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Luigi Bonaventura, il collaboratore di giustizia nato bambino-soldato passato all'altra riva: "Oggi esorto la gente a denunciare"

All’incontro “Mafie, società civile e denuncianti”, tenutosi ieri, era presente anche Luigi Bonaventura, ex ‘ndranghetista divenuto collaboratore di giustizia 15 anni fa, che racconta gli orrori di una vita di sangue imposta dalla famiglia in cui è nato

Ha portato la sua testimonianza all’incontro che si è tenuto ieri pomeriggio nella sala del Consiglio della Provincia di Foggia, in via Telesforo, Luigi Bonaventura, da circa 15 anni collaboratore di giustizia. Ha spiegato quanto sia importante trovare il coraggio di rinnegare la vita che è stata imposta dalla famiglia di un boss della ‘Ndrangheta nella quale è nato.

Chi è Luigi Bonaventura

E' nato a Crotone il 12 ottobre 1971 nella storica famiglia dei vertici della ‘Ndrangheta Vrenna-Bonaventura, tra le più antiche e potenti della Calabria. Il  padre, Salvatore, boss della ‘ndrangheta così come suo nonno, Luigi Vrenna. Così ai microfoni di FoggiaToday, “Io sono nato bambino-soldato, nel ’71. Cresciuto nel sangue, negli anni in cui, fino al 2008, è stato segnato dal sangue, tutti sparavano a tutti: Br (Brigate Rosse), Nar (Nuclei Armati Rivoluzionari) e Cosa Nostra, quindi le stragi, ‘Ndrangheta. Quindi sono cresciuto con violenza fisica, violenza psicologica, addestramento alle armi e soprattutto istigazione all’odio e alla vendetta”.

Con queste parole Luigi si è presentato e ha raccontato le sue origini. Fu obbligato a sparare la prima volta all’età di 10 anni, nel 1990 ha partecipato alla strage di piazza Pitagora, dove furono uccisi Giuseppe Sorrentino, Rosario Garceo e Ugo Perri nella faida del Marchesato tra le 'ndrine di Cirò e Crotone.

Il 14 dicembre del ’91, su commissione della sua famiglia, commette, insieme a suo cugino Guglielmo Bonaventura, il suo primo omicidio: Rosario Villirillo viene ucciso con 5 colpi di revoler. Luigi diventa in seguito collaboratore di giustizia, accusando di quell’omicidio proprio il cugino Guglielmo. Da quel momento per lui inizia la redenzione ma anche il suo calvario: 19 settembre 2006 il padre Salvatore tenta di ucciderlo a colpi di pistola, ma Luigi risponde al fuoco ferendolo e si salva.

Le sue testimonianze

Dal momento in cui diventa collaboratore, Bonaventura partecipa a diversi processi importanti: nel 2006 collabora con la Dda di Catanzaro, con la Dda di Bologna ed esordisce con la sua prima testimonianza proprio davanti ai giudici della corte d'assise di Ravenna, (udienza celebrata nel palazzo di giustizia di Bologna) nel processo per l'omicidio di Gabriele Guerra avvenuto a Cervia. Le sue dichiarazioni alla fine porteranno a tre ergastoli. A suo dire, per motivi legati a delle interviste non autorizzate, viene estromesso dal programma di protezione ma lui continua, a proprie spese, a collaborare con le varie procure.

Partecipa interrogatori e testimonianze in vari processi, contribuendo con le sue dichiarazioni a portare, di recente all'operazione Malapianta (marzo 2019) contro le cosche Mannolo, Grande Aracri e altre, con oltre 35 arresti.

In totale, allo stato attuale, Luigi ha dato un contributo collaborativo a 14 procure (di Crotone, Dda di Catanzaro, Reggio Calabria, Torino, Salerno, Bari, Campobasso, L'Aquila, Ancona, Bologna, Venezia, Trieste, con la Dna e una Procura Tedesca). Le sue dichiarazioni hanno portato a svariate operazioni, non solo in Calabria, anche in altre regioni di Italia. Ad esempio l'operazione 'San Michele' condotta dalla Dda di Torino dal dott. Sparagna, 'Aemilia' della Dda di Bologna del dott. Mescolino e 'Isola Felice' della Dda de L'Aquila della dott.ssa Picardi. Ha contribuito agli arresti e alle condonna di oltre 500 ndranghetisti e al sequestro di svariati milioni di euro. Il suo esempio di collaborazione con la giustizia ha creato una breccia nel muro di omertà, portando altri a testimoniare contro la ‘Ndrangheta, come Vincenzo Marino, Salvatore Cortese, lo stesso zio, il boss Pino Vrenna, e tanti altri.

Il programma di protezione testimoni

Luigi Bonaventura racconta le difficoltà che ha dovuto e deve tutt’oggi affrontare per le scelte che ha fatto: a suo dire il programma di protezione non gli ha garantito una sicurezza alla propria persona e alla propria famiglia. Marito e padre di due figli, un maschio e una femmina, Bonaventura è riuscito solo a cambiare città, ma i suoi dati anagrafici sono rimasti gli stessi e questo, negli anni, ha portato a diversi attentati alla sua persona e a una serie di intimidazioni, come quando trovò nella cassetta della posta dei proiettili simili a quelli utilizzati dalla cosca calabrese. Oggi la sua lotta contro l’omertà continua e nonostante le difficoltà, continua a girare per portare la sua (è il caso di dirlo), testimonianza.

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