Tiziano Schiena, l'attivista che salva ucraini e migranti: "Nei loro occhi la stessa disperazione"
Tiziano Schiena vive in Germania, ha origini foggiane di San Marco in Lamis. È nel consiglio direttivo di Mediterranea Saving Humans
"Dinanzi allo scoppio del conflitto, non potevamo rimanere con le mani in mano". Non fa giri di parole Tiziano Schiena, attivista foggiano nel consiglio direttivo di Mediterranea Saving Humans, associazione nata poco meno di quattro anni fa, nell'ottobre del 2018, cinque anni dopo la strage di Lampedusa nella quale persero la vita 368 migranti.
Gli attivisti, con la nave Mare Jonio operano sul Mediterraneo soccorrendo i migranti che giungono dalla Libia o dalla Tunisia. Come si legge sul sito ufficiale, "l'obiettivo principale è essere dove bisogna essere, testimoniare e denunciare ciò che accade e, se necessario, soccorrere chiunque rischi di morire nel Mediterraneo centrale, come impongono tutte le norme vigenti". Ed è proprio lo spirito che ne ha accompagnato la genesi, ad aver ispirato le due missioni umanitarie 'Safe Passage' in Ucraina delle scorse settimane, cui seguiranno altre.
Nel mese di marzo, alcuni attivisti di Mediterranea hanno operato sulla frontiera tra Ucraina e Polonia fornendo alla popolazione aiuti umanitari e riportando in Italia centinaia di profughi, oltre trecento tra la prima e la seconda missione. Schiena è riuscito a far tappa anche a Odessa: "Mentre eravamo già operativi, con un'altra persona sono partito verso l'altro fronte, quello al sud, al confine con la Romania e la Moldavia. E siamo entrati a Odessa".
Una ricognizione per stabilire relazioni con le altre associazioni già operative e pianificare i prossimi interventi: "Dovremo solo capire se stabilirci nella capitale della Moldavia Chi?in?u, che dista un paio d'ore d'auto dall'Ucraina, o se stare dentro a Odessa. Ma come è facile immaginare, le criticità non sono poche. Sono giornate intense di riunioni, per organizzare gli interventi. L'idea è quella di operare lì in maniera costante con due o tre presenze fisse e il contributo, a turno, di alcuni volontari", spiega Schiena.
Gli interventi serviranno anche ad aiutare i paesi giunti in soccorso al popolo ucraino, come la Moldavia: "C'è tanto volontariato dal basso, ma le difficoltà del governo centrale sono molteplici. Parliamo pur sempre di uno dei paesi più poveri in Europa, dove la gente guadagna in media 350-400 euro al mese. Eppure, c'è stata grandissima accoglienza. Sono transitati circa 400mila ucraini, 100mila sono ancora in Moldavia e oltre il 90% di essi si trovano in abitazioni private. Da parte dei moldavi c'è stato uno sforzo notevole, ma serve una organizzazione degli interventi più strutturata. I flussi sono difficili da regolare, ciò fa sì che si crei la necessità di effettuare interventi ogni volta mutevoli", aggiunge l'attivista foggiano.
A FoggiaToday Schiena racconta i momenti vissuti a Odessa: "Siamo arrivati intorno alle 20.30, poco prima che scattasse il coprifuoco. Era tutto buio, la città pressoché deserta. Il centro della città è completamente militarizzato. Per entrare nel meraviglioso centro storico, dove ci sono il Teatro dell'Opera e del Balletto e la famosa scalinata della Corazzata Potemkin, hai bisogno oltre che dei documenti anche di un lasciapassare. Ci sono check point e militari ovunque. C'è grande tensione. Tutti gli edifici sono stati trasformati in presidi militari, non ci sono civili, a parte qualche supermercato protetto dai famosi sacchi di sabbia, blocchi di cemento e filo spinato. Man mano che ci si allontana dal centro, persiste una situazione di seminormalità. I negozi, il mercato, le attività commerciali, restano aperti. Chi vive lì, ci ha detto che la popolazione si è pressoché dimezzata, però c'è ancora vita. Fuori dal centro non ti accorgeresti di essere in un luogo di guerra. Poi basta poco per fare i conti con la realtà".
Sul fronte settentrionale, quello al confine con la Polonia, sono due le missioni realizzate da Mediterranea. Nella seconda, ha preso parte alla carovana per la pace 'Stop the war now', diretta a Leopoli, che ha coinvolto oltre 40 associazioni italiane: "La situazione in quella città è un po' più "tranquilla", nel senso che lì sono state trasferite le ambasciate, segno che forse sarà l'ultima città a essere attaccata. Certo, anche lì sono arrivati i missili russi. Ma a Odessa ho capito realmente che cosa significhi vivere in una città in guerra, dove alla paura si affianca il tentativo delle persone di continuare una vita normale fin quando è possibile. Ci sono zone in cui è possibile trovare attività commerciali aperte e attive".
Schiena lavora a tempo pieno per Mediterrana Saving Humans: "Sono un migrante 'economico', mi trasferii per lavoro a Roma, poi in Germania. Conoscevo già l'associazione, mi ci sono avvicinato perché non riuscivo più a guardare le scene di persone in tv morire in mezzo al mare nell'indifferenza. Pensai che si trattasse di una ingiustizia, non so se divina, ma sicuramente umana. In realtà l'uomo può fare qualcosa di buono. Per cui abbiamo creato la sede a Berlino dell'associazione e da lì le cose sono andate avanti, abbiamo raggiunto risultati importanti. Berlino è anche la capitale delle Ong che si occupano di 'search and rescue', ovvero il salvataggio in mezzo al Mediterraneo".
Tra i migranti che tentano di fuggire dagli orrori dei lager libici e chi invece fugge dalla guerra, Schiena non trova differenze: "La somiglianza la vedo negli occhi delle persone. Descrivono lo stesso sentimento, la stessa disperazione. Nessuno lascia la propria terra con leggerezza. La differenza sostanziale sta nella reazione delle persone. Purtroppo, quando si vede il colore della pelle, l'approccio cambia e per quanto lo si voglia negare, ciò che sta accadendo ora lo conferma. I numeri dicono che dopo un mese di guerra, in Italia è giunto lo stesso numero di profughi registrato nell'intero 2021. Eppure, ora non si parla di invasione. C'è ancora chi non capisce che c'è chi scappa dalla guerra, chi dalla miseria, chi ancora dalle nostre politiche. Pensiamo a quello che sta accadendo in Senegal, dove a causa dell'accordo di pesca con l'Unione Europea i piccoli pescatori sono rimasti senza lavoro. Molti stanno scappando per non morire di fame. Le colpe nostre ci sono sempre".