, dovrebbero essere almeno 70, ma sono solo 49. Lo scorso anno hanno effettuato 2234 traduzioni. Con i detenuti hanno un ottimo rapporto: sono loro che fanno da psicologi, medici e referenti per tutto. Il reparto infermeria non funziona da almeno vent’anni, così anche per le cose meno gravi e detenuti devono essere scortati ogni volta in ospedale. Agli Ospedali Riuniti esiste un reparto con sei posti per il ricovero dei detenuti che aspetta di essere collaudato, e che allevierebbe di molto il lavoro di piantonamento degli agenti. Alcuni di loro devono scontare ancora le ferie del 2010 e la percentuale di assenti per malattia è del 2%. Del decreto Severino, che qualcuno ha avuto il coraggio di chiamare “svuota-carceri”, qui non se ne sono proprio accorti”.

Nel carcere di Foggia, abbiamo saputo, ci sono anche due bambini. Li avete visti? Come vivono?

“Sì li abbiamo visti, un maschietto e una femminuccia, di un anno e mezzo e due anni. Li abbiamo visti giocare nell’ora d’aria in un piccolo parco giochi dove i nani da giardino e l’altalena cercano di distogliere l’attenzione dalle alte mura di cemento che lo circondano. Sono lì con le loro mamme detenute, anche loro 21 ore in cella, piccoli innocenti che il mondo esterno non lo vedono mai. Fino a poche settimane fa erano in 4. In alcune città ci sono delle associazioni di volontariato che vanno a prenderli almeno un giorno a settimana e li fanno uscire, avere contatti con altri bambini. In altre città, non a Foggia, una città talmente impoverita socialmente, che la storia di due bambini in carcere non fa impressione a nessuno”.

Qual è, se c’è stata, l’immagine-simbolo di questa visita?

Risponde Elisabetta: “Nella sezione femminile ho avuto una lunga conversazione con una signora di 61 anni. Mi ha spiegato come vivere in carcere annulli la personalità di un individuo, di come ci si senta inutili e privati della propria dignità, non solo perché anche semplici bisogni come quelli della igiene personale diventano difficili da soddisfare, ma anche perché non c'è l'opportunità di produrre niente, di contribuire in qualche modo alla propria crescita e a quello della società. In questo modo si viene esclusi dalla comunità e questo fa sentire soli "E' vero che abbiamo sbagliato, ma dateci la possibilità di fare, di dimostrare che ne siamo consapevoli. Qui dentro c'è tanto tempo per rifletterci su". La signora ha dei figli che la vanno a trovare, e l'accoglieranno quando finirà di scontare la pena, quindi si ritiene fortunata. La maggior parte delle detenute, costituite da immigrate, per reati di spaccio o furto, non ha nessuno, e una volta uscite si troveranno ancora più in difficoltà di quando sono entrate. A conclusione della chiacchierata, in cui non sono mancate battute di spirito della signora, che ce la mette tutta per non cedere all'avvilimento, mi sono presentata dicendole "Io mi chiamo Elisabetta, con chi ho parlato, qual è il suo nome?" e lei stringendosi nelle spalle con sorriso amaro mi ha risposto " eh, con chi hai parlato… con una detenuta!" poi come riavendosi, come se le tornasse un ricordo lontano ha aggiunto " Rossi, Giulia Rossi !"(nome di fantasia) così ci siamo guardate dritto negli occhi e le ho detto "bene ho parlato con la signora Giulia Rossi, piacere di averla conosciuta"

 

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