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Cronaca

Dalla paura di non farcela ai campi del Foggiano: Joshua, l'albino africano che sogna di fare il musicista

Arrivato a bordo di un barcone dalla Libia, la storia di un albino africano che nel suo Paese ha conosciuto l'isolamento e la prigione. "Quelli come me sono perseguitati". Oggi è tastierista nell'Orchestra dei Braccianti

"La vita in Nigeria non è stata facile per me. Ho la pelle bianca, pensavano fossi diverso. Qui vorrei studiare, fare una scuola di musica e di lingua italiana. Per il momento ho lavorato in campagna. Stiamo cercando di sistemare la nostra vita, non è cosi facile. Ma quando sento la musica mi batte il cuore".

Classe 1993, Joshua Ojomon, nigeriano albino (e, pertanto, “lo credevano diverso in Africa”), oggi ha un sogno che si realizza: la musica. E a renderglielo possibile è proprio il suo Paese di approdo, l’Italia, dove arriva nel 2017. Oggi è voce e tastierista all’interno dell’Orchestra dei Braccianti, il nuovo progetto musicale della onlus Terra! per combattere lo sfruttamento ed il caporalato attraverso uno dei linguaggi universali per eccellenza. Perché la musica non ha colore né razza e arriva dritto al cuore.

Inizia giovanissimo a cantare e a scrivere canzoni, imparando da solo a suonare il pianoforte. "Lo sappiamo, non è facile fare il musicista. La mia famiglia non voleva ma io avevo un motivo troppo profondo" ci dice Joshua, ancora emozionato per la performance andata ieri in scena al Teatro Mercadante di Cerignola, in anteprima nazionale.

Arriva in Italia a bordo di un barcone nell’aprile dell’anno scorso. “La storia del mio viaggio è lunga. Fortunatamente non mi è costata niente, è un favore che mi è stato fatto da un amico del mio padrone” racconta con un italiano stentato ma comprensibile. Padrone: è così che Joshua definisce chi per un po’ di tempo gli ha consentito di lavorare in un'azienda edile lontano dagli sguardi sospettosi degli africani che lo vedevano bianco.

Va riicordato, infatti, che gli albini africani sono storicamente oggetto di persecuzione, derisione, aggressione verbale e discriminazione sociale e sono considerati dalla famiglia come una punizione divina. Spesso il padre abbandona la moglie quando questa partorisce un bambino affetto da albinismo; altre volte è la madre stessa che, spinta dalla paura di portare disonore e disgrazia alla famiglia, abbandona o uccide il proprio figlio. Anche quando un bambino affetto da albinismo viene accettato e cresciuto dalla famiglia, subisce spesso isolamento dalla vita sociale, povertà e mancato diritto all'istruzione. Gli albini africani adulti inoltre trovano molte difficoltà a essere assunti e trovare lavoro, faticando così a vivere una vita autonoma e indipendente. Un ruolo importante nella persecuzione degli albini africani è svolto dalla figura dei medici stregoni o guaritori tradizionali che, sfruttando superstizioni e miti popolari, sostengono di poter creare talismani porta fortuna e bevande magiche in grado di portare salute e prosperità. Ingrediente principale di queste pozioni sono le parti del corpo di una persona affetta da albinismo; come conseguenza, si è creato un vero e proprio mercato nero per le parti del corpo come arti, pelle e capelli e si ritiene che un corpo intero possa valere fino a 75mila dollari.

In una risoluzione del Parlamento europeo del 7 luglio 2016 si legge che nel 2015 ci sono stati 448 casi di attacchi in 25 paesi africani. In particolare in Malawi sono stati registrati 69 attacchi dal novembre 2014, di cui 18 omicidi. L'uccisione di quattro persone nell'aprile 2016 ha portato le autorità a definire le persone affette da albinismo come una specie a rischio.

Non passa molto tempo in Libia. L’arresto di Joshua arriva quasi subito. “E’ stata dura, ancora oggi non so cosa ho fatto per finire in prigione. Ma in Libia è così: anche se non fai nulla, ti arrestano”. Una volta fuori, realizza che “la vita lì non era più sicura per me. Mi aiutano a fuggire, di notte”.

A 24 anni sale su un barcone, il viaggio dura una settimana. Arriva in Sicilia, “poi mi hanno detto di andare via”. Viene spostato al Cara di Borgo Mezzanone. Ottiene documenti e protezione di rifugiato. Quindi a Foggia, presso la Caritas. Oggi vive da nomade tra Barletta e Foggia. Non ha un lavoro. Stagionale sì: nei mesi scorsi è stato impegnato nella raccolta dei pomodori, dell’uva, dei meloni, delle olive. Ma sono situazioni temporanee. “A fine stagione, stop, tutti a casa”. Per modo di dire. Ha fatto domanda per il servizio civile, nel barese, nell’ambito del progetto Integr-Azione. Avrebbe superato anche la selezione. Ma, con il sopraggiungere del decreto Salvini e della stretta sui rifugiati col blocco dei finanziamenti, gli operatori non se la sarebbero più sentita di tenerlo dentro. Totalmente finanziato da Fondi Fami dell’Unione Europea, il progetto prevedeva l’inserimento di 192 tra richiedenti asilo e titolari di protezione internazionale tra le fila dei 53.363 posti di servizio civile pronti a partire dopo le selezioni in atto. Doveva essere la novità del 2018: è stato bloccato dai funzionari ministeriali di competenza per non meglio precisate ragioni (a parte quella di essere un intervento del precedente governo). 

Oggi però una speranza c’è ed è data dall’Orchestra dei Braccianti. Ha messo il vestito 'buono'. “Suono la tastiera ma non sono perfetto perché non ho studiato, ho imparato da me – si schermisce Joshua-. Vorrei imparare di più, scrivo canzoni in inglese e in dialetto”. Il suo idolo? “Mi piace molto la musica americana, John Legend”.

E per quanto la vita si sia fatta difficile anche qui, Joshua all’Italia è riconoscente. “Perché gli italiani mi hanno aiutato. Mi hanno recuperato da un barcone e mi hanno salvato la vita. Il mare è terribile”, sorride. “Io li capisco, anche per loro non è facile ma cosa possiamo fare” dice  con un pizzico di sconforto, “l’unica strada è provare ad essere uniti”.  

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