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Cronaca Monte Sant'Angelo

"Ho chiesto giustizia per Felice, ma non l'ho ricevuta". Il dolore di mamma Ermelinda: "Con lui sono morta anche io"

Alla vigilia dell’udienza in Corte di Appello, a Bari, del processo relativo all’omicidio di Felice Fischetti, 22enne di Monte Sant’Angelo, sua madre, Ermelinda Santoro, è affranta e disillusa. Lo sfogo della donna a FoggiaToday

“Dai Tribunali non potrò avere nessuna giustizia per mio figlio. Non mi resta che sperare nella giustizia divina”. Alla vigilia dell’udienza in Corte di Appello a Bari, del processo con rito abbreviato relativo all’omicidio di Felice Fischetti, 22enne di Monte Sant’Angelo, sua madre, Ermelinda Santoro, è affranta e disillusa.

E’ convinta che il giudice confermerà la condanna già emessa in primo grado dal Tribunale di Foggia (con la riduzione di un terzo della pena previsto in caso di rito abbreviato, 10 anni per omicidio preterintenzionale e 6 mesi per l’aggravante dei futili motivi) a carico del 63enne Antonio Luciano Rinaldi, l’uomo che, due anni fa, nella notte del 16 luglio 2017, sferrò una coltellata al giovane perché convinto che stesse urinando sull’uscio della sua abitazione. Felice morì in seguito alle conseguenze di quella ferita, un altro ragazzo ne rimase ferito.

“Dalla giustizia mi aspettavo molto di più”, spiega la donna a FoggiaToday. “Resto incredula davanti a questa misera pena. Sono del parere che quel giorno noi due siamo morti assieme, ha portato con sé qualcosa che mi appartiene”. Poi ricorda l’ultima volta che ha visto il figlio. Era in ambulanza, ferito: “Ha avuto il tempo di dirmi ‘E’ stato Luciano’, poi ‘Non piangere, sto morendo’”, ricorda visibilmente scossa. Felice morì alcuni giorni dopo, il 19 luglio, all’ospedale Casa Sollievo della Sofferenza di San Giovanni Rotondo, dove era ricoverato. Fatale per lui la ferita riportata all’arteria iliaca destra, con un coltello di 30 cm, lama 18.

La donna affida tutto il suo sconforto ad una lettera: “Il 13 settembre, presso il Tribunale di Foggia, ho chiesto giustizia ma non l’ho ricevuta”, si legge nella missiva. “L'assassino venne condannato ad una misera pena di soli 10 anni e 6 mesi, perché l’omicidio volontario venne derubricato in omicidio preterintenzionale. Oggi, a distanza di quasi un anno, in vista del processo in Corte d'Appello sono qui a porvi le stesse domande. Sono consapevole che quel maledetto giorno la mia vita sia finita, non chiedo pietà, ma nuovamente giustizia”, continua.

“Non è vero che un uomo che scende di casa con un coltello di 30 cm, non abbia intenzione di uccidere, ma ha tutta la volontà di farlo. Ancora, rincorrere un ragazzo, fino a vederlo a terra sfinito, senza chiamare i soccorsi. E poi rientrare in casa, lavare il coltello, metterlo a posto e pensare di sostituirlo con uno a serramanico lungo appena 18 cm. Spiegatemi - incalza Ermelinda - in questi gesti, dove manca la volontà di uccidere”.

“Lo so, nessuno potrà ridarmi il mio Felice, ma non si può morire così. Mentre lui continua a stare agli arresti domiciliari, il mio cuore fa fatica ogni giorno ad andare avanti”. Infine, la donna rimarca l’atteggiamento freddo e indifferente dell’imputato. “Da Rinaldi non ho ricevuto nemmeno una lettere di scuse. Al processo mi ha guardato con un’aria indifferente, come se non avesse fatto nulla. Ma esiste una Corte più alta delle Corti di Giustizia: è quella delle coscienze, e quest’ultima supera tutti i Tribunali”.

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